7• Aaron si fa rapire e poi si trasforma in Chuck Norris

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Quando Kimberly aprì gli occhi, capì subito di non aver dormito molto. Erano ancora in volo; controllò un monitor posizionato sulla parete di fronte a sé e scoprì che erano quasi arrivati a New York.

Si voltò alla sua sinistra e notò che Aaron non era più là. Giunse subito ad una conclusione: era riuscito a farsi rapire da una hostess. Quella era una delle tendenze di Aaron; il fatto di cercare di trovare qualcuno con cui divertirsi. Quella mania, però, si manifestava solo quando Aaron usciva e ciò accadeva molto di rado, dato che aveva vissuto per praticamente tutta la vita al Campo Giove e le sue uscite erano tendenzialmente più uniche che rare. Ogni volta che ciò si verificava, Aaron diventava sempre molto silenzioso. Kimberly non si era mai interrogata troppo al riguardo.

L'annuncio del comandante - «Allacciate le cinture, fra poco atterreremo a New York. » - costrinse la semidea a disturbare Aaron dai suoi...beh, da qualsiasi cosa stesse facendo. Pensò che l'unico posto in cui ci fosse un minimo di privacy fosse il bagno, quindi pensò di provare a cercarlo proprio lì. Quando la vide alzarsi dal sedile, una hostess la richiamò, ma Kimberly non le diede retta e corse lungo un paio di corridoi prima di raggiungere il tanto bramato bagno. Aprì la porta e rimase piuttosto sorpresa da ciò che vide.

«Mi dispiace, ma sette minuti non sono ancora passati. Aspetta il tuo turno, cara.» La creatura che le aveva parlato era un'empusa. O forse lo era per metà dato che dalla vita in su sembrava una normalissima hostess in divisa da lavoro.

«Sette minuti?» ripeté Kimberly.

«Sì, sette minuti in paradiso.» affermò l'empusa sbuffando e battendo a terra lo zoccolo della sua gamba d'asino. Fece per chiudere la porta, ma Kimberly la bloccò col piede, impedendoglielo.

«Aaron sei lì?» gridò.

«Sì.» rispose immediatamente lui. Qualche istante dopo, l'empusa scomparve in un intrico di lingue di fuoco e l'unica cosa che Kimberly vide fu la mano di Aaron che stringeva il suo stiletto di bronzo celeste nel pugno.

Poi il suo amico aprì completamente la porta. Aveva l'aria sconvolta e allo stesso tempo soddisfatta di chi vince una maratona dopo una corsa sfiancante.

«Non è stato così difficile da uccidere.»

Kimberly aggrottò la fronte. «Sapevi già che era un'empusa?»

Aaron annuì. «Si era camuffata piuttosto bene, ma non è stato difficile condurla qui con una scusa. Quando scenderemo da questo aereo, sarà meglio mettere quanta più distanza possibile tra noi e il personale. Potrebbero esserci altri mostri camuffati da umani.»

«A proposito, stiamo per atterrare.» lo informò Kimberly. «Sarà meglio tornare a sedersi.»

I due riuscirono a sgattaiolare verso i loro posti proprio sotto il naso delle hostess, che sembravano essersi già dimenticate della fuga di Kimberly e della sparizione di due passeggeri. Si allacciarono le cinture giusto in tempo per l'atterraggio. Kimberly guardò verso il finestrino e vide un paio di pegasi farle la linguaccia e qualche ninfa del cielo salutarla con la mano. Vide anche degli spiriti del vento, ma decise di non preoccuparsene a meno che non avessero causato problemi al velivolo. Cosa che non accadde perché atterrarono all'aeroporto di New York tutti interi.

Kimberly e Aaron si affrettarono ad uscire per primi e tennero la guardia alta per tutto il tragitto fino alla zona del ritiro bagagli. Non ne avevano portati molti; Kimberly aveva una ventiquattrore e Aaron un semplice zaino. Li recuperarono e si misero in cammino verso l'uscita. Nel frattempo, Kimberly decise di accendere il cellulare e scoprì che Daniel l'aveva chiamata per più di cinquanta volte e che le aveva lasciato oltre cento messaggi in segreteria.

Olympus [2] • Who is gonna make it out alive Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora