PERCOLATO

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Finalmente, arrivammo davanti a un edificio enorme, un grosso cubo di mattoni davanti a una piazzola sgombra. Ci avevamo messo ore, perché Giulia, per seguire la farfalla, aveva guidato sotto i dieci all'ora, creando una coda, dietro di noi, di gente non esattamente comprensiva. Proprio, là accanto alla rinomata chiesa di mattoni di Nesima, si ergeva una casa popolare piuttosto malridotta. Odiavo quel posto. Non solo era pericoloso perché notoriamente era zona occupata e ricca di criminalità, ma ricordo quando, a quattordici anni, venni aggredito e derubato da un gruppo di ragazzi, proprio lì vicino. Avevano detto che li avevo fissati, ma non avevo fatto nulla; ho ancora la cicatrice della sigaretta che mi spensero vicino alla clavicola. Da allora, mi abituai a prendere autobus che facevano un altro tragitto.
Anche dopo che il dolore passò, per molti mesi, venni pervaso dalle paranoie.
Avevo fatto qualcosa in particolare per infastidirli? Avrei potuto evitarlo? Forse, essere basso e magro, per loro, era un simbolo di debolezza o forse, non avevo una faccia minacciosa. Ma soprattutto, perché loro mi hanno trattato così? Qual era il loro scopo?
Poi, un giorno, a scuola, lessi che Irma Grese fu la donna nazista più giovane della storia a essere stata giustiziata; veniva chiamata La bella bestia. Si dedicava a ogni genere di tortura, assassinava chiunque alla prima occasione e si divertiva a tormentare e picchiare bambini, aizzando contro di loro i suoi cani. Durante il periodo di guerra, godette di ogni singola crudeltà, come se fosse la sua unica ragione di vita e quando arrivò il verdetto per la sua condanna, non diede mai cenno di rimorso o pentimento per ciò che aveva fatto.

Ciò che iniziò a spaventarmi della gente, è che ogni discussione serve a dare conferma di aver ragione e non a capire. Perché non esiste razionalità, non esistono pentimenti, non esiste empatia né confronto, se non per chi crediamo abbia qualcosa in più rispetto a noi.
Tutto ciò che facciamo è perfettamente giustificato nelle nostre idee contorte.
Giulia scese dalla sua auto con indosso la maschera, seguendo con lo sguardo la farfalla nera; essa volò in alto e si poggiò su una veranda al terzo piano, per poi volare via.
«È lì sopra» disse Robert, accendendosi un sigaretta dentro l'auto.
«E ora, come facciamo a entrare? Forse, è meglio se andiamo via...» disse Damiano, uscendo dall'auto.
Giulia appoggiò al muro la custodia in cui teneva la spada, scavalcò il primo cancello e aprì il secondo che era stato lasciato aperto, dopodiché premette il pulsante interno che ci consentì di entrare.
«Il secondo era rimasto aperto perché la serratura è rotta» aggiunse lei con tono soddisfatto, mentre riprendeva la custodia.
Prima di entrare, mi rivolsi a Robert, che stava ancora fumando seduto al posto di guida.
«Tu non entri?»
Fece un tiro di sigaretta e mi sbuffò in faccia il fumo passivo.
«Fatti i cazzi tuoi.»
«O-ok...»
Decisi di lasciarlo perdere ed entrai nel palazzo.
Le scale, come del resto tutto l'edificio, erano fatiscenti; non c'era nessun ascensore, nonostante ci fossero ben sette piani. Una volta arrivati al terzo ci fermammo di fronte alla porta di un appartamento, sulla targhetta c'era una scritta un po' sbiadita: "Randazzo".
«E ora, come pensi di entrare? Arrampicandoti fino alla finestra?» chiese Damiano.
«Suonando al campanello.» rispose, tranquillamente, Giulia.
«Chi vuoi che venga a suonare alle 00.30? Questo non è il quartiere ideale per fare una cosa del genere. E poi, probabilmente staranno dormendo.»
«Se non te la senti Damiano, torna in macchina.»
«Non dire cazzate, quel tipo in macchina mi preoccupa molto di più... voglio soltanto evitare di recare disturbo. Se ci fosse qualche mostro non sarebbe tutto così tranquillo, no? Mi sa che seguire le farfalle non è un metodo affidabile per ottenere informazioni.»
«Damiano stavolta ha ragione, è tutto così calmo...» aggiunsi io.
«Non mi avete ancora detto il vostro cognome.»
«Mh? È Accardi... ma cosa c'entra?» Mentre rispondevo mi accorsi che Robert mi fissava da lontano continuando a fumare.
"Beh, fratelli Accardi... sappiate che il silenzio non è mai vuoto, è sempre pieno di rumore. Per questo motivo riesce a essere così spaventoso. Se non ci aprono, la nostra unica alternativa è scassinare la porta.»

