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Quando Xiao Xingchen si muoveva, era delicato come la brezza della notte estiva. I suoi passi erano sussurri, le sue vesti fruscii che si confondevano con quelli delle foglie, il suo respiro un alito che si perdeva nel vento. Lo udì e sollevò la testa di scatto solo quando era a pochi metri da lui. Con un gesto rabbioso della mano sinistra gettò il cadavere del topolino tra la legna da cui era uscito. Xiao Xingchen era vicino, Xue Yang si ritrasse, chiedendosi che diamine ci facesse lì. Ancora più vicino, l'acqua nella ciotola traballò e lui tese la mano destra per evitare che qualche goccia d'acqua cadesse sulle candide vesti di Xingchen. La ritrasse prima di toccarlo, ancora arrabbiato per come fosse stato crudelmente respinto. Perché lo aveva seguito? Perché insisteva a volerlo aiutare? Così come cacciava la notte quelli che credeva mostri per salvare la brava gente dei villaggi? Che stupido ingenuo. Il suo era un buonismo gratuito che aveva un che di rivoltante, così disinteressato e al contempo così freddo. Era buono con tutti, ma con nessuno in particolare. Non con lui in particolare. Xue Yang non era altro che una delle tante povere anime che il buonismo di Xiao Xingchen lo portavano ad aiutare, né più né meno, e questo era tanto bello quanto doloroso. E non ne capiva il motivo.
«Non ho sete.» rispose seccamente, mantenendo la distanza dall'altro e guardando altrove, pur di non perdersi nelle sue linee morbide come la luce della luna piena.
Perché lo aveva seguito? Voleva restare solo. Si voltò a guardarlo e vide che gli stava sorridendo. C'era qualcosa di assolutamente ingiusto, secondo Xue Yang, nel sorriso di Xiao Xingchen. In un mondo marcio e corrotto, il sorriso puro e ingenuo di quell'uomo era semplicemente ingiustificato che esistesse. Lo rendeva di una bellezza disarmante sebbene la benda coprisse buona parte del volto, sebbene non potesse accompagnarlo con uno sguardo, sebbene fosse quasi impercettibile, il sorriso su quel volto raffinato era la cosa più bella che Xue Yang avesse mai visto. Non poteva, anche volendo, resistergli. Mai gli aveva sorriso in quel modo quando era Xue Yang, ma ora che era solo A-Yang, poteva bearsi di ricevere quei suoi caldi e confortanti sorrisi quasi ogni giorno. Si sentì improvvisamente il piccolo mendicante che era stato, seduto al lato della strada con addosso stracci logori e scosso dai brividi di freddo e dai morsi della fame, che ogni giorno sognava solo che uno di quegli adulti senza volto gli tendesse una mano per salvarlo. A distanza di tanti anni, un giovane puro come la neve stava tendendo ad un Xue Yang molto più grande (ma solo di aspetto) una ciotola di acqua, nonostante fosse stato così crudele con lui. Xue Yang si sentí improvvisamente e solo per un secondo estremamente misero. Prese la ciotola ancora tesa e bevve fino all'ultima goccia. La abbandonò al suo fianco e si asciugò la bocca con il dorso della mano. Evitava il suo sguardo cieco perché nonostante non potesse vederlo, aveva paura che notasse quanto dolce fosse il modo in cui gli aveva sorriso. Quello che definiva il suo giocattolo si era preso la briga di abbandonare ciò che stava facendo per cercarlo, nonostante le sue parole affilate. Come poteva essere ancora arrabbiato con lui dopo un gesto così maledettamente e schifosamente puro?
«Non serviva che me la portassi, so prendermela da solo, però...» Una parola sola. Sei lettere. Ma forse era una delle prime volte che Xue Yang le pronunciava con sincerità. «Grazie.»
Fu colto alla sprovvista dal suo gesto. Si ritrasse istintivamente, ma fu solo un secondo. La mano di Xingchen sul petto fu delicata la metà delle parole che gli rivolse. Il suo cuore accellerò, se possibile, i battiti. Poteva sentirlo pulsare nelle orecchie mentre guardava l'altro come fosse la cosa più preziosa e bella del mondo. Quanto era crudele il destino? Quanto era malvagio il fato che dopo una vita passata nel marciume, a sguazzare nel più putrido fango del mondo come un parassita, ora gli mandava quel soffio di vento della notte? Proprio ora che era troppo tardi? Proprio ora che non poteva più essere salvato? Che crudeltà. Il destino era l'unica cosa più spietata di lui che Xue Yang conoscesse. Quando Xingchen fece per ritrarre la mano, Xue Yang la afferrò per il polso.
«Daozhang...» voleva tirarlo a sé, avvolgergli intorno le braccia così che non potesse fuggire, saggiare con le mani il suo intero corpo, correre lungo quel collo sinuoso con le labbra e lasciargli i segni del suo passaggio come aveva fatto tante volte con uomini dal volto ormai dimenticato, ma era così impresso nei suoi occhi quel sorriso puro e le sue parole preoccupate che ogni intento carnale si spense dietro un profondo senso di affetto. «Mi dispiace per prima.»
Ecco, lo aveva detto. Quando erano soli non era più lo Xue Yang che tutti conoscevano a parlare a Xiao Xingchen. Era una persona completamente diversa, nata nel momento stesso in cui il cultore della montagna aveva cominciato a trattarlo come un suo pari, che credeva non esistesse nemmeno più.
«È stata colpa tua. Mi hai fatto credere che quel tuo linguaggio fosse importante, ma hai gettato i fiori. Mi hai confuso. Tuttavia... Mi dispiace.»
Esitò ancora trattenendo la sua mano, gli occhi fissi su quelli ciechi di Xingchen che ricordava pieni di rimprovero, ma bellissimi. Quindi lo lasciò andare. Si alzò in piedi e tolse la polvere dai vestiti, poi tese di nuovo una mano verso di lui dandogli un colpetto per indicargli di afferarla.
«Sto bene. Il mio corpo è forte, le ferite si rimarginano in fretta. Andiamo.» e rimase in attesa delle sue mosse. «Ti aiuterò con il tetto e stanotte verrò a caccia con te, come sempre. Non farò sforzi, ma non resterò qui, d'accordo?»

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