Capitolo 3. Sonia

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«Ti affido all'oblio.» Con questo messaggio Sonia ha chiuso del tutto le nostre comunicazioni. A differenza mia, ha sempre amato le frasi a effetto. Ad ogni modo, nell'oblio in cui mi ha abbandonato, mi sono effettivamente perso, almeno per un po', finché non ho ripreso a stare bene, uscire, conoscere altre persone, e poi Monica. Penso a Sonia adesso perché, se non mi avesse affidato all'oblio, avrei potuto chiamarla per risolvere il mio problema con il roditore. A distanza di anni mi fa sempre sorridere ripensare ai tempi in cui era la mia Unità anticrisi, per il suo talento innato di trovare sempre una soluzione mantenendo i nervi ben saldi. Come se non bastasse, aspetto fondamentale nella situazione in cui mi trovo, amava tutti gli animali. Un piccolo topolino non l'avrebbe scomposta per niente: lo avrebbe preso con le mani senza fare una piega, tenuto con delicatezza tra i palmi per tutto il tragitto in ascensore fino al piano terra, infine lasciato scappare via, salutandolo con un sorriso accompagnato da qualche vocina buffa. È stato così, grazie al mio tipico e vigliacco rifugiarmi in reminiscenze passate piuttosto che affrontare il presente, che quel piccolo topolino ha avuto sia il tempo di uscire dal mio campo visivo, sia il suo nome: Sonia.

Ho acceso tutte le luci di casa e ho iniziato a cercarla (il nome datole ne ha stabilito il sesso, e non viceversa), pur non sapendo come agire una volta scovata. L'unica certezza era la mia assoluta avversione all'idea di ucciderla. Prima di tutto la vera Sonia, quella umana, non avrebbe mai ucciso l'altra Sonia; punto due non c'era motivo di ricorrere alla violenza per liberarmene, sarebbe bastato farla uscire; ultima ma non meno importante mozione a sfavore della sua pena di morte, non avrei saputo con cosa colpirla. E poi anche riuscendo a prenderla, avrei dovuto ripulire schizzi di sangue e brandelli insanguinati di topo sul muro appena imbiancato? No, grazie.

Con tanta pazienza e coraggio ho provato invano a costringere la sua corsa verso il balcone e la porta di casa con la scopa a mano. Dopo diversi tentativi, a rintanarsi nel suo giaciglio per riposarsi sono stato io: mi sono chiuso in camera, sfinito, ho lasciato che il topolino girasse per il soggiorno, rassegnato, sperando di non dover raccogliere ovunque i suoi escrementi il giorno dopo.

La mattina seguente non c'era nessuna traccia né del topolino né del suo passaggio; avrei ipotizzato di essere stato vittima di un sogno molto realistico, se non fosse stato per la presenza della mia scopa appoggiata al muro, promemoria di quanto era successo. Ormai il pacco contenente la gabbietta ordinata prima di addormentarmi era in transito e un paio d'ore dopo era già posizionata e pronta al suo scopo. E poco dopo Sonia è sbucata fuori dal suo nascondiglio.

Farla accomodare in una gabbia e chiuderla dentro, come se fosse un topo ballerino o un piccolo criceto e non l'orrendo topo grigio che era, anche se piccolo, mi è sembrata la scelta più giusta e dignitosa per entrambi. Ho anche immaginato me stesso come un provetto Willy il Coyote, intento nella preparazione della trappola per Beep Beep; ma a differenza del povero personaggio dei cartoni, dopo quasi due ore di attesa in cui ho ridotto al minimo i miei movimenti per non spaventare la mia preda, il mio piano ha funzionato. Vederla così da vicino, entrata di sua spontanea volontà nella sua gabbietta, mi ha fatto sentire un grande cacciatore, difensore del mio territorio, strategico combattente. Ho persino pensato di tenerla come animale da compagnia, accudirla e nutrirla. Accarezzavo ancora questo bizzarro pensiero quando ho visto la bestiolina arrampicarsi per la griglia della gabbietta tentando la fuga. È bastata una frazione di secondo per cambiare idea: avevo ancora in mano la porticina a molla e istintivamente ho lasciato la presa per farla richiudere.

Così ho ferito Sonia. Non avrei mai immaginato che un topolino potesse emettere un urlo così straziante se colpito sulla zampetta, né che io avrei empatizzato e sofferto con quella piccola bestiolina. «Scusa, scusa, scusa» ho pronunciato con ansia, senza quasi riconoscere la mia voce, mentre mi affrettavo a riaprire lo sportellino per liberarla dalla morsa in cui l'avevo accidentalmente incastrata.

Sonia mi ha guardato (sì, mi è sembrato proprio che mi guardasse con i suoi piccoli occhietti malefici e sofferenti), prima di schizzare fuori dalla gabbietta e correre dall'altra parte della stanza a leccarsi la zampetta e sparire quindi dietro qualche angolo, lo stesso da cui è venuta fuori. Ci ha messo un po' prima di tornare a esplorare, e a me sono serviti parecchi tentativi prima di farla accomodare nuovamente nella gabbia e chiuderla, questa volta, con delicatezza. «Ok, domani» ho pensato ingenuamente, «la porto in cortile mentre scendo per andare al lavoro e la lascio libera. Tornato a casa poi sistemo quelle cianfrusaglie nell'angolo per evitare altre sorprese o bestioline, do una lavata ai pavimenti, agli angoli e sistemo tutto.»

Mi sono addormentato con questi bei propositi, stanco ma fiero di aver risolto la situazione, il primo inconveniente nella mia vita da adulto indipendente. Ma il domani a cui mi riferivo è oggi. E no, non andrò al lavoro. Non so nemmeno se riuscirò a prendere in mano questa gabbietta e portarla in cortile perché al momento sono del tutto pietrificato. Non so quanto tempo sia passato dal mio risveglio, so solo che una volta uscito dal bagno ho voluto controllare che Sonia stesse bene, e lì l'ho visto: un topo identico a lei, accanto alla gabbia, intento ad annusare l'aria intorno. La zampetta anteriore ferita dall'incidente di ieri, un po' viola, livida. «Come ha fatto a uscire?» sarebbe la domanda di chiunque, a questo punto. E da tipo piuttosto comune quale sono, che non spicca per intelligenza o sagacia, è stata la prima domanda che ho posto a me stesso. Già, peccato che nessuno sia uscito dalla gabbietta: Sonia è ancora lì dentro, con la sua zampetta viola. Ma allo stesso tempo Sonia è anche fuori, sempre con la sua zampetta viola. Ci sono due topolini identici con la stessa ferita. Oppure io sono diventato completamente matto. Fatto sta che non riesco a muovermi e sta iniziando a girarmi la testa.

Il nascondiglio del topoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora