Capitolo dieci

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Il weekend successivo, lo ricordo bene, ci fu un mercatino di beneficenza al Bellevue South Park, un parco non lontano dalla facoltà di Medicina.

Lo organizzammo noi, con la RRI e altre associazioni di beneficenza della zona e, più in generale, della città. Avevamo invitato amici e conoscenti che si dedicavano all'artigianato, di qualsiasi genere esso fosse. Io avevo reclutato diverse persone che, per un motivo o per un altro, lavoravano o si dilettavano in quel campo.

Avevo reclutato i genitori di uno dei miei più grandi amici di infanzia, Dunkan Reel: lei, Nadia Sheppard, era anche la migliore amica della mamma; lui, Sergyo Reel, un grande amico di famiglia. Lui era in pensione e in vecchiaia, si dilettava con l'artigianato del legno: facevano dei piccoli capolavori di legno, piccoli mobili e suppellettili, una forma di animali, il più delle volte. Lei, invece, lavorava come maestra in un asilo nido e nel tempo libero amava cucire pupazzi e bambole, coloratissimi e divertentissimi.

Ero io stessa una loro cliente, dal portapenne a forma di gufo che tenevo in camera, alla tigre che tenevo sul piano della macchina.

Avevano il loro banchino, organizzatissimo ed ordinato nel mezzo del parco.

Avevo reclutato, poi, una mia vecchia amica di scuola, Louise Gussman, accompagnata sempre e comunque dal suo storico ragazzo, Max, le piaceva creare bijou con la pasta fimo. Altra amica di cui ero cliente affezionata.

Ultima, ma non per importanza, la moglie del migliore amico di papà, Kristie Burk, grande amica di famiglia che, stavolta per lavoro, creava bigiotteria, campionari di abiti e borse all'uncinetto, tutto rigorosamente confezionato a mano.

Il nostro compito era quello di guardare in strada ed attirare il più possibile consumatori per i nostri amici.

Io ero posizionata all'angolo tra East 16th Street e la 1st Avenue, insieme a Ashley, una delle mie socie ed il suo ragazzo, Matt, socio pure lui.

Lei, storica dell'arte, per lavoro ma anche per passione, gestiva una mostra di arte contemporanea insieme al padre Vincent, lavoro perfetto nel panorama culturale molto frizzante della Grande Mela. Lui, più al passo coi tempi, era ingegnere e lavorava ad alcune ricerche per l'Università di New York.

Eravamo in mezzo alla strada, con volantini e spille, che pubblicizzavamo l'evento.

Iniziammo la mattina verso le 10 e alle 4 del pomeriggio, senza pranzo e con tanta stanchezza sulle spalle, mi sedetti sul marciapiede, soddisfatta di quante persone riuscimmo ad accalappiare e spedire dai nostri colleghi, ma comunque esausta.

" Ti vedo demotivata" sentii motteggiare alle mie spalle da una voce ben conosciuta ed una risata bellissima.

"Nick!"Esclamai, alzandomi in piedi e girandomi di scatto, trovandomi così ad affondare le dita nella sua camicia color antracite, tanto era vicino.

"Beh?" Sorrise "cosa si fa? Si ozia? " Scherzò, afferrandomi subito per i polsi.

" Ma se mi sono seduta adesso!" Protestai decisamente offesa.

" È vero!" Confermò Matt per me, sorridendo, sotto al pizzetto scuro.

" Va bene, va bene" concesse Nick, sorridendo, decisamente comprensivo.

Spostò lo sguardo verso Matt ed Ashley e, dopo aver lasciato il polso distrutto e aver fatto scorrere l'altra mano lungo la mia schiena e la maglietta celeste che la ricopriva, porse la stessa mano ad entrambi, presentandosi.

Risposero entrambi stringendogli la mano e sorridendogli, dopo essersi presentati pure loro.

"Tu devi essere il ragazzo che Diane ospita in seguito al nostro progetto" disse  Ashley guardandolo con i grandi occhi color miele "piacere di conoscerti" sorrise ancora.

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