È guerra

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Due anni dopo

Dopo un lungo inverno, Downtown Chicago era in piena frenesia. Uomini in giacca e cravatta si spostavano di grattacielo in grattacielo con i loro caffè e cellulari, evitando il contatto visivo con gli altri passanti mentre cercavano di far combaciare gli impegni delle loro agende impossibili. Era solo un altro giorno di lavoro per i migliaia di automi che timbravano il cartellino. Al sedicesimo piano di Capital Building, gli impiegati di Elite Security Consultant erano abituati ad agende impossibili e ambienti di lavoro ad alto stress psicofisico.
Seduta alla sua scrivania in mezzo ad un mare di cubicoli, Mandy Milkovich, fissò le labbra perfette della segretaria del direttore, Annette, formare parole che avrebbero rovinato la giornata del suo perennemente incazzato fratello. Nonostante in passato Mandy ci avesse dato dentro per infastidirlo, non traeva alcun piacere dall’essere lei ad annunciare quella particolare brutta notizia. Ma Mickey era adulto, pensò, indietreggiando con la sedia per prepararsi al proprio compito. Sarebbe sopravvissuto.
Sculettando in mezzo al labirinto di postazioni ufficio, lisciò il fianco della sua gonna di jeans a vita alta, la pila di bracciali che adornava il polso che tintinnò quando si passò la mano tra i capelli schiariti di recente. Le zeppe da dieci centimetri si fermarono all’entrata del cubicolo di suo fratello. – Ehi Mick, devo parlarti-
Nessuna reazione o risposta.
Come al solito, bighellonava sdraiato sulla sua ergonomica poltrona da ufficio girevole come se fosse il campione mondiale di Call Of Duty. La prima cosa che vide furono i lisi anfibi di pelle stringati accavallati sulla scrivania ad L. Fece scorrere lo sguardo sui suoi pantaloni neri attillati fino alla tastiera appoggiata in grembo, passando oltre la T-shirt blu marino che esibiva la scritta “ELITE SECURITY” finché gli occhi non si fermarono sul suo grugno ostile. – A volte ti guardo e vorrei prenderti a pugni- disse, colpendo la tastiera con lo stesso fianco che aveva accarezzato con grande gioia di un branco di secchioni ambiziosi di diventare esperti di sicurezza informatica.
-A volte?- borbottò, gli occhi puntati sui due schermi enormi davanti a lui. – Mi impegnerò di più in futuro-
Allungò la mano in mezzo alle sue gambe e permette il tasto di spegnimento del computer con le dita laccate di rosso borgogna.
-Ehi stronza, e se non avessi salvato il documento?- sputò, appoggiando i piedi a terra.
- Imparerai la lezione. Nessuno mi ignora, sfigato-
- Che cazzo vuoi? Qui si lavora – protestò, alzando finalmente lo sguardo su di lei.
- Vieni-. Si voltò bruscamente, gettando i capelli oltre la spalla mentre usciva dal suo cubicolo. – Ho brutte notizie per te-
- Cerca di non esserne troppo felice-. Si alzò e la seguì verso l’angolo più lontano dell’ufficio. Alla fine si fermarono davanti al lay out appeso al muro raffigurante la disposizione dei cubicoli del ramo di Chicago di Elite Security.
Quando Mickey si fu avvicinato, quelle stesse dita color borgogna presero la targhetta laminata con scritto “Mickey Milkovich” e la strapparono dal velcro sul poster senza tante cerimonie.
-Perché l’hai fatto?-. Cerco di prenderle la targhetta dalle mani e riattaccarla sul piccolo riquadro che raffigurava il suo cubicolo, il suo pezzo di paradiso in mezzo all’incubo di ufficio in cui si era ritrovato cinque anni prima.
Mandy fu più veloce, anticipandolo. – Ti stanno spostando-
-No!-
-Sì invece-
-Dove?-
Guardarono entrambi il lay out: trentaquattro cubicoli totali circondati da quattro uffici effettivi, tre sale riunione, una sala da pranzo, una sala fotocopie e la reception. Solo alcuni erano provvisti di finestra e solo una di queste non si affacciava sul via vai esterno. La sua!
Esaminando il poster, il suo sguardo si posò sull’unico riquadro rimasto senza targhetta. -No!-
Mandy avvinghiò il braccio adornato di bracciali al suo. -Dai- lo incoraggiò con rammarico mentre attaccava la sua targhetta sul riquadro del cubicolo incriminato. – Ti darò una mano a spostare le tue cose. Quello nuovo sarà qui tra poco-
-Aspetta, quindi il mio cubicolo andrà al tizio nuovo con cui dobbiamo lavorare?- protestò seguendola nel corridoio stretto tra pareti divisorie e teste chine assorte nel loro lavoro.
-Solo fino a quando il suo ufficio non sarà pronto. E, fratellone mio, tecnicamente lavoriamo “per lui”, non “con lui”-
