Volare era già una brutta cosa per un figlio di Poseidone, ma volare direttamente nel palazzo di Zeus, con i tuoni e i fulmini che vi turbinavano attorno, era perfino peggio.
Sorvolammo Manhattan a sud di Central Park, compiendo un'orbita completa attorno al Monte Olimpo. C'ero stato solo tre volte, prima di allora, salendo in ascensore fino al seicentesimo piano segreto dell'Empire State Building. Stavolta, se era possibile, l'Olimpo mi lasciò ancora più impressionato.
Nell'oscurità del primo mattino, torce e fuochi facevano rilucere i palazzi abbarbicati alla montagna di venti colori diversi, dal rosso sangue all'indaco. A quanto pareva, sull'Olimpo non si dormiva mai. Le strade tortuose erano piene di semidei, spiriti della natura e divinità minori che si affaccendavano a bordo di carrozze o portantine trainate da ciclopi. L'inverno non sembrava esistere, lassù. Colsi il profumo di giardini in fiore, di rose, gelsomini e di altre cose ancora più dolci che non avrei saputo nominare. Una musica lieve di lire e flauti di canne si levava da molte finestre. Sulla vetta della montagna troneggiava il palazzo più grande di tutti: la candida e abbagliante dimora degli dei. I pegasi ci depositarono nel cortile esterno, davanti a enormi porte d'argento. Prima ancora che potessi anche solo pensare di bussare, quelle si aprirono da sole. "Buona fortuna, capo" disse Blackjack.
«Già» dissi nervoso. Non sapevo perché, ma avevo un brutto presentimento. Non avevo mai visto tutti gli dei insieme. Sapevo che ognuno di loro avrebbe potuto polverizzarmi all'istante e che ad alcuni non sarebbe dispiaciuto affatto.
"Ehi, se per caso non torni, posso usare la tua capanna come stalla?"
Mi limitai a guardarlo. "Era solo un'idea" ritrattò lui "scusa". Blackjack strusciò affettuosamente il muso sul fianco di Alex prima di volare via con i suoi amici, lasciandoci soli.
Per un minuto restammo fermi là a contemplare il palazzo, così come avevamo fatto davanti a Westover Hall, quel giorno che ormai mi sembrava un milione di anni prima. E poi, fianco a fianco, entrammo nella sala del trono.
Dodici troni enormi formavano una U attorno a un grande fuoco centrale, proprio come erano disposte le case al campo. Il soffitto scintillava di costellazioni e anche l'ultima arrivata, Zoe la Cacciatrice, solcava la volta del cielo con l'arco teso.
Tutti i posti erano occupati. Gli dei e le dee erano alti quasi cinque metri. «Benvenuti, eroi» esordì Artemide.
«Muuu!»
Fu allora che notai Bessie e Grover. Una sfera d'acqua aleggiava al centro della sala, accanto al fuoco. Bessie ci nuotava dentro felice e contenta, sferzando la coda serpentina e facendo capolino con la testa sui fianchi e sul fondo. Sembrava gradire la novità di nuotare in una bolla magica. Grover era inginocchiato davanti al trono di Zeus, come se avesse appena finito di fare rapporto, ma quando ci vide gridò: «Ce l'avete fatta!». Stava per correrci incontro, poi si ricordò che in questo modo avrebbe voltato le spalle a Zeus, così chiese il permesso con lo sguardo. «Vai» acconsentì Zeus. Ma in realtà non stava badando a lui. Il Signore del Cielo stava fissando intensamente le sue figlie, in particolare Talia.
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[3] 𝘽𝙧𝙤𝙠𝙚𝙣 » Percy Jackson
Fanfic➳ Sequel di "Lost" Il Vello mi ha ridato Talia. Per me sta tornando tutto normale... e allora perché ho la sensazione di dover continuare a dormire con un occhio aperto? Be', forse sarà perché sono la semidea più sfigata della terra, ma ormai lo sap...