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Non stava per niente bene. Era cieco, non sordo: quei versi strozzati, quella voce affaticata, non appartenevano per nulla al solito A-Yang.
Quel ragazzino cercava sempre di fare le cose a modo suo, ostentando una sicurezza che sfociava quasi nella superbia. Perché comportarsi in quel modo? Che prezzo credeva avrebbe avuto chiedere un aiuto? Xingchen non giudicava mai senza una base solida, quindi perché farsi problemi se le ferite non lo facevano muovere come avrebbe voluto?
I passi claudicanti del giovane furono bloccati dal Coltivatore che si piazzò davanti, di spalle, leggermente chinato, i capelli portati in avanti che mostravano interamente la candida stoffa sulla schiena.
Voltò appena la testa per far vedere all'altro che non stava scherzando: "Appoggiati, andiamo a casa." gli disse, attendendo pazientemente.
Xingchen era cresciuto come un raffinato giovane: introverso, ma docile; accondiscendente, ma determinato; gentile, ma severo. Nessuno, soprattutto da quando aveva messo piede fuori la montagna, aveva osato contraddirlo.
Ora si ritrovava a fronteggiare quel ragazzo che, pur di non ammettere un attimo di fragilità, sarebbe stato capace di camminare con le interiora che gli uscivano da uno squarcio sul ventre.
«A-Yang, non posso permetterti di camminare in quelle condizioni. Sento l'odore del sangue sempre più forte, le tue ferite stanno peggiorando.» l'incalzò.
Era stato decisamente più semplice la prima volta che se l'era caricato in spalla: una persona priva di sensi non poteva certo fare storie.
A volte gli sembrava di parlare con un bambino, ma forse era anche questo che gli piaceva di quella bizzarra presenza accanto a lui: senza quei due battibeccanti ragazzi che gli camminavano al fianco, sarebbe decisamente stato un viaggio malinconico. Di tanto in tanto gli si affacciava alla mente il ricordo di Song Lan. Si chiedeva dove fosse, cosa stesse facendo, ma poi quella frase arrivava impietosa come una frustata.
«Sparisci dalla mia vista!»
Lui l'aveva fatto, ma si era sentito così in colpa, che quello di rendergli ciò che aveva perso sarebbe stato l'unico modo per redimersi.
L'immaginava andare in giro con i suoi occhi, vivere una nuova vita. E Xingchen l'avrebbe vissuta attraverso di lui... Ma le loro strade si erano tragicamente separate.
Erano da soli in un mondo troppo grande ed impietoso, troppo fragili alla crudeltà che riservava ai sensibili come loro.
Chissà, forse si sarebbero rivisti. Forse avrebbe potuto presentare A-Yang ed A-Qing al suo vecchio amico.
Amico... Era ancora giusto chiamarlo in quel modo?
Scosse internamente la testa: non era il momento di perdersi in quei pensieri. Che gli prendeva? Xingchen non era mai stato così sentimentale, mai aveva dato così tanto peso al proprio passato.
Tornò a concentrarsi nuovamente sul giovane che percepiva sempre più debole.

Cercò di muovere i primi passi, mantenendo il sostegno della mano sinistra appoggiata al muro, che strisciava seguendone il percorso. Ora che aveva smesso di usare il potere del metallo Yin, sentiva le forze fluire nuovamente nel suo corpo intorpidito, lasciandosi però dietro una scia di dolore. Aveva dovuto sfogare un grande malumore quella notte e i suoi demoni interiori avevano richiesto molto più sangue del solito, spingendolo ad esagerare. Di solito Xue Yang era più intelligente, aveva imparato a calcolare bene l'utilizzo di quell'oggetto, ma si era lasciato prendere la mano. Xue Yang era astuto, ma impulsivo e non era mai stato capace di reprimere le forti emozioni. La stizza, il nervosismo, la rabbia non era bravo a gestirle. Si morse di nuovo il labbro, riaprendo la ferita che si era procurato durante la cena. Mosse un altro passo, ma il suo avanzare fu interrotto da Xingchen. L'uomo in bianco gli bloccò il lento avanzare piazzandosi davanti a lui e offrendogli la schiena avvolta da vesti candide. La sua prima reazione fu di spostarlo con un gesto di stizza, infastidito da quel suo modo di trattarlo da debole, ma Xiao Xingchen gli disse «Andiamo a casa» con quella sua voce dolce e premurosa e tutta la decisione di Xue Yang venne meno. Che stava succedendo? Perché si stava rammollendo così tanto? Perché si stava esponendo così stupidamente a lui? Il pericolo di compiere un passo falso, abbassando la guardia, era altissimo. Eppure le parole affettuose di Xiao Xingchen non facevano che logorare lentamente il muro di diffidenza che avvolgeva il suo cuore.
