39. Le stelle

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Ogni muscolo del mio corpo stava protestando, ma non era niente in confronto a quello che avevo provato dividendo il peso del cielo con Percy

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Ogni muscolo del mio corpo stava protestando, ma non era niente in confronto a quello che avevo provato dividendo il peso del cielo con Percy.

Mi ero sentita morire un po' dentro quando l'avevo visto lì sotto. Avevo sentito la voce di Artemide nella mia testa che mi informava che stava cedendo, e avevo agito d'istinto. Avevo cercato di convincerlo a passarmi il peso del cielo, ma lui aveva rifiutato. Così la dea mi aveva chiesto di aiutarlo.

L'avrei fatto anche se non me lo avesse chiesto. E mi aveva quasi uccisa. Lanciai un'occhiata a Percy; era stremato, e una delle sue ciocche corvine era striata di grigio. Ma era vivo. Quindi ne era valsa la pena.

Lo stesso non potevo dire di Luke. Vederlo lì sulle rocce era stato... sinceramente, non lo so. Non sapevo dare una definizione a quello che stavo provando... probabilmente mi serviva del tempo per processare tutto. Talia aveva smesso di piangere, ma si vedeva che era distrutta.

Atterrammo nel parco di Crissy Field dopo il crepuscolo. Non appena il dottor Chase scese dal suo biplano, Annabeth corse ad abbracciarlo. «Papà! Hai volato... hai sparato... oh, santi numi! È stata la cosa più stupefacente che abbia mai visto!»

Suo padre arrossì. «Be', me la sono cavata bene per un mortale di mezza età, suppongo»

«Ma le pallottole di bronzo celeste! Come te le sei procurate?»

«Ah, be'. Avevi lasciato un bel mucchietto di armi da mezzosangue in camera tua, in Virginia, l'ultima volta che sei... partita». Annabeth abbassò lo sguardo, imbarazzata. Notai che il dottor Chase era stato molto attento a non dire "scappata". «Così ho deciso di provare a fonderne qualcuna per fabbricare l'involucro delle pallottole» continuò «solo un piccolo esperimento»

«Papà...». Annabeth esitò.

«Lexy, Annabeth, Percy» ci interruppe Talia. Aveva un tono urgente. Lei e Artemide erano inginocchiate al fianco di Zoe, fasciandole le ferite. Corremmo ad aiutarle, ma non c'era più molto da fare. Non avevamo nettare né ambrosia. Le medicine comuni non avrebbero funzionato. Era buio, eppure riuscivo a vedere che Zoe non aveva un bell'aspetto. Tremava, e il fievole bagliore che di solito la circondava si stava spegnendo. «Non può curarla con la magia?» chiese Percy ad Artemide «sì, insomma... lei è una dea»

Artemide sembrò turbata. «La vita è una cosa fragile, Percy. Se le Parche decidono di tagliare il filo, non c'è molto che io possa fare. Ma ci posso provare». Fece per posare la mano sul fianco di Zoe, ma lei la prese per il polso. Guardò la dea negli occhi, e in qualche modo si compresero. «Ti... ti ho servita bene, mia signora?»

«Con grande onore» rispose Artemide, piano «la migliore delle mie attendenti»

Il volto di Zoe si rilassò. «Riposo. Finalmente»

«Posso provare a guarirti dal veleno, mia prode»

E così me ne resi conto. Zoe aveva sempre saputo che la profezia dell'Oracolo riguardava lei: era destinata a perire per mano di un genitore. Era stato l'ultimo colpo di suo padre ad ucciderla. Eppure, aveva accettato lo stesso l'impresa. Aveva scelto di salvare Percy, e la furia di Atlante le aveva spezzato qualcosa dentro. Vide Talia e le prese la mano. «Mi dispiace per le nostre liti» disse «avremmo potuto essere amiche»

[3] 𝘽𝙧𝙤𝙠𝙚𝙣 » Percy JacksonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora