Fulmine

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-"Ti sbagli, io non sono Chanel.. io sono.. beh, non so neanche chi sono, scusami"-


Justin rimase di sasso, boccheggiava tentando di capire.
Scoppiai a ridere improvvisamente notando le sue facce confuse che non ce la feci a non dirgli che era una messa in scena.
-"Haha, perdonami ma dovevi vedere la tua faccia"-
Poi cambiò improvvisamente la sua espressione in un misto tra divertimento e rimprovero.
-"Mi hai fatto prendere un colpo!"-
-"Haha, scusami.. però posso dirti che prima non ti avevo seriamente riconosciuto"-
-"Beh, tutto bagnato così, che ti aspetti, scusa?"- 
mettendo il broncio.
-"Nulla, nulla.. comunque, che ci fai qui? Non dovevi tornare a Los Angeles?"-
Mi venne in mente tutto il suo repertorio da logorroico su quanto fosse bella L.A. , di quanto io me ne sarei innamorata, di quanto non vedeva l'ora di tornarci.
-"Appena ho saputo cos'era successo, sono subito venuto qua. Ma non c'era nessuno a casa a cui chiedere aiuto? Mi sento terribilmente in colpa per averti lasciato lì da sola, scusami. Se fossi rimasto con te, i ladri non ti avrebbero fatto del male"-

Al principio, non capivo tutto ciò che stava dicendo.
Non c'erano stati ladri o quant'altro, solo io e..e loro.
Approssimativamente ricordavo tutto ciò che è successo fino a quando non sono caduta a terra perdendo totalmente i sensi. Non ricordavo praticamente nulla dell'ospedale.. però ho degli strani flashback di Louis, strano.
-"Ti hanno detto ti hanno fatto e le conseguenze?"-
-"Ahm, mi hanno detto che ho qualche costola qua e là rotta, caviglia slogata, cervello fracassato e roba simile, sinceramente non avevo voglia di sentire niente"-

Era vero, non cercavo di evitare l'argomento delicato su ciò che era successo.
Beh, forse, ma ciò che dicevo era vero: ero molto debole, nonostante avessi ancora la forza per parlare.
Mi sentivo strana.
Non è quella sensazione di liberazione.. anzi.

-"Capito.. spero tu ti rimetta presto ed io ti aiuterò con tutto"-
Si avvicinò per abbracciarmi ma per poco urlai.
In quel momento ricordai i pugni; ricordai i calci; ricordai le testate al muro; ricordai il sangue; ricordai la mia voce rotta nel cadere per terra; ricordai di non averla più la voce e tentare di urlare a vuoto.
Justin non capì.
Vedendo il mio sguardo perso nel vuoto e spaventato avvicinò la sua mano al mio viso che evitai come se fosse la mano di un lebbroso.
-"C-che hai?"-
Non lo sapevo neanche io.
-"Scusami.. è che io--"-


-"Justin. Chanel."-
Liam.
-"Liam, amico"-
disse sorridendo Justin.
-"Hey.. Chanel, come stai?"-
Mi sorprese molto quella domanda. Ma più che altro, mi sorprese l'espressione con la quale la diceva..
non pretendeva nulla da me, non era uno sguardo d'odio.
Era quasi uno sguardo di rammarico..

-"Potrei stare meglio"-
-"Già.. Scusa Justin, ci lasci soli, per favore?"-

Justin annuì e senza esitare uscì dalla camera.
Liam prese una sedia che era poco lontana dal letto e l'avvicinò a me.
Si sedette lentamente e cominciò a fissarmi. Non riuscii a tenere molto il suo sguardo e subito lo abbassai.
Tipico.
No, non è tipico, era tipico, ora non lo è più.
Alzai lo sguardo e lo tenni duramente.

-"Cosa vuoi, Payne?"-

Non fiatava, rimaneva fermo a guardarmi. Non vi era odio, ne disgusto nei suoi occhi. C'era un velo di semplicità tra i solchi di quel deserto marroncino dei suoi occhi.
-"Scusa. So che non bastano queste per farmi perdonare quello che ti ho fatto. Non puoi capire cosa mi sia preso. Non era ciò che avrei mai fatto ad una ragazza, mai"-
Stronzate.
-"Non hai risposto alla mia domanda, che diamine vuoi, Payne?"-
Liam sussultò, non si aspettava una reazione simile. O forse sì. Nessuno poteva essere nel cervello di Payne, neanche lui riusciva a capirsi.
Un esempio? Io.
Non era il tipo da violenze, sopratutto col sesso debole.
-"Che tu mi perdoni. Non ti chiedo di capirmi perchè non mi capisco io stesso"-
-"Mi spieghi tutto questo rammarico? Il primo giorno che ero venuta in quella casa .."-

non volevo continuare, era troppo doloroso anche da pensare.
Ricordava ancora le sensazioni spiacevoli che provava mentre la picchiavano, mentre si rilasciavano in lei, mentre imprecavano.
Liam ricordava quanto me. Gli bruciarono gli occhi, andavano a fuoco, un fuoco di consapevolezza di un incendio di dolore.
Avvicinò la sua mano alla mia, stringendola appena.
-"Perdonami, ti prego"-
Aveva gli occhi sinceri.
E poi, che avevo da perdere? Assolutamente nulla. Ero mal conciata in uno stupidissimo ospedale, che altro mancava?
-"Per me va bene"-
Liam fece il sorriso più sincero che ebbi mai visto.
-"Ti prometto che andrà tutto meglio per te, te lo prometto"-
Sorrisi.
-"Okay, dai. Sai quando posso uscire?"-
Liam ci pensò su un attimo.
-"Credo tra due giorni, circa."-
annuii guardandomi il gesso della caviglia.

Sindrome di StoccolmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora