Capitolo 17. Est

65 15 19
                                    

Provo ad annullare l'attrito che, tra noi tre, sono l'unico a incontrare. So di cosa si tratta: è lo stampo, l'impronta, lo scarto, o comunque vogliamo chiamare il furto di personalità che subisco. Sta per succedere di nuovo. Chiudo gli occhi pensando a tutte le cose per cui non ho mai chiesto scusa, quelle che mi sono state perdonate con troppa indulgenza, quelle che ho nascosto da tutti, le brutte azioni che ho solo pensato, detto o messo in pratica. Penso a quando ho tradito, a come mi sono sentito subito dopo.

Mi concentro sui miei sensi di colpa, nella speranza che siano loro ad andare via, ad essere presi, intrappolati nelle maglie di questa rete che ogni volta pesca alla cieca dalla mia personalità e allora provo a condizionarla. Me la voglio giocare così: se c'è una possibilità che i miei pensieri o lo stato d'animo in cui mi trovo al momento del passaggio possano influire su quale me stesso generare, forse posso liberarmi di qualche peso che porto dentro da troppo tempo. Mi focalizzo sull'immagine di una ragazza che piange. Ha i capelli neri, gli occhi più chiari, arrossati; non riesco a mettere bene a fuoco i lineamenti del suo viso, proprio come diceva Manuel, ma sono comunque certo che sia io la causa delle sue lacrime. È Sonia. Anche se non ricordo molto altro so che è lei; mentre rovisto nei miei ricordi già abbastanza saccheggiati e confusi, vado a sbattere contro qualcosa, inciampo, cado.

Capisco solo dopo diversi istanti di essermi scontrato con la schiena di un mobile, la scarpiera alta che io stesso ho montato qualche giorno fa. È finita a terra, io sopra di lei e i miei compagni di disavventura a loro volta sopra di me. Avrei dovuto fissarla alla parete subito dopo averla assemblata, ma ho deciso di farlo in un non meglio specificato "dopo", che si è appena trasformato in un "mai". Capisco anche cosa stesse facendo Serio: spostava mobili davanti al portale per bloccarci la via del ritorno. Penso che tra qualche secondo Sclero lo insulterà per la banalità del suo piano: le aspettative sul suo ingegno machiavellico erano forse troppo alte, ci aspettavamo tutti qualcosa in più da lui, io per primo. Se però credeva di avermi ucciso, perché questo goffo tentativo di tappare il passaggio? Chi voleva lasciare di là? Sclero, che aveva solo tramortito? Manuel?

Nell'alzarmi, i punti della ferita tirano e devo fermarmi qualche secondo per prendere fiato; hanno parlato di giorni di riposo, ma chi se li può permettere? Ho giusto il tempo di guardarmi intorno e cercare proprio il responsabile del ricamino sul mio fianco, ma non lo vedo. Che sia scappato? Ha avuto paura di affrontarci tutti insieme? O si è allontanato dal portale per evitare di essere trascinato dentro e, una volta lì, sconfitto? Ora mi sembra di empatizzare con lui: ho voglia di scappare anche io da tutto questo. Molto lontano. E pure io, nonostante tutto, farei di tutto per sopravvivere.

«Co... come la... come la strega dell'Est!» Strazio, dopo essersi rialzato dalla mia schiena, piagnucola alle mie spalle. Anche Sclero si è alzato, resto solo io steso sulla scarpiera rovesciata. Rovesciata su Serio. Il mobile è ora completamente in orizzontale, sdraiato a terra, e le gambe di Serio sporgono da sotto, insieme a una macchia di sangue che si allarga di diversi centimetri per secondo.

«È mo... morto?» Chiedo più a me stesso che agli altri due.

«Lo abbiamo ucciso, siamo stati noi!»

«Non dire scemenze! È stato un incidente, idiota! E poi non eravamo venuti qui per prenderlo e portarlo di là? Per fare cosa? Magari proprio ucciderlo. Sappiamo tutti che il tipo Stanco non ce l'avrebbe mai fatta. Il problema si è risolto da solo, non è forse un bene?»

Ha ragione. Ma a una parte di me dispiace non averlo fatto di persona. Mi alzo, resto in silenzio. Ascolto i miei pensieri fuori da me, che discutono alle mie spalle.

«Ma forse non dovevamo fare così! Forse dovevamo portarlo vivo di là, pacificamente. E ora è... è... morto?»

«Non sono un cazzo di medico! Sei tu quello fissato con queste cose! Controlla tu!»

«Io ho paura, non ci penso nemmeno!»

