Capitolo undici

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L'inizio di maggio portò con sé, nella Grande Mela, rovesci e temporali come non se ne vedevano da tempo, nelle usualmente soleggiate primavere newyorchesi.

Amanda amava la pioggia e non era raro che se ne andasse a spasso sotto l'acqua, stivali ai piedi ed il suo fido ombrello verde bottiglia in mano.

Così lasciava, inevitabilmente, me e Nick da soli in casa.

Lui, sebbene abituato al clima capriccioso e piovoso del suo paese natio, non era un amante del mal tempo, essendo un tipo piuttosto solare ed ottimista di natura.

Io la pioggia, l'amavo, solo sotto forma di candida e gelida neve.

Lui neanche quella, credo.

Entrambi, in ogni caso, facevamo di tutto pur di non mettere il naso fuori di casa quando pioveva.

Le prime volte cercavamo di fare i disinvolti: lui si sedeva tranquillo in cucina con la sua tazza di tè a leggere il giornale ed io mi stendevo sul letto a leggermi un libro o a studiare.

Alla fine però, qualcosa prendeva il sopravvento: o io mi dirigevo in cucina con la scusa di prendere un bicchiere d'acqua, un caffè, un tè o qualsiasi cosa e mi ritrovavo seduta sulla sedia di fronte a lui a spulciare gli articoli delle compagnie teatrali insieme; oppure era lui che, con la scusa di venire a prendere il cellulare, un libro o una maglia, anche per lui qualsiasi cosa andava bene, si ritrovava seduto all'altezza delle mie ginocchia a chiedermi cosa leggevo.

Allora capimmo che la lettura, per un verso o un altro, era uno dei nostri punti di contatto. Uno dei molti, a dire la verità.

Passammo quindi dal passare i pomeriggi ognuno per conto suo e fare finta di ignorarci a vicenda, al passarli insieme, semi-seduti sul letto o sul divano, spesso in pigiama entrambi, a leggerci un libro.

Insieme, ovviamente.

All'inizio ero io che leggevo, a voce alta, mentre lui scorreva, rapido, con lo sguardo, le pagine su cui io stavo leggendo.

Poi, però, una volta, gli chiesi di fare cambio, per provare.

Mi si aprii un mondo.

Amavo alla follia la sua voce, e questo non c'era bisogno di scoprirlo, ma sentirlo leggere, quasi recitare versi di alcuni dei miei, o meglio, nostri, libri o poemi preferiti era qualcosa di semplicemente meraviglioso.

Amanda rientrava spesso alla stessa ora e quindi facevamo in tempo, di solito, a tornare a fare finta di non aver passato tutto il pomeriggio accoccolati sul letto o sul divano insieme. La mia amica si diverte un po 'a prendermi in giro e Nick lo sapeva e preferiva evitarlo, se era possibile. Io c'ero abituata  e cercavo di fargli capire che non ce n'era bisogno ma, d'altra parte, mi piaceva sapermi e sentirmi depositaria di piccole attenzioni come quella.

Una sera, però, Amanda non tornò all'ora prevista.

Mi arrivò un suo messaggio che diceva di non preoccuparsi: restava fuori ancora un po 'ma non sapeva quando sarebbe tornata.

E quella sera ci trovò.

Sì, ci trovò nel mio, no, anzi, nostro letto, sotto alle coperte nonostante fosse maggio, appoggiati alla testata di pelle.

Nick teneva in mano un suo vecchio libro, uno di quelli di famiglia.

Eravamo seduti nelle vicinanze, le gambe sono le une accanto alle altre, tanto vicino da non riuscire quasi a distinguere dove iniziavano le sue e finivano le mie.

Nick leggeva, o meglio, recitava, e stavolta per davvero: sentivo, capivo che quel sonetto l'aveva letto, ed amato, talmente tante volte da conoscerlo senza doverci porre poi così tanta attenzione.

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