VITA

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Mi sedetti accanto a Damiano, mia madre mi passò un piatto pieno di carbonara.
«Allora? Perché sei vestito così?» ripeté Damiano.
«Dopo cena ho voglia di uscire e ho freddo.»
«E gli occhiali?»
«Sì.»
«Che vuol dire sì?»
«Da ieri ho fastidio agli occhi.»
«Fai vedere, Atarae.» disse mia madre.
«No mà, lasciami stare...»
Si stava già avvicinando per togliermeli. Mi alzai dalla sedia, sperando di sfuggirle, ma mio fratello riuscì a levarmeli da dietro. Chiusi gli occhi. Si sarebbe preoccupata se li avesse visti, e non avevo una spiegazione logica a tutto quello.
Sarebbe stato un ottimo piano, se mio fratello non si fosse messo a farmi il solletico sotto le ascelle. Dovetti cedere. «NO NO EHI, NON...!»
Io e mia madre ci guardammo, come se avesse appena beccato un ladro in salotto. Mi prese il mento, delicatamente, guardò a destra, a sinistra e poi sospirò. «I tuoi occhi sono a posto, forse è un po' di stanchezza, o un'influenza... sei bianco come un cadavere in viso.»

Mio padre non disse nulla, continuò a mangiare.
Infine, mia madre si sedette e iniziò anche lei.
Com'era possibile che non li avessero notati? Controllai io stesso specchiandomi sulla forchetta, erano tornati normali. Forse, me l'ero immaginato, anche il giorno prima mi erano tornati alla mente dei falsi ricordi.

Forse, sono pazzo.

O forse, quegli stronzi dei miei amici mi avevano messo qualcosa nel bicchiere. Finii di mangiare, io e mio fratello sparecchiammo la tavola e mi diressi verso il piano di sotto.

«Non uscire Atarae, stai male.»

«Sto bene mà, non starò fuori per molto.»

«Vengo anch'io, non ho nulla da fare in casa.» disse Damiano, mentre scriveva un messaggio.
«Bene, allora già che scendete, andate a buttare la spazzatura.»
Presi il sacchetto della plastica, Damiano quello del vetro e uscimmo di casa.

Misterbianco non è mai stato un quartiere molto frequentato, almeno non nella mia zona. Fuori non c'era nessuno, tranne qualche macchina, qualche anziano al chiosco per le bevande e qualcuno che portava a spasso il cane. I lampioni, da cui usciva una luce ramata, illuminavano il binario dell'automotrice. Buttammo la spazzatura e passeggiammo un po'. Non potevo scappare, mi avrebbe sicuramente seguito.
«Allora, hai visto il film di Breaking Bad? El Camino?»
«Sì.» risposi. «Onestamente, avevo altre aspettative.»
«Forse, abbiamo troppe pretese. Ma sono rimasto deluso anch'io, come con l'ultimo film degli Avengers.»
«Quel film è una merda. Com'è possibile che, fra così tante possibilità, la Marvel abbia considerato proprio quella di tornare indietro nel tempo?»
«Beh, però l'abbiamo visto tre volte.»
«Già.»

Camminammo in silenzio per un po'. Stranamente, per essere la Sicilia, era una serata estremamente tranquilla. Anche troppo.
«Secondo te, perché lo facciamo? Perché scegliamo di rivivere esperienze già vissute sapendo già che saranno deludenti? Tipo con te e Beatrice.»
«Non voglio parlare di lei.» risposi secco.
«Su dai, di solito ne parli sempre! O meglio, al telefono ci stai sempre attaccato. Quante volte hai sofferto per lei? Eppure, l'hai sempre perdonata...»
«Ho detto che non ne voglio parlare, Damiano.»
Damiano sembrava quasi offeso. «Mi spieghi cos'hai oggi? Mamma ha ragione, non stai bene; ti preoccupa il Coronavirus in Cina? Al telegiornale, parlano solo di quello, ormai.»
«No, non mi preoccupa per niente, troveranno un rimedio in poco tempo, esattamente com'è stato fatto con l'Ebola.»

Forse, non è stato l'esempio migliore. Mi sentivo sovraccaricato, dovevo parlarne con qualcuno, il prima possibile o mi sarebbe scoppiata la testa. Guardai Damiano. Sì, di lui potevo fidarmi. «Senti, Damiano... ascoltami. Devo confessarti una cosa che mi è successa ieri, ma devi promettermi che non lo dirai né a mamma e né a papà, per quanto assurdo ti sembrerà... mi stai ascoltando?»

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