«È schiacciato sotto una scarpiera, cosa può fare, lanciarti una scarpa?»

Continuo a sentire ciò che dicono, ma smetto di ascoltarli: ho letteralmente appena ucciso una persona e allo stesso tempo sono appena morto un po' anche io, pur essendo ancora vivo. Più le cose diventano assurde e meno tempo ho per elaborare i nuovi sviluppi, man mano che succedono, senza che io faccia praticamente nulla per provocarli. Almeno, credo, non può andare peggio di così. Oh no, ma perché l'ho pensato? Ecco che parte la scena in bianco e nero nella mia testa, da Frankenstein Junior:

- Che lavoro schifoso!

- Potrebbe essere peggio.

- E come?

- Potrebbe piovere!

Appena finito di formulare il pensiero ecco che succede. Il peggio arriva. E non arriva dall'alto come la pioggia, ma da ben tre direzioni. Bussano alla porta e Serio, quasi come reazione chimica, emette un flebile rantolo.

«Oddio, non è morto. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo aiutarlo!»

«Dobbiamo finirlo!»

«Come puoi dire una cosa del genere?» Ricominciano. E sbuca dal portale un tizio vestito esattamente come me. Sapevo che sarebbe arrivato, ma preferisco ora non pensare a quale sia la sua peculiarità.

«So... nia...» rantola Serio. Cosa dovrei fare? Chiamare i soccorsi, provare ad alzare la scarpiera, lasciarlo morire, dargli il colpo di grazia?

«Ehi, ci sei? Mi apri?» Una voce femminile dal pianerottolo.

«Non deve morire così. Dobbiamo prenderlo e portarlo di là ancora vivo!» Il nuovo arrivato, diretto a me.

«Uccidi questo stronzo!» Sclero, com'è giusto che sia, sclera.

«La strega dell'Est.» La cantilena di Strazio.

«So... nia...» ripete il moribondo, e vedo il mobiletto muoversi appena.

«Non ti muovere, se ti muovi è peggio.» Strazio interrompe la sua nenia lugubre solo per dargli qualche consiglio su come sopravvivere.

«Prendilo, portalo di là subito!» Il nuovo arrivato si agita.

«Ehi, guarda che me ne vado!» Sonia oltre la porta di casa.

«Sonia!» Serio concentra tutte le sue energie rimaste per lanciare un urlo, prima di perdere i sensi.

«Che succede? Non stai bene? Chiamo un'ambulanza? Non fare scene, dai!»

«Signorina tutto bene? C'è qualche problema?» Un vicino di casa, a lei, sul pianerottolo.

«Sono venuta a trovare un amico, mi ha aperto il portone ma ora non apre la porta, sento degli strani versi venire dall'interno,» lei risponde, allarmata.

«Ammazza questo figlio di puttana!» Sclero sibila, mentre diventa obliquo, poi perpendicolare ed infine solo una voce nel buio. Ho perso di nuovo i sensi.

«È un cazzo di opossum!» Mi arriva un ultimo commento da lontano, così lontano che non mi può ferire.

Mi sento ancora una volta prendere di peso e spostare, ed ecco che mi sveglio nuovamente nello spazio vuoto oltre il portale. Accanto a me il corpo martoriato di Serio e sotto i miei occhi l'aspetto che avrò in caso di morte violenta. Distolgo lo sguardo per farlo vagare intorno, ovunque ma non su di lui. Per quanto io l'abbia immaginato in passato, avrei preferito non vederlo. Non c'è nessuno con noi due per ora, altrimenti sentirei Strazio e Sclero litigare. Sono rimasti di là, a risolvere la situazione da cui io sono vigliaccamente scappato scivolando nel dolce oblio della perdita di sensi? Ho paura per Sonia, dubito che Sclero abbia rinunciato a farle del male e Strazio è completamente inutile: in questo momento è di certo rannicchiato sul pavimento a piagnucolare. Non che io stia facendo una figura più dignitosa! Eppure, l'ultima cosa che voglio è tornare di là, preferirei l'altra uscita, nella direzione opposta alla mia vita: starei più volentieri nell'ospedale in cui ho lasciato la mia appendice e tra i grossi seni di quell'infermiera gentile e profumata, per dimenticare tutta questa storia. Ma so già che non è possibile e che faranno di tutto per impedirmelo.

Devi mettere le cose a posto, dicono. Ma poi non ti spiegano cosa devi fare.

Devi vivere come si deve e diventare una persona per bene, diventare adulto, crescere e prenderti le tue responsabilità, non fare più errori. Ma poi non ti spiegano nemmeno questo.

Il nascondiglio del topoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora