Camouflage

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- Hai lasciato questo nella Escalade venerdì sera –
Ian alzò la testa nella direzione della voce di Mickey, ruotando la sedia per girarsi verso l’entrata del cubicolo. Voleva godersi per bene la vista, e non quella del panorama di Chicago. – Che cos’è? – chiese, prestando poca attenzione alla conversazione. Mickey indossava un paio di jeans neri e una camicia; era piuttosto elegante rispetto al solito ma ad Ian non venne in mente nessun impegno che richiedesse un tale abbigliamento. In ogni caso, voleva poterlo guardare da ogni angolazione possibile.
Una cartellina in carta di manila atterrò con un tonfo sordo sulla scrivania, l’angolo di una delle copie della Jeweler’s Alliance che si intravedeva dietro alla copertina. Il cuore cominciò a battergli all’impazzata. Aprì e richiuse la bocca mentre lo fissava, maledicendosi per la propria negligenza. Come aveva fatto  non accorgersi della mancanza di quei documenti? Cazzo, cos’altro non aveva notato? Ah sì, forse il fatto che rischiava di sabotare tutta la propria carriera. Okay, pensò cercando di darsi una calmata. Doveva solo trovare il modo di equilibrare le sue priorità.
La priorità numero uno stava aspettando una spiegazione ed era anche piuttosto impaziente. Quando trovò il coraggio di guardarlo negli occhi incontrò uno sguardo fermo e risoluto, perché Mickey non era in grado di essere niente da meno, e questo terrorizzò Ian. Non era capace di ricambiarlo. Si alzò e si avvicinò a Mickey; voleva mantenere quella conversazione privata.                        – Mickey… - fece per parlare, cercando ne suoi occhi rabbia e disgusto, ma trovandoci solo fastidio e forse un po’ di arroganza.
- Buona fortuna, Gallagher –
- Stavo solo… -
- Sì, lo so cosa “stavi solo”. Non sono stupido –
- No, assolutamente –
- Credi che non ci siamo già passati un fottuto milione di volte? Io e ogni altro stronzo che pensava che quei maledetti diamanti fossero affari suoi. E poi arrivi tu e pensi di risolvere il caso con i tuoi famosi protocolli sulla valutazione della vulnerabilità? –
Ian guardò i suoi occhi incupirsi sempre di più ma si rese conto che quella rabbia era più rivolta verso se’ stesso che verso di lui. Per ora l’aveva scampata. – Hai letto le mie ricerche? – lo stuzzicò, sperando di distrarlo ancora di più dal motivo della sua rabbia.
Mickey serrò le labbra accentuandone l’aspetto carnoso, impedendomi di sorridere. – Cosa? Certo, come no –
- Oh mio Dio, li hai letti! -. Ian lanciò un acuto e Liz si sporse dal suo cubicolo, quindi abbassò di nuovo la voce quasi fino ad un sussurro. – Quali hai letto? –
- Sta’ zitto –
- No, no, fammi indovinare… - si picchiettò il labbro inferiore, riflettendo. – Il famoso “protocollo sulla valutazione della vulnerabilità” di Ian Gallagher? –
- Sembra piuttosto finto. E poi chi ha tempo di leggere temi lunghi come la quaresima pieni di paroloni stupidi? -. Incrociò le braccia al petto, sfidandolo a contraddirlo.
- Come fai a sapere che sono pieni di paroloni stupidi se non li hai letti? – Incrociò a sua volta le braccia Ian.
- Perché voi universitari credete che vi facciano sembrare dei gran intelligentoni –
- Beh, non posso negarlo – fece spallucce Ian, effettivamente d’accordo.
- Okay Gallagher, che cosa vuoi sapere? Hai una sola occasione perciò usala bene –
Questa fu una vera sorpresa. – Davvero? Ehm, allora vuoi andare a prendere un caffè e parlarne in privato? Finirò di prepararmi per il colloquio con Gabe quando torno –
- Prego – rispose Mickey indicando con un cenno della mano l’uscita del cubicolo. In teoria quello era esattamente ciò che voleva Ian, ma non riusciva a non sentirsi la coscienza sporca. Non faceva nessuna differenza che il suo ficcare il naso in quegli affari che rappresentavano una nota dolente per Mickey fosse giustificato da varie motivazioni. Erano successe così tante cose tra loro nell’ultima settimana che avrebbe voluto solo continuare ad ignorare le proprie responsabilità e godersi semplicemente ciò che avevano costruito.
