Non sono uno scrittore. Non so se ciò che scriverò riuscirà a intrattenervi e francamente non m'importa. Scrivo solo per poter alleggerire la mia mente dai sensi di colpa, cercando, come posso, di farvi immedesimare nella mia situazione.
Chi sono io? Non lo so ancora.
Di sicuro, non un undicenne che scopre di aver ammazzato un potente mago oscuro quando era in fasce.Ognuno di noi possiede un talento particolare, uno con cui pensiamo di essere nati. Spesso ci si impiega del tempo per trovarlo, ma una volta fatto, cerchiamo di trasformarlo nella nostra ragione di vita.
E se non lo trovassimo mai?
Fin dalle elementari, mi resi conto di questa realtà dei fatti. Non ero molto bravo a socializzare, mi limitavo a osservare; capii subito che non ero come loro.
C'erano gli sportivi, gli artisti, quelli bravi a scrivere o a recitare... mentre io, rispetto agli altri, non avevo nessuna particolare passione e nessun talento.
Per tutta la vita, sono stato alla ricerca delle mie abilità.
Ho sempre impiegato in ogni cosa che facevo, anima e corpo, senza arrendermi, non riuscendo mai a evadere dalla mia mediocrità.
Capii che non tutti sono speciali.
La mia è una condanna che possiede la maggior parte delle persone al mondo: la maledizione dell'ordinario.
Nella vita, non bastano solo la passione, l'impegno e la conoscenza per essere capaci; ci sono dei limiti alla nostra bravura.
Non importano i nostri sforzi; ci sarà sempre qualcuno con un'abilità naturale a differenziarsi.
Questa consapevolezza ha maturato in me un forte senso di inferiorità. Non potete immaginare quanto mi distrugga. Perché, nonostante faccia di tutto per raggiungere i miei obbiettivi, non riesco mai ad essere al loro livello?
«ATARAE, NUOVA CASSA!!» esclamò una voce.
Mi svegliai di colpo, non mi ero accorto di star sognando a occhi aperti. A svegliarmi era stato Claudio; nonostante a lavoro avessi molta "confidenza" con tutti, non ero molto bravo a ricordare i nomi. Onestamente, non saprei ripetere nessuno di quelli degli altri miei colleghi. Però ricordavo il suo.
Annuii e ripresi a lavorare, afferrai l'avvitatore e tolsi le prime viti per poter aprire la gabbia. Era il mio primo lavoro ed ero ancora in prova. La mia mansione si basava sul costruire grandi macchinari per altre aziende, era pesante, ma almeno ero stato affiancato a Claudio. Non avrebbero potuto affiancarmi a una persona migliore: rispetto agli altri, non faceva domande e non apriva bocca quasi mai, tranne quando cantava canzoni di Celentano o parlava solo.Finalmente, tolsi l'ultima vite e aprii il coperchio.
«Cla, cos'è?» chiesi, girandomi verso di lui.
«Un congelatore.» rispose, con gli occhi sul tavolo dov'era poggiato il progetto. «Abbiamo tre giorni per finirlo.» Sette parole, quasi un record. Mi misi al lavoro. Atarae. L'inizio della fine. Ecco, l'idea di essere speciale l'avevo sempre avuta e non lo dico per vantarmi o per attirare quella sorta di comprensione vittimistica che alla gente piace tirar fuori, quando non ha più scusanti per fallire. Non ho idea da dove venga quel nome e nemmeno so cosa avesse fumato mia madre per sceglierlo. Fatto sta, è che con un nome del genere, sentivo che il mondo mi avrebbe accolto a braccia aperte nella lista di chi sarebbe stato destinato a non scomparire dopo la morte. Ovviamente, mi sbagliavo. Dopo aver posato la scopa, spostate tutte le viti, Claudio esordì con le ultime parole della giornata. «Le sei. Metti a posto." Obbedii e mi diressi agli armadietti. Prima di andarmene, passai alla mensa a prendere la mia busta, e vidi molta gente. Strano. Molto strano.Stavano guardando la tv sopra i nostri tavoli, c'era il telegiornale, c'era sempre il telegiornale in quella tv.
«Che sta succedendo?» chiesi, guardando più persone, in cerca di una risposta che tardava ad arrivare.
Nulla, parlavano fra di loro. Essendo il più giovane, non mi davano mai ascolto. Non che fosse una novità.
Provai a richiedere e finalmente, uno di loro mi diede spiegazioni:
«In Cina è arrivato un nuovo virus, ha portato già migliaia di morti.»
«Mi sembra normale, con tutte le cose strane che mangiano in Cina e tutto quell'inquinamento, qualcosa del genere doveva pur accadere.» rispose un altro vicino a lui. Come vi ho detto, non sapevo i loro nomi.
«Vabbè, nulla di particolarmente interessante insomma, a domani, ragazzi.»Nessuno mi salutò.
Uscii dalla mensa. Entrai in macchina. Posai il cellulare e mi presi due minuti per respirare e guardare il tettuccio delle altre auto. All'improvviso mi squillò il telefono. Era Christian, risposi, senza pensarci.
«Ehi 'mbare.»
«Ehi Chri, dimmi.»
«Oggi io e il gruppo non andiamo in centro, le ragazze non ci sono, vogliamo fare qualcosa di diverso. Tu ci sei?»
«Solo se mi venite a prendere, stasera la macchina serve ai miei...»
«Ti veniamo a prendere noi alle dieci e mezza, ma non farci aspettare.»
«Tranquillo, mio fratello non c'è. Tu invece, cerca di non pisciare sul mio cancello come l'ultima volta. La mia vicina ancora si lamenta di te.»
Chiusi la telefonata e accesi la macchina.
Tornato a casa, mio fratello Damiano era già andato via, aveva detto che sarebbe stato dai suoi compagni. Mia madre, come di consuetudine, a quell'ora dormiva, essendo appena tornata da lavoro. Ne approfittai per andare in bagno, anche perché nonostante ne avessimo due, per qualche legge di Murphy, li trovavo sempre occupati, e mi preparai per la sera.Mi masturbai nella doccia, ne avevo bisogno.
Dopodiché, aspettai sul divano che mi venissero a prendere. "Scendi, coglione." fu il messaggio di Christian. Uscii. In macchina, Chri era alla guida, Marco sul sedile anteriore e io e Simone, compressi su quelli posteriori. Prima di entrare in macchina, Marco saltò fuori dal trabiccolo per salutarmi, con il suo solito sorriso.
Detesto quell'espressione sul suo viso. É uno di quei sorrisi di superiorità che ti fanno pensare che non tutti meritino del bene.
Mi costrinsi a smettere di pensarlo, quando, all'improvviso, sentii un forte colpo sul retro del collo.
«Lo scappellotto è per esserti tagliato i capelli, ti stanno male corti.» si giustificò, tenendo sempre quel sorriso sul volto.ODIO ESSERE TOCCATO, BRUTTA TESTA DI CAZZO. NON DEVI TOCCARMI.
Davo per scontato che, dopo la prima media, le persone acquisissero una certa maturità; che cazzo c'è di divertente nel dare uno scappellotto? Se la avessi dato a te, avresti riso?
Mi limitai a una risata finta, non volevo litigare per certe cazzate.
Non parlai molto durante il tragitto, in parte, perché Simone e Marco continuavano come sempre a litigare per chi dovesse meritare il posto davanti e quale canzone scegliere, in parte, perché preferivo non intromettermi, se non avevo nulla da dire; alla fine, è piacevole stare dietro, non mi importava di far prevalere la mia musica, non sarebbe piaciuta a nessuno di loro e odiavo quelle discussioni così futili. Alla fine Christian ne mise una di Tha Supreme, accontentando tutti.
Dopo una mezz'oretta, arrivammo a destinazione.
«Mi dovete i soldi per esservi venuti a prendere e per gli alcolici, comunque. Ancora non mi escono i soldi da culo.» disse Christian, mentre estraeva dal bagagliaio un paio di bottiglie.
Eravamo a Ognina, adoravo quel posto. I miei mi portavano lì con mio fratello Damiano fin da bambini per andare alle giostre, ricordo che fra tutte preferivo il Bruco-Mela e gli autoscontri. Ogni volta, io e Damiano ci sfidavamo a entrare nella stanza degli orrori, finendo per non dormire tutta la notte. Per non parlare delle partite a basket con vista mare, è da anni che io e la mia famiglia non ci torniamo.
«Di qua, ragazzi.» disse Simone, mentre si arrampicava su una roccia. La scogliera non era così profonda, bastava mettere un piede alla volta e non ci sarebbero stati problemi.
Seguimmo Simone fino a scendere in riva al mare, era tutto buio e tranne il rumore delle onde non c'era nient'altro; notai un coppia che, sicuramente, prima del nostro arrivo, stava facendo sesso: si vestirono in fretta e se ne andarono subito. Ridemmo, anche se non c'era nulla di così divertente. Accendemmo il flash dei nostri telefoni, ci accomodammo e gli altri iniziarono a bere.
«Bevi qualcosa pure tu, dai...» disse Marco, gentilmente, mentre mi faceva un White Russian.
«Lo sai che non mi piace l'alcol.» risposi, con il cenno di un sorriso.«Tanto i soldi me li devi lo stesso. » commentò Christian, coprendosi le mani prima di un rutto.
«Eddai, rilassati, ci sta perdere il controllo qualche volta.» riprovò Simone.
«Non mi fa nessun effetto, ci ho provato innumerevoli volte, ma non sono mai riuscito a ubriacarmi davvero.»
«Si, vabbè. Avrai bevuto qualche stronzata.» ribbattè Marco con un mezzo ghigno di superiorità.
«Va bene. Fatemi bere quello che volete, ma se reggo, vi dovete buttare in mare. Con tutti i vestiti.»
Accettarono. Inconsapevoli del fatto che qualcuno ci stesse osservando.
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ONI
Mystery / ThrillerSe il diavolo non esiste, ma l'ha creato l'uomo, l'ha fatto a sua immagine e somiglianza. Leggi la storia, invece della descrizione. Perché i libri, come le persone, non sono abiti su misura. Immagina che l'opera "La notte stellata" abbia avuto la...