Capitolo 27. Osservazioni

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Sono un guidatore attento, ma ora sto esagerando. Fingo estrema attenzione alle strade, anche quando deserte, alle svolte, anche quando segnalate con largo anticipo, ai limiti, anche quando già di mio sto andando piano, a non fare conversazione, anche se avremmo molto di cui parlare. Alla prima occasione di selezionare i brutti momenti della mia vita e attribuirli a uno o all'altro degli altri S., al di fuori di me, non ho avuto dubbi su chi incolpare del mio passato da aspirante suicida. Ma mi sbagliavo e ora mi sento in colpa per aver giudicato male Strazio. Non ho considerato che, pur non avendo dubbi nell'imputare a lui la mia parte depressiva, può essere stato uno tra Serio, Sicuro, Sclero o Sincero, a volerla fare finita e a coltivare certi pensieri in modo ossessivo. E perché non me, Stanco?

Perché cercare le responsabilità al di fuori di me è un gioco in cui eccello già in condizioni normali. Il problema era il docente universitario che mi chiedeva l'unica parte su cui ero impreparato, non la mia preparazione lacunosa, così come sono sempre gli amici a condizionarmi e farmi fare qualche cazzata, non io che decido di bere più di quanto dovrei. E da quando ho a disposizione degli altri me, sui quali non ho nessun controllo, è diventato un gioco persino troppo facile. Posso essere un vero campione indiscusso di scaricabarile. Quella volta che ho fatto una scenata alla cena di Natale dagli zii? Colpa di Sclero. Quando per una stupidaggine mi sono offeso con gli amici e per due settimane non ho risposto alle telefonate e ai messaggi? Dev'essere stato Serio. Strazio per gli attacchi di panico, viaggi mai fatti per la paura di volare, rinuncia al viaggio studio, temporeggiare sulla convivenza. Tutte le volte che ho sottovalutato la situazione e ho creduto bastasse impegnarsi il minimo indispensabile per farcela? Colpa di Sicuro, che mi ha fatto ripetere la quarta superiore, un paio di esami all'università e l'esame per la patente.

E per quando ho confessato il tradimento la colpa va a Sincero: è per lui che Sonia mi ha lasciato. Quest'ultimo pensiero mi stride dentro già sul nascere, puzza così tanto di sbagliato che non voglio restargli vicino. Così lo accantono; un po' perché sono campione anche nel nascondere la polvere sotto il tappeto, e un po' perché con Sicuro ho perso pure quel minimo di coraggio che mi serviva per guardare in faccia la realtà, prima della fuga da essa.

Non è mai colpa mia, anche quando lo è stata davvero, ma ora più che mai non ho avuto voce in capitolo nella mia trasformazione nel vigliacco bugiardo che sono. Mi assolvo. Non è vero, mi sono già condannato da tempo.

È stata una consolazione vedere che sul percorso calcolato dal navigatore la nostra destinazione coincide con l'ospedale, che non ci sia al suo posto un campo Rom, un discount o peggio un outlet di lusso. Sono partito senza più pensare all'ipotesi di essere stato operato di appendicite in un altro tempo, tipo vent'anni fa o tra dodici anni. Di tanto in tanto vedo Strazio lanciare fuori dal finestrino occhiate ansiose. Comprendo la sua paura, pur senza provarla.

«Sei silenzioso, a che pensi?» Si vede che Caterina ha ragionato a lungo sul pormi questa domanda, le è uscita troppo nitida, come se fosse una battuta di un copione studiato per bene. Proprio come quando si preoccupa della tristezza di Strazio senza però comprenderne le cause: mi vede pensieroso, ma non immagina cosa mi stia passando per la testa.

«A niente.» Ok, questa è un'altra bugia, ma lei da amica di Sonia dovrebbe capirne il sottotesto, codificarlo con uno dei cifrari dal loro manuale di tecniche passivo-aggressivo; infatti sorride.

«Sta ripensando alla domanda di prima.» Strazio prende al balzo la palla che io stavo cercando di dribblare.

Rimango in silenzio, per evitare di mentire dicendogli che si sbaglia. Per lui è come un invito a proseguire.

«È il rientro di Serio a renderlo così silenzioso.»

«Già, ho riavuto concentrazione e lucidità.»

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