- Non se io ho qualcosa da ridire- ribatté acido, voltandosi con tutto il suo corpo da lottatore verso il gruppo di sfigati che si erano sporti al passaggio di Mandy. Spedì la testa ciondolante del pupazzetto di Captain America sul ripiano del box contro alla fronte dell’idiota più vicino. – Ti piacerebbe, sfigato- ringhiò. Felice di essere riuscito a sfogare almeno un minimo della sua rabbia, Mickey prosegui a cuore più leggero. Si guardò intorno, immaginando di spedire teste di pupazzetti in faccia ai suoi colleghi. Sorrise e arrivò al suo cubicolo, il quale sembrava deriderlo in tutta la sua gloria. Allungò una mano verso il bonsai sul davanzale della finestra, facendo scorrere amorevolmente il dito sulle tenere foglioline. Come avrebbe fatto il suo bambino a sopravvivere in un cubicolo senza finestre?
-Ti prendo qualche scatola. Ah, dovrei avvertire I.T. di spostare il tuo computer- disse Mandy dirigendosi verso la fotocopiatrice mentre Mickey guardava il proprio cubicolo con aria addolorata.
Lavorava con Elite da cinque anni come consulente di sicurezza e negli ultimi mesi come coordinatore temporaneo della sua divisione. Pensava di avere già assicurata la promozione a coordinatore permanente ormai, ma lo avevano informato del fatto che la sua dannata mancanza di formazione non avrebbe fatto buona impressione agli elegantoni della sede centrale. Mickey era convinto che avesse invece a che fare con l’unica macchia sul suo curriculum.
I diamanti di Forevermark.
Gli ribolliva il sangue se ripensava all’umiliazione provata al risveglio sui sedili posteriori della Escalade a mani vuote, Slava e Nelson frastornati quanto lui. 
E ora avevano assunto qualcuno a coprire quella che avrebbe dovuto essere la sua posizione. Un esterno con un fottuto MBA*. Certo, voleva proprio vederlo fermare un proiettile con un pezzo di carta. Il lavoro consisteva nel trovare il connubio perfetto tra intuizione e pianificazione, non impressionare quelle mummie del quartier generale con fottute abilità nello studio.
-Cosa stai facendo?-. La voce di Mandy interruppe i suoi pensieri.
- Piccolezze- rispose continuando a svuotare le mine. Mandy lo guardò per un momento poi aprì la pinzatrice sopra al cestino dell’immondizia. Quando Mickey alzò lo sguardo lei ammiccò, le ciglia folte di mascara.
Venti minuti dopo, tutte le cose di Mickey erano stipate in un paio di scatoloni. – Andiamo a sistemarti, così possiamo salire sul tetto a fumare una sigaretta. Ne avrai bisogno- disse Mandy, prendendo la pianta perfettamente potata. – Porto io il tuo ragazzo-
-Abbassa la voce, ragazza- sibilò a denti stretti mentre sollevava i due scatoloni.
- Ma per favore, sanno tutti che sei gay. Non è un segreto- replicò lei a bassa voce.
- Solo per colpa della tua fottuta boccaccia-
- Quante volte mi devo ancora scusare?- chiese inoltrandosi nei meandri dell’ufficio per raggiungere la sua nuova postazione. – Mi ero fatta troppi Fucks in a Graveyard**-
- Sono sicuro che sia nel vero senso della parola-
- Ah-ah. È delizioso, sa di uva-
Arrivarono al cubicolo 34 e si fermarono all’entrata per dare un’occhiata alla nuova proprietà di Mickey. – Sì, beh, la prossima volta che beviamo con i colleghi, rivela i tuoi cazzo di segreti, non i miei-
-A nessuno è importato, no? Non è bello non avere niente da nascondere?- chiese Mandy, destreggiandosi nello spazio stretto alla ricerca di un posto per appoggiare la pianta.
- Non mi stavo nascondendo, Mandy.  Nessuno deve importare con chi… -. Si fermò cercando la parola giusta. - … esco-
- Stai uscendo con qualcuno?- chiese lei improvvisamente interessata.
- Vattene- brontolò appoggiando le scatole in cima all’armadietto per riprendere il bonsai. – Non hai qualcosa da fare?-
Mandy lo guardò sospettosa mentre posava la sua preziosa pianta sulla scrivania. – Chi è?-
-Levati dalle palle- sbottò, ma la donna richiuse la scatola che stava cercando di aprire, rendendo piuttosto chiaro che non se ne sarebbe andata finché lui non avesse parlato. – E va bene, rompipalle! Il tizio della caffetteria è abbastanza… uhm… -. Si interruppe di nuovo e fece un vago cenno con la mano.
- Carino? Sexy? Scopabile?- suggerì.
- Oh mio Dio, Paolo? Ci puoi scommettere!- trillò una voce vivace dal cubicolo contiguo. Mickey si ritrasse alla vista dello chignon biondo accompagnato da un enorme sorriso, profondamente sofferente per la perdita del proprio cubicolo. – Sono così contenta di avere un compagno di squadra vicino. Qui è sempre così solitario anche se posso fare due chiacchiere con gli altri quando vanno in mensa o in bagno-
Il nuovo arrivato sarebbe stato in cima alla lista nera di Mickey.

Cubicle Wars - Guerre Tra CubicoliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora