IKIGAI

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Dormii poco, avevo troppe domande in testa. Alle 7 mi preparai con riluttanza per andare a lavoro, non feci nemmeno colazione. Una volta lì, non riuscii a togliere gli occhi di dosso dal mio corpo; perché proprio a me? Cos'altro era cambiato del mio corpo?.
Venni distratto dai miei pensieri grazie a Claudio.
«Il caporeparto ti vuole parlare, in ufficio.»
«Sai qualcosa?»
«Non ne ho idea.»
Mi alzai da terra, stavo finendo di montare lo sportello di una cassa frigorifera. Non era una di quelle che si possono vedere in una normale casa, ma molto più grande; due metri di lunghezza per tre metri di larghezza. Tolsi i guanti, poggiai i miei attrezzi sul tavolo di lavoro e mi diressi verso l'ufficio.
«Ehi ragazzo, vieni qui, resta pure in piedi. Non ci metteremo molto.» disse allegro appena mi vide, e così feci.
«Da quanto lavori con noi?»

«6 mesi.»
«6 mesi...» ripetè.
«Ne è passato di tempo. Sei cambiato moltissimo dal tuo arrivo qui; sei diventato un po' più alto e... hai fatto qualcosa ai capelli, vero? Stai bene.»
«Grazie.»
«Tuttavia, i tuoi colleghi mi hanno comunicato che sei cambiato anche a lavoro. Questo mese, tu e Claudio avete costruito solo 9 casse.»
«Mi scusi. Ci abbiamo impiegato più del previsto perché per una cassa mancavano dei pezzi, e non avevamo spazio per...»
Scattò innervosito all'improvviso, impedendomi di finire la frase.
"Allora ragazzo: questo mese, dobbiamo decidere se rinnovarti il contratto, o mandarti a calci in culo a casa. Se sento dire ancora una volta che non fai nulla, ci sarà un richiamo scritto.» disse, alzando leggermente il tono di voce.
Annuii e tornai a lavorare.

SENZA PALLE. LECCACULO.
SI FANNO VEDERE BELLI DAVANTI AL CAPOREPARTO INFAMANDOMI ALLE SPALLE.

Finito il mio orario di lavoro, andai come sempre a prendere il mio sacchetto col pranzo: anche quel giorno, erano in molti a guardare il telegiornale.
«Ultime notizie, in Cina continua la quarantena, attualmente i casi continuano ad aumentare...»
Claudio mi si avvicinò da dietro appoggiando la mano sulla mia spalla.
«Ehi Atarae, tutto bene?» chiese con un sorriso.

NON TOCCARMI, NON TOCCARMI. NON TE NE FREGA UN CAZZO DI COME STO. SARAI STATO TU AD AVERMI INFAMATO, PEZZO DI MERDA.