«Atarae, questa è fuori di testa! Come può pensare che noi...! Sentite anche voi quest'odore?»
Dalla porta, fuoriusciva un odore insopportabile, non saprei descriverlo, era come se qualcuno avesse lasciato un sacco di spazzatura al sole.
«Sta succedendo qualcosa, lì dentro.» disse Giulia. Aprì una tasca esterna della sua custodia e
prese la sua carta di credito. La inserì nella fessura, spingendola in basso, fino a toccare la serratura e fece scattare il meccanismo. Sembrava di essere in un film di spionaggio.
La porta si aprì e fummo stravolti da ciò che vedemmo; dovemmo tapparci il naso per via della puzza. Il salone era completamente a soqquadro, le pareti e il pavimento erano pieni di orme e sporcizia; mentre, accasciata a terra, c'era una donna: perdeva sangue dagli occhi e continuava a sbavare sul pavimento.
«Che cazzo è successo qua dentro?!» esclamai, in preda al panico.
«Calmati.»
Giulia le si avvicinò e la studiò con una rapida occhiata.
«Lo Yokai che si trova qui non è tipicamente aggressivo, se non viene provocato: è un Akaname. Nasce in luoghi sporchi e ne è morbosamente attratto. State lontani dalla sua lingua velenosa e rimanete dietro di me.»
«Dobbiamo chiamare qualcuno, questa donna rischia di morire!» esclamò Damiano.
"No. Affacciati dalla finestra e fa segno a Robert di salire. È lui che ci serve.»
Dopo che Damiano ebbe eseguito la richiesta, Giulia afferrò la sua arma, e tutti e tre ci avvicinammo per combattere quel cattivo odore che proveniva dal bagno. Da lì avevano origine le strane orme: da queste capii che camminava a quattro zampe, lunghe e con un solo artiglio ciascuna. Ci avvicinammo per sforzarci di vedere meglio. Dall'aspetto e dall'odore ricordava una discarica a tutti gli effetti. A terra, c'era un uomo con pantaloni e mutande abbassati, anche lui pieno di bava e con il sangue che gli usciva dagli occhi. Era accanto ad una creatura umanoide magrissima, nuda e lercia, con degli arti e una coda lunghi e un solo artiglio sulle zampe posteriori; i suoi capelli erano lunghissimi, e le sue orecchie a punta. Si stava nutrendo, con la testa immersa nel water.
«Dobbiamo prendere quell'uomo!»
«Fermo, Damiano. Dobbiamo evitare di essere avventati o potrebbe attaccarci.»
Impugnata saldamente la sua spada, Giulia si avvicinò, ma non ebbe il tempo di colpirlo che venne scoperta dal mostro, che immediatamente emise un urlo fastidiosissimo:
«IIIIIIIIIHHHHHHHHH!!!».
Dopodiché, si arrampicò sul soffitto e potei finalmente notare la lingua lunga almeno un metro e mezzo che possedeva. La creatura, sentendosi minacciata, saltò addosso a Giulia, che urlò e fece cadere a terra l'arma; per allontanarlo, gli lanciò tutto quello che le capitò di trovare a terra, come lo scopino del water e il cestino della spazzatura.
«Damiano, resta qui!!» gli urlai, ma era troppo tardi. Corse da lei e diede un calcio alla creatura.
L'Akaname, appena si riprese dal colpo, afferrò in fretta con la lingua le gambe di Damiano e lo gettò a terra.
«Damiano!»
Mi buttai a terra lo presi per le braccia, mentre Giulia ne approfittò per infilzarlo.
La creatura emise un altro di quei versi, e fuggì in un altra stanza, arrampicandosi sulle pareti.
Anche Damiano iniziò a sanguinare e sbavare, ed io, estremamente spaventato e disorientato, presi della carta igienica lì vicino, sul pavimento, per tentare di fermargli il sangue. Non riuscivo a smettere di tremare dal nervosismo.
«Sta tranquillo, ok? Non morirà. Resta qui» disse Giulia, per poi cambiare stanza.
Entrò in camera da letto, dove c'era un neonato in una culla; da poco, aveva iniziato piangere. Si guardò intorno, aspettandosi un attacco improvviso dalla creatura, si avvicinò al bambino e si accorse che era lui ad emanare quel cattivo odore.
«Cazzo, devo avvertire Atarae, ha il pannolino sporco... devo portarlo fuori di qui velocemente, prima che-»


Sentii cadere qualcosa.
«Damiano, torno subito. Non ti abbandono, capito? Vado a vedere.»
Entrai in camera da letto.
Quello che vidi mi cambiò la vita per sempre. Posso dire con certezza di non aver mai potuto neanche immaginare di assistere ad una scena così raccapricciante. Sul pavimento c'era Giulia, con gli occhi sporchi di sangue; l'Akaname, anch'esso ricoperto di quel liquido rosso, aveva allargato la bocca come un serpente: stava portando il neonato verso di sé, per poi ingoiarlo per intero.
Fuggii disperatamente, senza pensarci. Volevo andarmene, stavo troppo male. Inciampai in una lattina, rotolando tra la sporcizia per riprendere la fuga, cercando di raggiungere l'uscita. Mi vide e mi inseguì, correndo sul soffitto.
«IIIIIIIIHHHHHHHHH!».
Mi avvolse nella sua lingua viso e collo. Il suo veleno entrò dentro di me e un forte dolore mi causò degli spasmi muscolari, facendomi cadere a terra. Lì, persi il controllo del mio corpo: iniziai a sentir bruciare tutto, non vidi più nulla. Venni a contatto con qualcosa di vivo e viscido e capii mi stava divorando per intero... dalla testa.

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