Quello a cui non sono stato preparato, perché nessuno l'avrebbe mai immaginato, è che avrei guardato in faccia la morte. La mia morte. Quando la progettavo in dettaglio tenevo in considerazione anche l'aspetto del ritrovamento del mio corpo, e cosa ne sarebbe stato. Forse è stato il freno più potente alla mia spinta suicida. Adesso, a meno di un metro, va in scena il macabro e spaventoso spettacolo che volevo risparmiare ai miei cari. Escludendo le testimonianze pre-morte e esperienze extracorporee (tutte cose di cui ridevo, fino alla settimana scorsa, ma che ora mi sembrano delle innocenti storielle più che plausibili, rispetto a ciò che sto vivendo) credo di poter dire, senza peccare di presunzione, di trovarmi in una situazione senza precedenti. Questo mi rende una persona davvero speciale nel mondo? O solo molto sfortunata?
Mi volto appena verso Serio, senza alzarmi né dire nulla, come se restare immobile e in silenzio potesse congelare anche il tempo e tutto lo scenario fuori controllo che ho intorno.
Liberato dalla scarpiera che lo schiacciava e nascondeva, ora mostra tutta la sua sofferenza, anche solo per respirare: il suo torace sembra gonfiarsi molto meno di quanto dovrebbe e, quando si svuota dall'aria, un rantolio lascia intendere l'entità del dolore delle sue fitte. Eppure, nonostante tutto, ha ancora la forza per provare a parlare, anche se tutto ciò che dice è sempre e soltanto: «Sonia».
Mi ci vuole una bella dose di coraggio per spostare lo sguardo su quello che prima era la mia faccia; innanzitutto, si tratta pur sempre del mio viso e non vorrei guardare un me stesso sfigurato e tumefatto mentre crepa tra atroci sofferenze. In secondo luogo, mi sento in colpa: sono pur sempre io che l'ho ferito a morte, anche se accidentalmente. Questo mi porta a un'altra duplice considerazione:
1. Lui non ha avuto scrupoli nell'affondare un coltello da cucina nel mio fianco, perché invece io ora mi sento responsabile di quello che gli è successo?
2. Quindi, diversamente da quanto sperassi, deduco che non sia il senso di colpa ciò che ho perso stavolta. Ci ho provato.
Colpa a parte, l'odio che provo per lui, per ciò che mi ha fatto, dovrebbe ricevere nutrimento da questa scena ora, rendermi felice. Dovrei sentirmi soddisfatto; ma forse provare odio è incompatibile con la felicità, non è solo semantica, le due cose non possono coesistere.
"Ammazza quel figlio di puttana", diceva Sclero poco fa; il mio desiderio di vendetta invece è più debole, sfocato rispetto al suo, così come la mia capacità di provare rancore, a quanto pare. Forse è rimasto tutto quanto a lui. E di questo credo di potergliene essere grato.
«Soni... a», rantola un'altra volta, consapevole di essere in punto di morte. Gli sono così vicino da vederlo chiaramente piangere nonostante il buio. Dolore fisico? Tristezza?
«La ami così tanto?» chiedo. Non voglio sapere cosa stia provando o pensando; preferisco fargli questa domanda retorica, più per palesare la mia presenza nel regno delle persone sveglie, che per avviare una vera conversazione.
Lui prova comunque a rispondere, ma una specie di tosse compulsiva gli porta via le parole e il fiato. Solo quando si riprende annuisce tristemente. A rendere triste il suo gesto è un'altra lacrima che dall'angolo dell'occhio vedo cadere a terra. Davanti alle sue lacrime, che sono anche le mie lacrime, incredibilmente mi sembra di ricordare: ho già pianto per lei. Lei ha pianto per me. E io per lei.
Il buio che investe ciò che è a più di un metro da noi sputa fuori Manuel, allarmato dalla tosse del mio compagno di branda. Dopo che gli altri due ci hanno portato qui, deve averci presi e sistemati in quest'angolo, dove sembra esserci davvero una brandina, ceduta a Serio, tra i due. Forse lì Manuel gli ha prestato le prime cure. Gli si avvicina e sembra dispiaciuto delle sue condizioni, forse più perché non gli piace vedere gli altri soffrire, piuttosto che per vero dispiacere per lui. Sì, sembra quel genere di persona. Qualcosa emette una luce tremolante, vicino noi, come se provenisse da una piccola candela; ne approfitto per guardare meglio il viso di Manuel, rispetto a poco fa, mentre lui è intento a valutare lo stato di salute di Serio. Ha un'espressione gentile, occhi buoni su un viso segnato dal tempo e una vita dura. Dimostra molti più anni di quanti credevo ne avesse, anche se mi rendo conto solo ora che non ho ancora quantificato il rapporto tra il tempo passato qui e nel mondo oltre il portale. Poco fa mi ha fatto un'impressione diversa, mi è sembrato più rude e sarcastico, nel suo modo beffardo di esprimere la sua intenzione di aiutarmi. Pochi istanti dopo dal buio viene fuori un'altra figura, che riconosco immediatamente: è il nuovo arrivato.
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Il nascondiglio del topo
AdventureVincitrice Wattys 2021 - categoria Jolly La penultima cosa che S. vorrebbe è un topolino nella casa per cui ha appena acceso un mutuo trentennale. L'ultima è vedere la sua vita sgretolarsi sotto il naso, per aver seguito quel topo nel suo nascondigl...