«Ti macchierò le vesti. Lascia stare, ce la faccio da solo.»
Aveva paura che ad appoggiarsi a lui si rendesse conto che non era la ferita al petto a sanguinare, ma l'interno del suo corpo. Il sangue gli sgorgava dalla bocca e non da una qualche ferita sul corpo, ormai sulla buona via della guarigione. Si tenne a distanza, guardingo, sapeva che Xingchen era cieco, ma era anche molto perspicace. Aveva imparato a compensare bene la mancanza degli occhi. Cercò di muovere un altro passo, ma Xiao Xingchen si era piazzato proprio davanti a lui e non gli permetteva di procedere. Che strano, aveva sempre desiderato macchiare quel suo candore di sangue, ma ora che il sangue era il suo non era più così motivato. Non era quello che voleva, non era esporre la sue debolezze che voleva, non era mostrare le sue fragilità il suo scopo. Eppure era stranamente piacevole. Dava un senso di leggerezza e protezione, di sicurezza, l'avere accanto una persona che nel momento in cui crollava gli offriva una spalla con cui rialzarsi. Aveva sempre dovuto arrangiarsi da solo, non si poteva concedere quel piccolo vizio? Xingchen in fondo era sua proprietà ormai, sua era la sua angoscia, la sua dolcezza, la sua premura, suo era il suo corpo, i suoi occhi ciechi, le sue delicate mani. Era il suo possedimento, il suo premio, poteva farne ciò che voleva. Perciò perché non permettergli di essere quella figura che aveva sempre desiderato avere accanto? Tutta la sua resistenza venne meno quando Xiao Xingchen insistette ancora. Emise un mugugno di disapprovazione, ma già tendeva il braccio destro verso l'altro e lo usava per spostare il peso sulla sua spalla. Staccò la mano sinistra dal muro, abbadonandosi a Xingchen, e la nascose in fretta nel vestito. Non poteva e non doveva correre il rischio che quel suo unico punto debole venisse alla luce. Le dita sfiorarono il tessuto delicato delle campanelle che vi aveva nascosto e avvertí una fitta fastidiosa nel cuore. Che stava combinando? Che ne era del suo desiderio di usare Xingchen e sporcarlo dei mali del mondo fino a farlo cadere in pezzi? Davvero provava per lui un sentimento equiparabile ad un Convolvolo rosa? Pensarlo gli provocò una forte rabbia verso se stesso. Se non fosse stato così debole avrebbe dato un pugno al muro, ma ora che si era abbandonato a Xiao Xingchen le forze erano di nuovo sparite e poteva solo permettergli di guidarlo come un ragazzino indifeso.
«Come sei prepotente, Daozhang.» lo riprese con una risata.
«Non trattarmi come un bambino, posso curare da solo le mie ferite. Però...» voleva dire grazie, ma non era una parola che usava spesso e non gli era facile da pronunciare. «...Mi fa piacere se lo fai tu.»
Sbuffò subito dopo aver pronunciato quelle parole. Che confessione stupida gli aveva fatto, da quando sapeva essere sincero? Da quando sapeva aprire bocca per pronunciare qualcosa di diverso da mielose menzogne? La sua debolezza a Xingchen peggiorava terribilmente di giorno in giorno così come la sua dipendenza e questo gli fece paura. Era davvero Xingchen ad essere una sua proprietà o piuttosto era il contrario? Quel pensiero fu tremendamente, maledettamente terrificante. Tanto che quando finalmente raggiunsero casa, Xue Yang si staccò con eccessiva urgenza dal fianco del suo compagno e pretese di essere lasciato riposare da solo. Non voleva averlo intorno per quella notte, doveva tornare lucido, padrone di sé. Doveva ricominciare a credere alla bugia che tutto quello fosse solo un circo crudele e non il suo patetico teatrino di falsa felicità. Se lo continuò a ripetere anche mentre si alzava, approfittando dell'assenza degli altri due, e abbandonava sul letto di solito occupato da Xiao Xingchen il lungo gambo di campanelle rosa. Se lo continuò a ripetere mentre malediva se stesso per averle rovinate, le corolle crepate e strappate, i gambi leggermente appassiti. Se lo continuò a ripetere anche mentre realizzava di provare il sentimento che stava esprimendo con l'unico linguaggio in cui pareva riuscisse ad essere sincero.
«Fa tutto parte del piano. Più si fida di me e più sarà facile ingannarlo.»
Furono le sue parole mentre tornava al suo letto e vi si coricava sopra, sfinito e ancora dolorante.

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