29• Inganni e un'ulteriore sollecitazione a prendersi cura della propria pelle

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Era ormai passata un'ora da quando Kimberly aveva trovato il corpo di Daniel, eppure lei ancora non era riuscita ad allontanarsi da lui. Era sicura che se si fosse alzata le sue gambe avrebbero retto a malapena il suo peso, quindi non ce l'avrebbe mai fatta a trasportare Daniel fino all'accampamento. Forse prima o poi avrebbe avrebbe avuto abbastanza forza da alzarsi in piedi e correre a chiedere aiuto ai suoi amici, ma ancora non se la sentiva di lasciare Daniel lì da solo. 

Era rimasta appoggiata accanto a lui per tutto il tempo, ma solo in quel momento trovò il coraggio per allungare la mano verso il suo viso e calargli lentamente le palpebre con i suoi polpastrelli. Sperò di essere stata abbastanza delicata; aveva le mani piene di calli, ferite rimarginate e piccoli tagli in via di guarigione, perciò non propriamente le mani di uno di quei figli di Afrodite fissati con le creme rigeneranti, emollienti o chissà quale altro aggettivo strano e impronunciabile. Non era mai riuscita a capire una cosa: inventavano al momento quei nomi o li preparavano prima per fare il modo che sembrassero più saccenti dei figli di Atena? Sicuramente la prima perché nessuno era più secchione tra quel gruppetto di cervelloni dagli occhi grigi. 

E, in ogni caso, a Kimberly le creme e le lozioni sembravano tutte uguali. Una volta, un figlio di Afrodite che si stava allenando con lei aveva visto le sue mani e le aveva proposto tutta una serie di processi assurdi per idratare le sue mani, tra cui esporsi alla luce lunare ogni sera, completamente svestita e distesa su un letto di piume di galline assassinate al tramonto. A Kimberly era parso più un rito satanico che un modo per curare le sue mani, e aveva intimato al figlio di Afrodite di andare ad idratarsi una determinata parte del corpo – ed ovviamente non si trattava delle mani – e quello era rimasto così scioccato che non aveva più proferito parola per tutto l'allenamento. 

Un sorriso comparve sulle labbra di Kimberly; la ragazza si girò verso Daniel per raccontargli quella storiella con l'intento di strappargli un sorriso, ma poi vide e si ricordò che non poteva sorridere. Non avrebbe più sorriso. Non avrebbe più fatto nulla. Sarebbe rimasto immobile per l'eternità proprio come un… 

«Morto.» Un uomo comparve nel campo visivo di Kimberly. Dal modo in cui aveva pronunciato quella parola sembrava che le avesse letto nel pensiero. «È un peccato, vero?» 

Kimberly alzò il capo, aggrottando la fronte. Aveva gli occhi rossi e appiccicosi; non si era neanche presa la briga di asciugare le lacrime che aveva versato. Dinanzi a lei vide un uomo, probabilmente il campione mondiale di pesi massimi, considerando la sua stazza e la muscolatura davvero troppo sviluppata. «E tu chi saresti?» 

«Sono stato il primo a porre una domanda. Se tu non rispondessi, risulteresti molto sgarbata.» 

“Il mio ragazzo è morto. Non me ne importa nulla delle buone maniere!” avrebbe voluto urlare Kimberly, ma si servì di quel poco di calma di cui era in possesso per dire: «È…era il mio ragazzo. È più che un peccato che sia morto. La definirei una disgrazia.» 

L'uomo parve soddisfattissimo da quella risposta, perciò rispose quasi immediatamente alla domanda che gli era stata posta precedentemente. «Ci siamo già incontrati.» 

Kimberly non riusciva proprio ricordare dove lo avesse visto, ma era troppo distratta per concentrarsi. 

E non sapeva nemmeno che quel suo non-ricordare rappresentasse solo un vantaggio per quell'uomo. 

«Credo che sia morto col pensiero di odiarti.» incominciò lui. 

«E perché avrebbe dovuto odiarmi?» 

«Perché tu avevi un'arma per difenderti e lui no. Perché lui è morto e tu no.» Parlando, il tono di voce dell'uomo si fece perfido e vagamente soddisfatto. «Se fossi morta con lui, sarebbe stato felice di averti nell'Elisio e sareste stati insieme per sempre. Ora invece temo proprio che non abbia più la minima intenzione di vederti.» 