Le porte dell’ascensore si aprirono su un gruppetto di impiegate dello studio legale sopra di loro mentre discutevano animatamente del loro capo. Ian rimase deluso quando vide che non avrebbero avuto l’ascensore tutto per loro ma era meglio tenere le mani a posto, visto quanto ormai si era già distratto. Quando le porte si aprirono sulla lobby, le donne uscirono per prime terminando la conversazione sulla stronzaggine del loro capo e Ian gettò a Mickey uno sguardo oltre la spalla.              - Quanto è stronzo il tuo capo? –
- Quanto basta –
Seguirono le donne dentro “Perks”. Quando il profumo di caffè espresso solleticò le narici di Ian, si ricordò chi lavorasse lì. La storia della cartellina doveva avergli davvero fuso il cervello per essersi dimenticato di Paolo. Ispezionò il bar con lo sguardo, individuando quasi subito la sua testa spettinata di capelli neri dietro al registratore di cassa.
- Stai calmo – disse Mickey; Ian notò il tono di ironia celato dietro alle sue parole. Si divertiva, lui.
Si misero in coda e Ian si concentrò ancora una volta sul menù come se non fosse mai entrato prima in una caffetteria. Lo seccava vedere quanto fosse incapace di controllare le proprie emozioni ultimamente. Questo non gli impediva di ricordare che Mickey non conoscesse la sensazione della pelle di Paolo sotto alle proprie dita, ma non significava che Paolo non conoscesse quella di Mickey, o i suoi baci, o…
- Ian – mormorò Mickey attirando la sua attenzione. Si girò verso il moro che lo guardò esasperato. – Non è successo niente, okay? –
Ian rilassò le spalle, le guance arrossate per l’imbarazzo della propria reazione e per la sua “discretezza”. – Scusa se sono così… -
- Geloso? -. Mickey rise quando Ian lo colpì con un pugno leggero sul braccio. – Ehi bello, se io fossi al tuo posto sarei saltato dall’altra parte del bancone per ammazzarlo di botte –
- Mickey! – cinguettò Paolo quando fu il loro turno. – Perché non mi hai scritto? Cattivone –
- Vorremmo un Americano e un Mocaccino extra large, per favore – si intromise Ian mettendosi davanti a Mickey. – E due muffin con gocce di cioccolato -. Che si ficcasse i suoi muffin ai frutti di bosco dove non batteva il sole. Quando Paolo si sporse per cercare di guardare Mickey, Ian si spostò nella stessa direzione. – Grazie, è tutto – e gli porse la carta di credito. Paolo sembrò abbastanza intimidito da continuare a fare il suo lavoro invece di preoccuparsi di Mickey, quindi Ian strisciò la carta e si avviarono con i loro muffin ad un tavolo appartato.
- Stasera Liam ha un allenamento di baseball e dovrei davvero andarci – spiegò Ian non appena si furono seduti. Si sentiva in colpa a desiderare di non doverci andare per forza, adorava davvero vedere il suo fratellino di dieci anni giocare, ma in quel momento l’unico posto in cui avrebbe voluto essere era la camera da letto di Mickey. E il bagno. E la cucina. E il soggiorno.
- Va bene. Io farei meglio ad uscire un po’ con Slav o darà di matto –
- Okay, allora stasera starò a casa, magari lavo i panni, rifaccio le valigie… ? -. L’ultima parte gli uscì quasi come una domanda quando Mickey corrugò le sopracciglia, perché si rese conto che forse il moro avrebbe voluto un po’ di tempo per sé. Ian aveva dato per scontato che fossero diventati inseparabili dopo il lavoro.
- Penso di sopravvivere per una notte – rispose Mickey mentre staccava un morso di muffin, mettendogli definitivamente il cuore in pace. In quel momento chiamarono il loro ordine e Ian ritornò al tavolo con i caffè dopo un rapido scambio di sguardi con Paolo.
- Allora – parlò di nuovo Mickey, andando dritto al punto. – Credi che il SATG centri con i diamanti?-
- Beh, sono famosi per furti di gioielli di lusso. Le gioiellerie sono il loro pane quotidiano. Avrebbe senso, no? –
- Sì, ma quei coglioni colombiani non sono così sofisticati per un colpo del genere. Non solo non ci sono stati feriti, ma sono stati praticamente invisibili –
- Magari si stanno evolvendo, imparano nuove tecniche. Più tempo trascorrono negli Stati Uniti, più agganci trovano –
- Tutto è possibile, ma non abbiamo trovato nessun indizio che porti a loro. Nemmeno una traccia – sbuffò Mickey abbandonandosi contro alla sedia, il caffè ormai dimenticato. – In realtà non abbiamo trovato tracce che portassero a qualsiasi altra gang –
- Ci sono stati altri colpi simili? –
- Dimmelo tu. Che cosa dicono i tuoi documenti? – chiese Mickey con aria di sfida.
- La Jeweler’s Alliance non dice niente –
Mickey annuì. – La telecamera nel vicolo sul retro era fuori uso. Hanno usato un laser LED per distorcere i pixel delle immagini per cinquantotto secondi quando hanno preso la valigetta. Abbiamo guardato anche i filmati delle settimane precedenti e successive, ma niente –
- E I filmati del parcheggio sotterraneo in cui si trovava la Escalade? –
- Abbiamo imparato per esperienza che lì la sorveglianza fa schifo -. Ora stava arrivando dove voleva Ian. – Un altro motivo per cui il SATG non è il mio primo sospetto: perché disturbarsi a riempire il sistema di aerazione della macchina con del cloroformio rilasciato a comando quando potevano semplicemente entrare dalla porta sul retro e prenderci la valigetta tenendoci sotto tiro? – chiese Mickey inarcando suggestivamente un sopracciglio. – Hanno usato questo metodo con successo per anni –
- Beh, questo nuovo metodo è più discreto e meno rischioso –
- Ma richiede un sacco di pianificazione e di pratica –
- Ultimamente hanno diversificato molto – aggiunse Ian. – Nuove strategie di distrazione, raggiri, non più solo toccata e fuga. Hanno persino i loro informatori –
- Quante ricerche hai fatto su di loro? – chiese Mickey aggrottando la fronte. – Sembra che tu ne stia facendo un caso nazionale –
Ian abbassò lo sguardo sul caffè.
- Ehi, è tutto okay. Sei il capo, fai quello che devi fare, va bene? –
Finirono i muffin e Mickey raccolse la spazzatura mentre Ian lo guardava, chiedendosi se non dovesse insistere ancora. Aveva del lavoro da svolgere ma aveva anche… - Stiamo insieme? – sputò fuori. Mickey indietreggiò quel tanto che bastava da fargli desiderare di aver tenuto la bocca chiusa. Si erano ripresi dalla catastrofe di El Paso solo da una settimana ed eccolo lì a cercare di vincolare Mickey.
Mickey appoggiò i gomiti sul tavolo. – Cosa significa esattamente? -. Non sembrava arrabbiato, solo curioso, quindi Ian lo imitò.
- Immagino… che non andiamo a letto con nessun altro – mormorò senza spostare lo sguardo dal suo.
- Ah sì? –
- E probabilmente dovremo passare il Natale insieme – aggiunse provocando una risata a Mickey.
- Quindi non devo scoparmi nessun altro e devo riempire le tue calze natalizie? -. Si morse il labbro, probabilmente immerso nei propri pensieri. – Cammineremmo per strada tenendoci per mano? –
- Solo se lo vuoi –
- Tu lo vuoi? –
Ian fece spallucce.
- Oh sì che lo vuoi –
- Così gli stronzi sanno che devono starti alla larga –
Mickey si appoggiò allo schienale, gli occhi socchiusi e le labbra strette. – Va bene allora, Ian. Stiamo insieme –
Ian riuscì solo ad annuire, incredulo che quella conversazione fosse avvenuta davvero e non fosse stata solo frutto della propria immaginazione, ma il martellante pensiero che due partner di solito non devono avere segreti lo riportò sulla terraferma. Si sentiva intrappolato tra il suo passato e il suo futuro, incapace di trovare un modo per conciliarli con il presente.
- Abbiamo finito o hai altre domande? – chiese Mickey distogliendolo dai suoi pensieri. – Sui gioielli intendo. Possiamo parlare di cosa ti piacerebbe nelle tue calze natalizie un’altra volta –
Ian avrebbe voluto ricambiare il suo sorriso ma non poteva ignorare il proprio fardello. Spostò lo sguardo nel vuoto oltre la spalla di Mickey, ripensando a ciò che già aveva scoperto e ciò che doveva ancora scoprire. Paolo li stava guardando dalla cassa ma distolse lo sguardo quando Ian se ne accorse. – Chi sapeva che sareste stati lì? Nel parcheggio sul retro proprio a quell’ora precisa? – chiese.
