Capitolo tre

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Scesi nemmeno due scalini e realizzai che mi serviva qualcosa per farmi riconoscere da questo tipo.

Feci dietrofront e tornai in casa senza dire nulla e, dopo essermi diretta a passo matrimoniale di nuovo in camera mia, tirai fuori da un cassetto un cartoncino bianco ed un pennarello.

Scrissi un "RRI" bello grande e chiaramente leggibile, in questo modo il mio fantomatico ospite qualcosa almeno l'intuiva. Preso il cartellone sotto braccio, uscii di nuovo con Amanda accanto al portone di ingresso che continuava a ghignare, senza mostrare la minima traccia di pentimento.

Una volta fuori, sbuffai: certo che quella battuta su Tayler poteva anche tenersela per sé!

Pianificando vendetta tremenda, montai nella mia fedele ed amatissima macchina nera, piccola e super accessoriata.

Nel giro di una mezz'oretta mi trovai nell'enorme parcheggio del JFK: tra una cosa ed un'altra erano le 19.15: il mio misterioso amico sarebbe arrivato nel giro di pochissimo.

Avevo giusto il tempo di scoprire da che parte andare a recuperarlo.

Dopo aver varcato l'enorme vetrata, la prima cosa che cercai fu un tabellone con gli Arrivi del giorno: il diretto da Londra sarebbe arrivato al Gate 8 nel giro di pochi minuti.

Perfetto.

Mi avviai con passo sicuro, il mio cartellone sottobraccio e la gente che guardava con aria appena stupita.

Suvvia, siamo in un aeroporto: di cose sicuramente più strane di una ragazza con un cartellone se ne vedranno a bizzeffe!

Arrivata di fronte alla fredda transenna del Gate, mi sedetti sulle scomode poltroncine lì di fronte ed attesi che la folla di gente cominciava a defluire.

E così fu nel giro di poco.

Cominciai a vedere di tutto ed immaginare che fosse lui, il mio ospite: da occhialuti uomini di mezza età con ridicole camice a quadri, passando per brizzolati cinquantenni con ancora un certo fascino, ed ancora trentenni invece sfigati e puzzolenti di colonia scadente, fino ad arrivare a poco più che sedicenni secchi ed allampanati come gru.

Quando di gente ne fu passata un po ', abbassai per qualche istante il cartellone, ansimando appena.

"Ehm, scusa?", Mi sentii chiamare di lato, una voce profonda ed un dir poco meraviglioso, col suo perfetto accento britannico.

Mi girai quasi di scatto, attirata da quella voce come un'ape dal miele.

"Sei tu la ragazza della RRI, giusto?", Chiese la medesima voce che ancora però non riuscivo a concretizzare in un corpo.

"Sì!" Risposi, scostando con delicatezza una vecchiaetta ed un bambino moro.

Dopo aver spostato altre persone, riesco ovviamente ad inciampare nei miei stessi piedi, mi sono trovato ad andare a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.

Quello a cui mi ritrovai avvinghiata era un solido torace maschile, coperto da una raffinata camicia grigia fumo e dal persistente profumo di limone e muschio.

"Diane, giusto?" Chiese il suddetto torace.

Maledizione, ero riuscita a finire spalmata sul mio futuro ospite!

"Sì, scusa" dissi, cercando di rimettermi in sesto "come fai tu a ...?" Cercai di chiedere, la testa ancora china, cercai di recuperare il mio povero cartellone, finito ormai calpestato miseramente dalla folla.

"Rosie mi ha mandato un'email, che ho appena letto, dicendomi che all'aeroporto a recuperarmi ci saresti stati tu, Diane Gray, giusto?"

Non ero preparata a quel che mi trovai davanti.
Non ero pronta a quella splendida via di mezzo.

Il ragazzo, no, o meglio, uomo, che avevo di fronte era alto, parecchio alto, dal fisico slanciato ma non filiforme, la pelle pallida come quella di una bellissima statua di marmo, i lineamenti del viso appena appuntiti ed un po 'spigolosi ma straordinariamente armoniosi, un sorriso smagliante che mostrava una chiostra di denti perfetti, una chioma di morbide onde color nocciola ed un paio di grandi occhi color miele, talmente belli da togliere il fiato.

Indossava un paio di rigidi stivali di pelle nera, un paio di raffinati pantaloni neri, fissati su una semplice cintura di pelle nera, e la camicia color fumo, appena sbottonata. Al polso sinistro portava un elegante orologio di pelle nera, appeso al colletto della camicia, c'erano un paio di classici occhiali da sole scuri; nella mano destra teneva il cellulare.

Dietro di lui c'era un enorme valigia verde bottiglia che sembrava sul punto di scoppiare.

Dalla mia espressione sicuramente ebete il mio ospite dovette intuire la mia sorpresa e scoppiò in una risata a dir poco splendida: sonora, di petto ed estremamente sensuale.

"Piacere, comunque" disse lui, con quella voce che mi risvegliò dal sonno "io sono Nick, Nick Edward Payne" precisò, porgendomi la grande mano affusolata.

La strinsi debolmente, sfoderando un sorrisino timido e impacciato come quello di una ragazzina, ed arrossendo dolcemente.

"Diane, Diane Rosemarie Gray, anche se sembra che tu già lo sapessi" risposi io, ridendo appena, "bene, vogliamo andare?" Chiesi subito dopo, ritrovando improvvisamente la carica giusta.

Lo vidi annuire con semplicità e sorridere in quel modo che, avrei scoperto ben presto, era tutto suo.

Afferrò con una mano la grande valigia e la questione con un braccio solo, chiedendomi con lo sguardo dove andare. Gli feci strada, camminando a passo agile e svelto tra la gente.

Camminava con passo svelto e sicuro, come se fosse il padrone del mondo, ma al contempo con gentilezza, quasi timidezza, gli occhi appena abbassati.

Appena fummo di fronte alla vetrata, vidi si fermava un attimo per riposare la mano che teneva tutto il peso, la stessa che io stavo ancora chiedendo come fosse possibile che non fosse ancora staccata.

Senza dire nulla e limitandomi a sorridere, mi avvicinai ed afferrai la valigia da sotto, per uno dei tanti manici.

Mi guardò con aria quasi interrogativa, sicuramente stupito.

"Beh? Ti do una mano: la macchina non è poi così vicina e vorrei che tu arrivassi a casa tutto intero!" Spiegai io, ridendo appena.

Lo vidi ridere in risposta ed annuire con vigore.

Prese la valigia dalla parte opposta e ci avviammo così verso la macchina che, nel parcheggio brillava sotto quel caldo sole primaverile come un diamante in mezzo alle pietre.

Aprii il bagagliaio per permettergli di mettervi la valigia, mantenendoglielo aperto con una mano.

Mentre lo chiudeva, mi lanciai alla portiera dal lato guida e montai, sorridendo un attimo come un'ebete.

Nel giro di qualche secondo sentii l'altra portiera chiudersi e vidi montare anche lui, era decisamente l'uomo più affascinante che avessi mai incontrato e mi piaceva da morire vederlo nella mia macchina.

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