Capitolo 14. Strazio

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«Fin dove ti ricordi?» Sclero sospira sedendosi sulla sedia vuota di fronte al mio letto. È incredibilmente tranquillo, per essere quello tra noi che per primo ha minacciato gli altri.

Cosa ricordo? Ricordo il dolore, quello è sicuro. L'incredulità davanti al corso degli eventi, di essere stato trascinato come un sacco di patate per il pavimento di casa, la vivida percezione di qualcuno che traffica con un oggetto appuntito nel mio ventre mentre mi guarda con i miei stessi occhi, solo più cattivi.

«Cazzo, è successo da poco, ci devi pensare così tanto?» incalza «Qua facciamo di nuovo notte!»

Guardo fuori per cercare di capire quanto può essere passato da quando sono stato ferito. Oltre il vetro della finestra della camera d'ospedale è giorno, quindi la notte, almeno una, mi è passata addosso.

«Era ieri? O è passato di più?» Cerco di capire.

«È successo la notte scorsa», piagnucola Strazio «ma il dolore...! Quel dolore mi sembra di sentirlo ancora adesso!» Si copre la faccia e smette così di parlare, in perfetto stile tragedia shakespeariana.

«Ah, a te sembra di sentire ancora male? Vuoi sentire i miei punti?» rispondo acido.

Mi aspettavo una sua uscita di scena a fine atto, ma sembra che la sua parte non sia ancora finita: si scopre il viso che rivela addirittura delle vere lacrime vere e mi guarda fisso per qualche istante.

È ufficiale, questo terzo tizio è fatto almeno al settanta per cento di teatralità. Dev'essere la parte che esaspera i sintomi quando ho la febbre, solo per farmi coccolare. Emerge un vago ricordo di una ragazza che mi porta grossi bicchieri d'acqua da bere a letto, ma l'immagine sfuma subito e mi faccio immediatamente distrarre dalle parole di Strazio, che riprende a parlare dopo una lunga pausa: «Siamo stati lì dentro per un paio d'ore, ma mi sono sembrati secoli. Continuavo a perdere i sensi, avevo paura di morire, faceva male». Okay, questa parte me la ricordo, sta descrivendo momenti in cui io e lui eravamo ancora la stessa persona e posso sottoscrivere tutto, non sta esagerando. «Poi improvvisamente sono rimasto in quel posto spaventoso con un tale di cui fino a quel momento avevo solo sentito la voce; non mi ha dato il tempo di chiedergli nulla, mi ha letteralmente preso e spinto via. Sono sbucato in un luogo che non conoscevo, ma ero da solo, voi non c'eravate. Ho corso, prima da una parte, poi sono tornato indietro, ho corso dall'altra. Avevo il fiatone, ero spaventato...»

«Ohggesussanto! La vuoi far breve? Non ce ne frega niente della tua disavventura!» L'altro lo interrompe e io mi sento un po' in colpa per essergliene grato.

«Alla fine, ti è andata pure bene, non hai nemmeno un graffio, ne sei uscito illeso, del tutto guarito. Persino i vestiti sono tornati interi quando sei venuto fuori, sei l'unico tra noi a essere sano, beh, se non conti...» Si picchietta con la punta dell'indice sulla fronte, lasciando sottinteso il resto della frase. Degno figlio di mia madre anche lui.

«Quindi?» Tradisco una certa impazienza. «Si può sapere come siamo arrivati qui?»

«Ho guidato io, ovviamente. Il tipo dentro il portale mi ha dato delle chiavi di una macchina e mi ha spiegato dove trovarla. Sono andato a prenderla a piedi, una volta tornato indietro ti aveva raggiunto anche Allegria-portami-via!» Accompagna quel nomignolo con una smorfia di disgusto. «Così, vi ho caricato e ho seguito le indicazioni di quel tipo fino all'ospedale più vicino; e mi dispiace dirlo, vista la tua operazione all'appendice e i ricamini che ti hanno fatto, ma non vincerà di certo il premio dell'anno dell'efficienza medica, se esiste una cosa del genere.»

«Il World's Best Hospitals» mugula Strazio.

«Oh merda, un altro precisino! Ma soprattutto come fai a saperlo?»

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