Era una sera d'estate, e una ragazza tondeggiante camminava per la strada, mani in tasca e sguardo ancor più basso del morale. Usciva dalla proiezione pomeridiana di un film sui vampiri, tutto inquadrature scure e buie, perfetto per una certa audience. Aveva invitato un ragazzo, bruttino e giocatore di magic, una certezza, o così aveva creduto.
Lui però non si era presentato, e lei aveva passato due ore a vedere un film tutto sommato mediocre, sospirando in mezzo ai sospiri. "Sei sicura? Non potrai tornare indietro" aveva a un certo punto declamato il protagonista, scuro di capelli e d'animo, bello come un angelo maledetto. E la protagonista non aveva esitato nemmeno un istante, annuendo e scoprendo il collo bianco e sottile. Poi aveva scoperto tante altre cose, alcune anche pacchiane, si era sforzata di pensare la ragazza, costretta a concentrarsi sullo schermo per non sentire i vicini.
Il film era finito lasciandole una sensazione di vuoto, così come i due maxipacchi di popcorn al caramello, e la ragazza camminava ora verso casa, rimuginando e sognando desideri proibiti, quando qualcosa le cadde sulla spalla, rimbalzando ai suoi piedi. Un portachiavi.
Alzò lo sguardo al cielo. Da un balcone, la testolina di un gatto la guardava, illuminata da un lampione che gli conferiva una specie di aureola. Miagolò e scomparve. La ragazza raccolse il portachiavi. Era una piccola lampada, di quelle arabe. Valutò la possibilità di lanciarlo sul balcone, ma non sarebbe mai riuscita ad arrivare così in alto. E non aveva alcuna voglia di suonare a tutti i campanelli per restituire un portachiavi, oltretutto senza chiavi. Lo intascò quindi, e continuò per la sua strada.
Grande fu la sua sorpresa quando, nel confortevole abbraccio di pigiama e cornetti di mais, si ritrovò a giochicchiare col portachiavi, e questo si accese e produsse un essere blu e longilineo, dall'aspetto pericolosamente pericoloso.
«Ogni tuo desiderio è un ordine» esordì con tono di sfida, e alla ragazza calò la mascella, e con essa una pioggia di briciole sul pigiama.
«Desidero...» riuscì a dire, dopo aver ripreso il controllo e mandato giù il boccone. «Che tu diventi umano.»
Non era granché come desiderio, ma il disappunto per il pacco del cinema si faceva ancora sentire, e l'aspetto bluastro dell'essere la turbava tanto quanto il suo essere un alone di vapore colorato dalla cintura di seta rossa in giù.
«Sarà fatto» sentenziò l'essere, e schioccando le dita, si dissolse in un'abbagliante nuvoletta azzurra.
La ragazza trattenne un grido, e si fece scudo col sacchetto di snack. Quando azzardò una sbirciata, si lasciò sfuggire un "wow" sommesso. Al centro della camera, un ragazzo alto e magrissimo sorrideva malizioso. La ragazza abbandonò i cornetti e lasciò vagare lo sguardo sul corpo dell'essere che, per quanto ora rosa e anatomicamente accurato, emanava comunque un'aria strana, aliena. Forse era l'innaturale immobilità con la quale continuava a fissarla, forse la corporatura quasi scheletrica, forse il sorrisino beffardo.
La ragazza rifletteva ammutolita su questi e altri interrogativi, quando l'essere fece una smorfia, e si accasciò.
La ragazza imprecò, e andò a inginocchiarsi al suo fianco. Lo voltò e ne tastò il collo, anche se riusciva a distinguere le pulsazioni sotto le costole sottili. Quelle però, rimanevano immote.
Dopo una respirazione bocca a bocca più soddisfacente di quella che aveva provato sul manichino medico e che le era fruttata una menzione come miglior rianimatrice, assieme ad un bruciante imbarazzo, la ragazza vide aprirsi due occhi di zaffiro, sorpresi e leggermente impauriti.
Si alzò di scatto, e la testa dell'essere sbattè sul pavimento freddo. Ma questi non se ne curò.
«Ah già. I polmoni» disse invece.
«Ah già. I polmoni» sussurrò Marta, sorridendo al ricordo, all'ironia di come un essere dotato di fenomenali poteri cosmici potesse dimenticarsi di respirare. Annusò la bottiglia di vino, e ne versò un bicchiere colmo.