Aselgheia

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Quella notte, Marco uscì di casa ed entrò nell'auto di Christian.

«Come mai mi hai chiesto di uscire di domenica? Domani devo svegliarmi presto» disse lui.
Chiuse lo sportello.
«Hai ragione Christian... ma dovevo assolutamente uscire per svagarmi. In questo periodo, ogni cosa mi porta inequivocabilmente alla noia.»
«Leopardi diceva che soltanto gli intelligenti si annoiano. Mi sa che si sbagliava.»
«Continua pure con le tue stronzate, tanto non riusciresti a capire. È da quando ho compiuto sedici anni che tutto attorno a me inizia a diventare noioso. Certe volte mi chiedo come facciano i vecchi a non desiderare di morire.»
«Che vuoi dire?»
«I grandi hanno già visto tutto migliaia e migliaia di volte e io già faccio fatica a stupirmi ancora alla mia età. Siamo arrivati al punto che dobbiamo illuderci di divertirci, come quando fumo o..» Marco fece un' espressione disgustata. «...o quando faccio sesso.»
«Come sei profondo oggi... usi questi discorsi filosofici per convincere le tipe a dartela?»
Iniziò a ridere.
«Con tua madre, non è stato necessario.» rispose zittendolo. «Dai, andiamo.»
Durante il tragitto verso il centro, Marco chiese di fermarsi davanti a una via del quartiere del Fortino.
«Che dobbiamo fare qui?»
«Aspettami. È la casa di una mia amica... avevo detto che sarei passato a salutarla.»
«Che cazzo, Marco... così si farà tardi.»
«Cercherò di metterci poco, promesso.»
Uscì dalla macchina e Christian lo vide suonare al citofono; rispose la voce di un bambino.
«Chi è?»
«Io.»
Aprì il portone e Marco entrò.
Sentì aprirsi una porta, al secondo piano. Salì le scale e si trovò faccia a faccia con il bambino. Poteva avere più o meno sei anni e sembrava piuttosto confuso.
Una voce maschile si rivolse a lui.
«A chi hai aperto, Alessio?»
«C'è un ragazzo, papà» rispose tranquillamente il bambino, mentre Marco lo guardava con un sorriso dolce.
Subito dopo, l'uomo uscì dall'entrata; e non appena lo vide, gli si rivolse con tono intimidatorio:
«Chi sei tu? Cosa vuoi?»
All'improvviso, l'uomo fece un volo all'indietro, cadendo a terra. Il bambino cominciò a urlare.
Il figlio maggiorenne, che in quel momento giocava alla Playstation, vedendo il padre a terra e pieno di bruciature in tutto il corpo, si alzò di scatto.
«Papà, papà! Che ti è successo?»
Cercò di controllargli i battiti, ma prese una scossa elettrica che lo fece indietreggiare. Marco entrò in casa tranquillamente, prese il telefono dell'uomo e glielo mise dinnanzi alla bocca, per verificare se respirasse ancora.
Non dava segni di vita.
Il figlio maggiorenne notò che il colore degli occhi dell'intruso erano cambiati improvvisamente: adesso avevano l'iride di un rosso acceso, mentre la sclera era completamente nera.
«CHI CAZZO SEI TU?!» urlò il ragazzo, mentre la sorella e la madre arrivavano dall'altra stanza, preoccupate per tutto il rumore che avevano sentito. La ragazza poteva avere più o meno 25 o 26 anni ed era sicuramente uscita di fretta dalla doccia; indosso, aveva soltanto un lungo asciugamano. Marco non rispose, era intento a guardare le due donne spaventate.
«RISPONDIMI, PEZZO DI MERDA!»
Un po' infastidito, Marco si girò verso il ragazzo, si grattò dietro la nuca e si guardò la mano destra; schioccò le dita verso di lui, travolgendolo con un scossa elettrica che lo fece cadere a terra.
D'un tratto, la stanza si riempì delle urla di terrore di madre e figlia. Il fratello maggiore continuava a contorcersi; respirava affannosamente e con fatica, e il suo braccio destro era completamente ustionato.
Disturbato dalle urla, Marco si avvicinò al bambino, che non smetteva di piangere; ma le due donne cercarono di persuaderlo affinché si allontanasse da lui.
«Ti prego, lascia stare Alessio. Sta lontano da lui, Marco!» disse la ragazza.
«Non ti azzardare a toccare mio figlio , ti prego... fermati!»
Marco si abbassò verso di lui e gli accarezzò affettuosamente i capelli.
«Ehi... Alessio, giusto? Non aver paura, la tua famiglia sta solo scherzando... stanno tutti bene, è tutto un gioco.»
Il bimbo continuò a piangere; ma vedendo il viso simpatico di Marco, si tranquillizzò e si limitò a singhiozzare.
«Lascialo!» urlò la madre.
Marco abbracciò dolcemente e il bambino, che venne pervaso da una forte scossa elettrica; lo uccise senza nemmeno lasciargli il tempo di urlare dal dolore.
Le grida delle due donne si fecero più acute; non riuscivano a smettere di piangere dalla paura e dal dolore nel vederli stesi a terra.
«Cosa vuoi da noi? Chi cazzo sei tu?» urlò la madre.
«Un amico di Chiara.» rispose annoiato Marco avvicinandosi a loro, che indietreggiarono immediatamente.
«Mio padre aveva ragione, e io, io ho sempre pensato fosse pazzo. Sono nato speciale, ed essendo tale, ho l'obbligo morale di amministrare le vite altrui... non vedete i fulmini? Non credete che mi rispecchi molto Zeus? .»
«Vattene via! Ti prego vattene!» replicò la madre, quasi a perdere la voce.
«Ehi, calma, calma... è così che tratti il tuo dio? Non vi farò nulla, se farete ciò che vi dico.»
«Che cosa vuoi...?» chiese ancora, tra le lacrime.
«Se non ricordo male, Zeus amava avere rapporti sessuali con qualsiasi donna volesse, solo io lo capisco. L'accettazione allo stupro è la perversione finale, nonché la forma più alta di dominio. Spogliatevi.»
Le due donne, sentendo quelle parole, divennero di pietra; la ragazza smise di urlare, ma una lacrima le attraversò il viso.
«Marco... mi dispiace per ciò che è successo l'ultima volta. Cancellerò l'articolo, promesso.»
«Vi ho detto di spogliarvi.»
"Ti... ti accontenterò... ma lascia stare mia figlia, per favore.»
«Dio non scende a patti» rispose lui, sorridendo. «Farete ciò che voglio io. Prima tocca a tua madre, così vedrai come fa una donna con molta esperienza»  
Marco si avvicinò alla donna, lei indietreggiò, ma lui le afferrò il braccio.
Le si avvicinò e le diede un bacio, che in pochi secondi, divenne un atto perverso.
Afferrò la sua testa, facendole capire di doversi mettere in ginocchio. Lei obbedì, gli abbassò la cerniera e glielo ficcò in bocca.
Marco era sul vertice dell'godimento. Ma non era per l'atto in sé, era per il potere che aveva su di lei. E ne voleva ancora. La spinse via e le ordinò di mettersi carponi, per metterglielo dentro.
La donna teneva lo sguardo basso, non voleva guardare il volto della figlia, che non faceva altro che tremare, impotente. 

(XXX)
Dopo essere venuto nuovamente, la fece rivestire e rialzare. Accarezzò il viso di entrambe e chiese:
«Suvvia, non abbiate paura, ora è tutto finito. Chiara, l'ultima volta, ti ho parlato di me e dei miei sogni, ma non mi hai detto nulla di te: qual è la tua serie tv preferita?»
Inizialmente, erano titubanti; ma per non provocarlo ancora rispose «La... la... casa di... carta» singhiozzò.
«Anche la tua?» si rivolse alla madre.
«N-no... io non guardo serie tv.»
«Non sai che ti perdi.»
Chiara iniziò a piangere senza controllo.
«Calmati. Mi irrita. Qual è il tuo personaggio preferito nella Casa di carta?"
«R-rio...»
«Ah sì... quello che voleva Tokyo. Io, sinceramente, l'ho trovato un po' banale come personaggio... comunque, hai un bellissima madre, Chiara.»
Lei annuì debolmente, con lo sguardo perso.
«È stato un piacere conoscervi. Ora, però, sono in ritardo... c'è il mio amico che mi aspetta sotto da un'oretta, e gli avevo promesso che sarei rimasto poco.»
Marco toccò entrambe le donne e ci fu un'ultima scintilla che fece loro esplodere la testa, fulminando tutte le lampadine che illuminavano la stanza.
Il fratello maggiore sentì il rumore dei suoi passi avvicinarsi a lui.
«Mi dispiace, ma il mio ruolo è anche quello di essere imparziale. Buonanotte» e indicò il suo corpo, facendolo morire definitivamente con un' ultima scarica. Dopodiché, uscì dalla casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Entrò in macchina; Christian era incazzato nero.
«Mi hai fatto aspettare un'ora, cazzo!»
«Scusami, ma non è ancora così tardi... dai, andiamo, ho voglia di fumare.»
«Ma che andiamo, mi hai fatto aspettare una cazzo di ora per fare i tuoi comodi.»
«Mi dispiace, sono stati loro a trattenermi... giuro.»
«Il fumo lo offri tu adesso.»
«Lo offro sempre io...»
«Non me ne frega niente.»
Christian accese la macchina e partì, ignaro di tutto ciò che aveva compiuto l'amico fino un attimo prima.

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