- Ci resto ancora sveglio la notte. Come cazzo hanno fatto a scoprirlo i ladri? –. Ian rimase in silenzio, lasciando che fosse Mickey a dirigere la conversazione. – Naturalmente i miei fottuti colleghi – rispose alla fine. – Un sacco di dipendenti della gioielleria, l’acquirente e qualsiasi altra persona abbia parlato con loro. Metà dei politici repubblicani di Chicago erano invitati all’evento di quella sera. Potrebbero aver parlato con qualsiasi persona dei gioielli dal valore di due milioni di dollari che la donna avrebbe indossato. Ma sarebbe stato stupido urlare ai quattro venti dove e quando sarebbero stati consegnati –
- I controinterrogatori sono piuttosto intensi dopo un colpo di tale portata. Possono durare settimane – disse Ian intorno cauto, tenendo sott’occhio la reazione di Mickey per decidere come continuare. – Non solo da parte di Elite ma anche delle autorità –
Mickey lo guardò e basta, aspettando naturalmente che quell’affermazione diventasse una domanda. Ian poteva immaginare quanto doveva essersi sentito umiliato e incazzato dopo essersi svegliato a mani vuote ed essere stato persino costretto ad affrontare interrogatori infiniti con persone che gli puntavano il dito contro o sentenziavano sull’incapacità’ di fare il suo lavoro. O perlomeno, Ian pensava che Mickey la vedesse in quel modo.
Tecnicamente, anche dopo due anni, Mickey restava almeno in parte un sospettato. Nessuna prova portava direttamente a lui, quindi Elite non aveva licenziato lui o gli altri membri della squadra. Ma visto che non era stato aperto nessun caso intorno a qualcuno di specifico, non restava completamente escluso dalla rosa.
- Posso immaginare quanto sia stata dura per te – continuò Ian. Mickey alzò le spalle e si grattò il naso con una nocca, facendogli segno di proseguire. – Okay, ultima domanda e poi basta, so cosa pensi dei tipi che fanno troppe domande –. Questo suscitò a Mickey un sorriso. – Tu hai qualche sospetto? –
Mickey scosse la testa. – No, non proprio –. Ian inarcò le sopracciglia, invitandolo a spiegare meglio. – Cazzo –
Ora era anche più curioso. – Immagino che tu ne abbia allora –
Mickey era diventato ancora più nervoso e le cartacce che teneva in mano ne risentivano le conseguenze. – Sì e no –
- Ehi – disse Ian gentilmente. – Non voglio metterti pressione –
- Nah, tranquillo -. Mickey lo guardò. – Non so chi sia il colpevole, so solo che è qualcuno di interno-
- Ah sì? -. Si stavano fissando negli occhi, avvolti nella loro personale bolla di fiducia.
- Okay, tu sai già tutte queste cose -. Si toccò il dito indice con il destro per tenere una specie di conto. – Uno: sapevano che io e gli altri due eravamo assegnati al trasporto. Due: sapevano dove sarebbe avvenuto. Tre: sapevano che veicolo stavamo usando. Quattro: dovevano avere accesso libero a quella specifica macchina. Cinque: sono riusciti ad aprire la valigetta e distruggere il dispositivo GPS prima che ci risvegliassimo, perché la prima cosa che ho fatto quando mi sono svegliato è stata questa, cercare di rintracciarli. Sono un sacco di informazioni di cui essere a conoscenza –
- Quindi questo esclude l’acquirente e il direttore del negozio –
- Esatto. Come già sai abbiamo un rigido protocollo da seguire sulla condivisione di informazioni, quindi una soffiata mi sembra improbabile. Possibile, ma molto improbabile –
- E hai idea di chi possa essere? – chiese Ian, ma magari Mickey non l’avrebbe detto comunque.
- Se ce l’avessi sarebbe un uomo morto –
Ian trasalì. Avvertì uno sguardo su di sé e quando alzò gli occhi incrociò quelli di Paolo, ma questa volta non li spostò subito, e Ian sentì aumentare sempre di più l’ansia.
- Non mi piace essere preso per il culo – aggiunse Mickey.

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