Mia madre mi svegliò bruscamente, gettandomi dell'acqua ghiacciata addosso. Mi alzai di scatto.
"Mamma, ma che cazzo?!"
"Credevi di potermi prendere in giro? Damiano mi ha detto tutto."
"Mamma! Mi avevi promesso di non dirglielo!" disse Damiano, alzando la voce da fuori.
"Sei proprio il cocco di mamma, eh!" risposi, seccato.
"Non dare la colpa a lui, l'ho costretto io a parlare. Non sopporto che tu sia uscito con quella Beatrice."
"Non ti è mai piaciuta nessuna ragazza che ti ho fatto conoscere!"
"Fra tutte, lei è quella che sopporto di meno!"
Entrambi iniziammo a sbraitare come dei pazzi, finché non entrò mio padre, evidentemente seccato.
"Sai cos'ha fatto nostro figlio? È uscito con quella scimmia della sua amichetta."
"Cosa vuoi che mi interessi di quell'incapace di mio figlio?"
Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché mia madre uscì dalla stanza con la scusa di dover riordinare la camera da letto. Vidi il disagio prendere il sopravvento sulla rabbia, nei suoi occhi Francamente, non mi importa di ciò che pensa di me mio padre, ma mi dispiacque di aver deluso lei. E poi, al momento, avevo altri problemi a cui pensare: quel Robert era un violento e aveva delle crisi di rabbia anormali; la cosa peggiore, era che sapeva dove abitavo. Decisi di parlarne con Damiano, che si era spostato in terrazzo, intento a disegnare qualcosa dal pc. Incredibile, si comportava come se non mi avesse appena sputtanato davanti a nostra madre.
«Cocco di mamma... devo raccontarti una cosa.»
«Sei riuscito a fidanzarti con la scimmia? Era ora... dopo migliaia di anni che vi conoscete...»
«No no, ascolta. Ieri, uno Yokai mi stava inseguendo, ma Robert era sotto casa nostra da non so quanto tempo... mi ha salvato, e poi, mi ha parlato.»
«EH? E cos'ha detto?!» disse, sbattendo lo schermo del PC.
«Era incazzato con me per qualche ragione, non sono riuscito a capire di cosa stesse parlando. Mi ha chiesto delle informazioni riguardo il nostro cognome.»
«Cognome? Cosa c'entra il cognome?»
«E io che cazzo ne so...»
Damiano sembrò pensoso, poi digitò qualcosa al computer.
«Allora... Accardi, Accardi, Accardi... eccolo. Significato cognome Accardi: Derivante dal latino Achardus. La prima parte (Achar) può avere molteplici significati: taglio di una lama, arma da taglio, spada, paura, terrore. La seconda parte (dus) può significare forte, valoroso, audace. Quindi, potrebbe significare essere valoroso con la spada o che incute paura per il suo valore.»
Damiano mi guardò a bocca aperta; per un attimo, non seppi cosa dire.
«Non può essere... sarà solo una coincidenza. Ci sono tanti altri cognomi con un significato simile.»
«Atarae, credo sia importante conoscere le origini della nostra famiglia... ma saperne qualcosa sulla nostra, è impossibile. Anche papà ci ha provato per anni. Lo sai meglio di me.»Sì che lo sapevo. Quattro anni fa, quando il nonno morì di vecchiaia, mio padre ci raccontò la sua storia. Da piccolo, era stato abbandonato in un orfanotrofio e il suo nome se l'è scelto da solo. Per me e mio fratello, è sempre stata una storia figa, avrebbe potuto sembrare la trama di un film. Successivamente, fu adottato da una famiglia di quattro sorelle.
Tuttavia, non ci aveva detto nulla riguardo al suo cognome. Nostro padre ci disse che lo ha sempre avuto; e che l'unica cosa che sapeva del suo passato, oltre a questa, era il nome di chi firmò le carte dell'abbandono. Era una persona importante e parecchio benestante. In quell'epoca, non esistevano i test del DNA... inoltre, tutti gli altri documenti riguardanti lui e suo padre, erano misteriosamente scomparsi. Quindi, dedusse che il mio bisnonno fosse un uomo potente e influente; e che la persona che firmò il documento di consegna all'orfanotrofio lavorasse per lui.
Passarono anni e finalmente, riuscì a incontrarlo; ma trovò soltanto un muro.
L'uomo lo minacciò e gli disse che non gli avrebbe rivelato nulla riguardo suo padre e che la ricerca del suo passato finiva lì. Da allora, si arrese.
Ho sempre pensato che potesse essere qualcuno di importante, ma a quanto pare, il signor Fujiwara sapeva altro.
«Dobbiamo parlare con il padre di Giulia» disse Damiano.
«No. Non ci torno in quel posto.»
«Atarae. Se ieri, mentre eri con Beatrice, ti avesse attaccato uno yokai, lei avrebbe rischiato di morire... e anche tu. So che non ti fidi di loro, ma...»
«HO DETTO DI NO, DAMIANO!» scattai.
«Ma... non capisci che siamo in pericolo?»
«Tu non hai idea di ciò che visto io. TU NON HAI VISTO QUEL BAMBINO VENIRE DIVORATO DA UN MOSTRO!»
«Non è stata colpa loro, hanno tentato di aiutarci...»
«NO, NON CAPISCI PROPRIO UN CAZZO! IERI, QUEL TIPO VOLEVA FARCI DEL MALE! Almeno... sai perché hai quella cicatrice sul collo? Bene, sappi che è stato lui!»Sentii papà sbattere il pugno sul muro. «E BASTA!» Mi dovetti calmare, non erano certamente cose da gridare ai quattro venti. E di certo, non erano cose che volevo che papà, o peggio, mamma, sentissero.
«Che ne sai tu? Non sai niente. Li vedi questi?» mi rimboccò Damiano.
Mi mostrò i suoi disegni fatti a PC.
«Sono tutti gli Yokai; ho impiegato settimane a fare ricerche. Il mostro che ha mangiato quel bambino è davvero innocuo, credimi; potrebbero spuntarne di molto peggiori... non ne hai idea.»
«Noi non andremo lì, Damiano. Scordatelo.»
D'un tratto, mi afferrò il telefono ed entrò in casa.
«Beh, allora... li chiamerò io.»
«Fermo, ridammi il telefono. Subito.»
«NO!»
Lo inseguii per tutta la casa, finché riuscii a prenderlo, spingendolo con forza contro la libreria in salotto. Damiano cercò di difendersi con dei calci, ma io lo colpii in faccia e gli diedi una serie di pugni allo stomaco.
Lui fece altrettanto, usando un libro piuttosto grosso; mi diede un altro pugno e mi buttò a terra. Dopodiché, si sedette sopra di me, e mi bloccò le braccia.
Riuscii a liberarmi ribaltandolo a terra e lui continuò a difendersi, colpendomi in faccia; finché non lo afferrai per la gola con molta forza. Damiano divenne rosso e batté a terra con la mano, per indicarmi che avevo vinto io; ma continuai, cominciando a ridere incontrollatamente.Devi ascoltarmi, cazzo. Ascoltami!
A un certo punto, guardai il mio riflesso nello specchio: i miei capelli erano cresciuti; e i miei occhi, erano diventati di quel blu spiritico.
Ritornai in me e lasciai Damiano, indietreggiando spaventato.
«Scusami, scusami, scusami... non volevo. Non so cosa mi sia preso... ero... molto arrabbiato... io...»
Iniziai a piangere.
«Dobbiamo andare dal signor Fujiwara. Non ti riconosco più.» disse Damiano, con un filo di voce. Aveva gli occhi rossi, lacrimava, parlava con voce flebile. Avevo stretto davvero troppo la presa.
Sì. Aveva ragione.
Per un attimo, era come se avessi perso il controllo di me; credo che la sensazione fosse più o meno quella provata da un sonnambulo. Robert mi aveva avvertito: sono un pericolo per gli altri.
Avevamo bisogno di una copertura, così da essere liberi di uscire ogni notte. Decidemmo di mentire a nostra madre, di comune accordo, dicendole che ci stavamo informando per lavorare come fattorini in varie pizzerie, per racimolare qualche soldo in più. Ma non ci credette.
Le dicemmo che, se ci avesse lasciato uscire quella notte, le avremmo dato delle prove.
Infine, cedette.
Damiano prese una borsa del ghiaccio e se la mise in faccia; era diventata gonfia, per via delle serie di pugni che gli avevo dato. Mamma aveva provato a investigare, ma le avevo detto che probabilmente era stato un colpo di calore. Non ci credette. Era chiaro che avesse capito perfettamente che ci eravamo picchiati, ma credo che non avesse detto nulla perché non voleva discutere ancora. Entrammo in macchina e ci avviammo verso quella casa in cui, settimane prima, mi ero promesso di non fare ritorno.
Suonammo al campanello. Ero fortemente preoccupato alla sola idea di rivedere Robert; ma cercai di rassicurami, pensando che non mi avrebbe fatto nulla. Almeno finché ci sarebbero stati Giulia e il signor Fujiwara insieme a noi. Si aprì il cancello e rimanemmo davanti alla porta, in attesa di poter entrare.
Mi rivolsi a Damiano:
«Siamo sicuri di volerlo fare?»
«Abbiamo altra scelta?»
La porta si aprì ed entrammo.
Ormai, dopo quello che avevamo passato in quel mese, ci aspettavamo di tutto. Niente poteva stupirci. Eravamo pure riusciti a credere in mostri che pensavamo esistessero solo nei film; ma davanti a ciò che vedemmo una volta entrati, ci ricredemmo.
Ad aprirci, non fu né il signor Fujiwara, né sua moglie Anna, ma Giulia.
Ed era completamente nuda.
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Mystery / ThrillerSe il diavolo non esiste, ma l'ha creato l'uomo, l'ha fatto a sua immagine e somiglianza. Leggi la storia, invece della descrizione. Perché i libri, come le persone, non sono abiti su misura. Immagina che l'opera "La notte stellata" abbia avuto la...