«Tutto bene.» Ricambiai il sorriso.
Entrai subito in macchina, e chiamai Damiano.
«Ehi, dì alla mamma che non sto tornando a casa, voglio sapere di più su ciò che abbiamo visto ieri.»
«Atarae no! Vienimi a prendere, voglio esserci.»
«Non mi fido di loro, Damiano. E poi, è una situazione troppo bizzarra... non voglio che ti immischi.»
«Ho visto i tuoi occhi cambiare colore, sei bianco come un fantasma...avresti dovuto avvertirmi.»
«Lo stavo per fare, lo giuro. Comunque, sono diventato anche più alto, i miei capelli si sono scuriti...»
«Avresti dovuto dirmelo subito. Dobbiamo trovare un modo per nasconderlo a mamma e papà.»
Sbuffai. «Già.Mi hai convinto, sto arrivando.»
Andai a prendere mio fratello e cercammo la via che ci aveva scritto l'uomo la sera prima dopo averci accompagnati, e finalmente potei togliere il cappello. Su quel foglietto c'era anche il suo numero di telefono. Ci volle un po' per arrivare; attraversammo una lunga strada sterrata, il tramonto e la vegetazione davano come un effetto nostalgico. Ci ritrovammo infine in una strada piene di villette. Fra queste, accanto ad una abbandonata, ce n'era un'altra nera in stile mediterraneo, con su il numero civico 17.
«Ok, è questa.»
Di certo eravamo vicini all'Etna, ma non sapevo dire dove di preciso.
Dall'esterno la casa aveva una bellezza particolare, come se fosse disconnessa da tutto. Riconobbi subito il cancello nero che avevo visto la notte prima; era alto almeno tre metri ed era in stile barocco, piuttosto raro a Catania. Oltre il cancello c'erano tre statue di scimmie (una si copriva le orecchie, l'altra gli occhi e l'altra ancora la bocca) e un grande prato pieno di fiori che non avevo mai visto, simili a delle rose, ma con una forma un po' insolita. Sopra ad essi volavano centinaia di farfalle nere, una donna era lì accovacciata che li innaffiava.
«Mi scusi, il signor Fujiwara voleva che venissimo oggi, possiamo entrare?». Ci rivolse un sorriso e venne ad aprirci. Appena la vedemmo in volto, sia io che Damiano abbassammo la testa, stupiti da ciò che avevamo appena visto. Era una donna bellissima... aveva l'aria di essere italiana. I suoi lunghi capelli castani e morbidi poggiavano sulla spalla sinistra, raccolti in una coda tramite un elastico per capelli nero. Possedeva un fisico magro e un seno prominente, ben visibile dal grembiule. Il suo dolce viso stonava con la sua parte destra e con il collo, il quale aveva delle cicatrici orizzontali molto evidenti che parevano come segni della zampata di una tigre.
La ringraziammo. Continuò a sorridere e ci accompagnò verso l'entrata. Appena entrammo, sentimmo qualcuno alzare la voce; proveniva da un ragazzo dai tratti occidentali, biondo e di carnagione scura, che dall'aspetto pareva essere poco più grande di me. Insieme a lui c'era il signor Fujiwara.
«QUEL CHE FACCIO NON È AFFAR TUO. PROVA UN ALTRA VOLTA A...» dopo averci visti, smise di parlare.
«Atarae! Daniele! Ben arrivati! Mia moglie deve avervi fatti entrare. Lui è Robert: è stato lui ieri a portarvi qui ieri, vive insieme a noi.»
«Molto piacere,mi chiamo  Damiano in realtà.» Gli porse la mano, ma lui lo ignorò. «Non importa...» disse con una voce talmente flebile che probabilmente solo io l'avevo sentito.
«Robert, non andartene... voglio che tu faccia compagnia a Giulia anche stasera.»
«Sai bene cos'ho visto-» si fermò a guardarmi «... dovresti preoccuparti di più per lei, sono entrambi tuoi figli»
«Non è il momento di pensare a questo» rispose pacatamente.
«Dario, io andrò con Atarae per fare diversi controlli, puoi pure stare tranquillo... voglio solo capire cosa è cambiato nel corpo di tuo fratello; invece tu, Robert, resta pure con Giulia a badare al resto della casa.»
Il ragazzo se ne andò in silenzio, seguito dallo sguardo di disapprovazione di Fujiwara. Dopodiché spostò gli occhi verso Damiano: «I-io v-vado a cercare Giulia... comunque il mio nome è Damiano, non Dario...»
Bussò alla porta di camera sua e, dopo il suo consenso, entrò. La trovò intenta a leggere un fumetto spaparanzata sul letto mentre indossava un pigiama con dei ricami di pecorelle. Quello che teneva in mano aveva tutto l'aspetto di un manga hentai. «Cos'hai da guardare?»
«Vedo che tu e tuo padre avete entrambi un pessimo gusto in fatto di pigiami»
«Il mio pigiama è bellissimo, esattamente come chi lo indossa. Stupido...»

Seguii il signor Fujiwara per tutta la casa; ad un certo punto, scendemmo dalle scale che ci condussero davanti ad una porta: si trattava di un laboratorio. Si sedette su una sedia dopo aver indossato un camice, e mi invitò ad accomodarmi su un lettino. Notai un vecchio ombrello con un manico molto elegante accanto al muro, erano presenti diverse foto con dei colleghi, ed una laurea.
«Quindi... lei è un medico.» dissi, guardandomi intorno.
«Dovrei esserlo, ma non ho trovato nessun posto di lavoro in questa città come tale. Ho un ristorante però.» e mi indicò un quadro dall'altra parte della stanza che raffigurava lui e sua moglie in primo piano sorridenti, e Robert nello sfondo che rideva vedendo Giulia con il cibo rimasto in faccia.
«Non hai paura degli aghi, vero?»
«Un po'...» risposi timidamente.
Il signor Fugiwara mi fece scendere le scale che portavano alla cantina. Era una scalinata buia, potevo vedere alcuni apparecchi medici nella penombra. Sulle pareti, oltre a varie fotografie, c’erano delle bacheche di vetro con dentro parti scheletriche e organiche di animali mai visti prima.
"Per non metterti a disagio ti chiederò di togliere solo la maglia d'accordo?"
"Si, no.. uhm... okkey…" e feci come richiesto. Ripiegai la maglietta di lato e rimasi a petto nudo, rabbrividendo dal freddo.
"La tua pelle è molto pallida. Sei sempre stato così?"
"No, il mio corpo ha perso colore all’improvviso."
"Perso… colore. Interessante. Chissà se la tua pelle può cambiare se esposto a luce solare. Altri cambiamenti visibili?"
"I capelli si sono inscuriti e allungati, mi vedo anche un po’ più alto."
Sembrò titubante e mi guardò da testa e piedi. "Quanto alto eri, prima?"
Cercai di ricordare. "Più o meno 1.67."
"E questo cambiamento è accaduto dal giorno alla notte o gradualmente?"
"Da ieri. Mi sono svegliato... e mi sono ritrovato così."
Sembrò rimuginare. Presi coraggio e mi spinsi sul bordo del lettino.
"Ma lei è proprio sicuro che io sia un..yok-coso? Non potrei avere solo qualche tipo di influenza?"
"Si chiamano yokai... e se vuoi te ne do subito una dimostrazione pratica, Atarae."
"Dimostrazione?"
Prese una puntina da disegno e senza preavviso, me la conficcò sul dito che inizio subito a sanguinare. Non feci in tempo a emettere una smorfia che mi disse: “Guarda cosa succede alla ferita."
Rimasi sbalordito, dopo solo qualche secondo la ferita era guarita.
"Ma com’è possibile?" Esclamai.
"Gli yokai guariscono più velocemente e non posso morire se non tramite speciali attrezzature"
"Aspetti… cosa? Mi vuole dire che se mi sparassero non sentirei nulla?"
"No, mio caro. Sentiresti dolore, ma torneresti come prima o quasi, potrebbe rimanerti dentro la pallottola. Questa è una cosa che hanno in comune quasi tutti gli yokai, se vuoi posso mostrartelo in maniera più approfondita" ad un tratto afferrò una forbice.
"NO! La-ringrazio va-bene così"
"Già che ci sono posso tagliarti un capello per le analisi?"
"Si… faccia pure.."
Dopo avermi tagliato un capello inizio con le misurazioni.
Io ero totalmente assorto dai miei pensieri.
Istintivamente, la prima cosa che pensai era che tecnicamente avrei potuto avere un incidente grave e guadagnare di assicurazione per tutta la vita. Oppure farmi arruolare per andare in guerra fuori e diventare un eroe. Ma entrambe le cose non facevano per me. Solo l’idea di ricevere  dolore, anche se non mortale mi frenava da qualsiasi cosa. Però chissà, forse diventare uno yokai era diventato più un vantaggio.
Dopo aver terminato la visita, tornai da Damiano. Non mi sarei mai aspettato di assistere a ciò che vidi: Giulia e Damiano che ridevano e giocavano dandosi cuscinate, e Damiano era in netta difficoltà.
«ATARAE AIUTAMI!!!»
Ad un certo punto, venni travolto anch'io dal loro divertimento, e mi unii a Giulia prendendolo a cuscinate a mia volta, dimenticando per un momento tutto l'accaduto.
Cenammo lì, e la signora di prima, che scoprimmo essere la madre di Giulia, ci preparò delle cotolette. Robert non mangiò insieme a noi.
«La ringrazio, signora...»
«Si chiama Anna.» disse Giulia.
«Non può risponderti. Ha avuto un incidente, da allora è muta...»
«...La ringraziamo, Anna.» rispose Damiano.
Finalmente il signor Fujiwara uscì dal suo laboratorio, con aria pensante.
«Sembra che tu abbia avuto solo un cambiamento esteriore e nient'altro, anche se "solo" non sarebbe il termine adatto nel tuo caso... essendo uno Yokai, puoi cambiare a comando la tonalità degli occhi. Ma questo non porta a nessuna variazione fisica o delle abilità; quindi, nessuno si è impossessato del tuo corpo. È qualcosa che, personalmente, non mi era mai capitato di vedere da così vicino... non con questi sintomi.»
«È un bene, no?» chiese Damiano.
«Non ne ho idea. Inoltre devo fare altri accertamenti. Quindi, vi conviene prepararvi: seguirete Robert e Giulia con la vostra auto.»
«Perché? Dove dovremmo andare?» chiesi.
«Andrete in cerca di Yokai. Magari interagendo con diverse specie capiremo cosa sei esattamente, mi servirà anche un campione di sangue della creatura.»
Sentii un brivido diffondersi in tutto il corpo.

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