Kimberly lo guardò sbigottita. «Non è vero. Lui mi amava e…credo che lo faccia ancora.» 

«Ti amava, ma ora non più. Sei riuscita anche a farti odiare da lui. Quante persone allontanerai ancora, Kimberly Morgan? Chi è che manca all'appello?» 

Kimberly non rispose neppure, però trovò la forza per alzarsi in piedi. Sorprendentemente, le gambe riuscirono a sorreggere il suo peso. 

«Probabilmente nessuno, giusto? Tutti i suoi amici ce l'hanno con te!» la canzonò lui. «Sei la persona più crudele e orrenda che sia mai esistita!» 

Kimberly gli rifilò un'occhiata mortificata e poi corse via, lasciando lì il corpo di Daniel e quel tizio strano. Le parole di quest'ultimo erano risultate più sincere che mai alle orecchie di Kimberly. Era così che andava il mondo dopotutto. Per quanto si fosse sforzata di essere buona e gentile, la parentela con Ares, alla fine, era sempre riuscita a fare capolino: era cattiva dentro e non avrebbe mai potuto fare nulla per cambiare quella parte di sé. Avrebbe dovuto imparare a conviverci, senza fingere di essere qualcun altro. Avrebbe dovuto servirsi della sua meschinità, della sua aggressività e della sua prepotenza per fare qualcosa di buono al posto di mascherarle. Per dare una sistemata a Reyna e Josh, ad esempio. Dir loro qualcosa che avrebbe potuto turbarli per l'eternità o picchiarli fino a spaccare il naso ad entrambi.

Con tutto quel vortice turbolento di pensieri che le balenava in testa, la ragazza non stava prestando attenzione alla strada, col risultato che si ritrovò a sbattere contro qualcuno che la sorresse per non farla cadere. 

Quel tocco sui suoi fianchi era così delicato, confortante e familiare… 

Soprattutto familiare. 

Kimberly alzò lo sguardo solo per incrociare lo sguardo di Daniel. Fissare quelle iridi verdi la aiutò a capire molte cose: non era cattiva o prepotente. Non era meschina né aggressiva. E non avrebbe mai e poi mai spaccato il naso a Reyna e Josh. Era solo Kimberly: un miscuglio di emozioni contrastanti, che si sposavano comunque alla perfezione tra loro. O almeno, così diceva sempre sua madre. 

Poi si rese conto che Daniel – proprio Daniel! – la teneva ancora per i fianchi, con gli occhi che la fissavano preoccupati, come se stesse cercando di capire che cosa le fosse successo. 

«Come…?» tentò di dire invece Kimberly. «Io non ti ho…cioè…» Abbassò lo sguardo sulle braccia di Daniel. «Come puoi…» Infine si zittì, pensando che se avesse lasciato parlare Daniel sarebbe stato molto meglio. 

«Che ti è capitato di tanto elettrizzante?» le chiese invece il ragazzo, mentre spostava le mani dai suoi fianchi per accarezzarle e sistemarle i capelli. 

Kimberly, però, non rispose, incominciando a fissarlo con la bocca spalancata. Daniel era un fantasma piuttosto strano. Poteva toccarla mentre Kayden, invece, non ne era in grado. Doppiamente strano. Sembrava così concreto; Kimberly riusciva anche a percepire il profumo del bagnoschiuma che usava. 

«Kimberly?» domandò, iniziando seriamente a preoccuparsi. 

«Sei un fantasma?» ribatté Kimberly, insolitamente seria. 

«Cosa? No. Insomma, sono io.» 

Kimberly si lanciò una nervosa occhiata alle spalle. Si rese conto che sulla via del ritorno non si era imbattuta nel cadavere dell'idra. E Daniel, lì davanti a lei, sembrava assolutamente indenne, senza nessun pezzo di gamba mancante e senza alcun buco nel petto. 

«Daniel, puoi venire con me?» 

«Certo.» rispose Daniel, senza esitare per un solo istante. 

Kimberly lo condusse con sé verso la zona dalla quale era fuggita, troppo sopraffatta dalle emozioni e dalla disperazione per restare un solo attimo di più. 

Ma lì non c'era più nulla. Né il corpo di Daniel né l'uomo strambo C'erano solo lei, il suo Daniel e un mucchio di alberi. 

Olympus [2] • Who is gonna make it out alive Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora