Capitolo quattro

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Come ero fortunatamente riuscita all'andata a non rimanere bloccata nello sconvolgente traffico newyorchese Dio solo lo sa.

Al ritorno, manco a dirlo, ci trovammo imbottigliati in un ingorgo da manuale, con tanto di gente che usciva dalla vettura per correre ad urlare dietro al vicino e clacson strombazzanti.

Perfetto, non c'era che dire.

La fila era ferma, anzi, fermissima.

Spensi così il motore ed aprii il finestrino, mettendo fuori un braccio: non c'era altro da fare che aspettare.

"Benvenuto a Manhattan" ironizzai in direzione di Nick, sorridendo con una punta di amarezza.

Lui rise, sì, rise di una risata limpida, sonora, bella da impazzire.

"Tutto nella norma, immagino" constatò, senza smettere di sorridere.

Annuii sorridendo, però stavolta divertita.

"C'è un motivo infatti se uso raramente la macchina e mi sposto sempre in metropolitana" confessai con un'alzatina di spalle, guardando fuori.

"Già" rispose lui, abbassando appena la testa.

Calò allora il classico silenzio di piombo, imbarazzante da impazzire.

Perfetto.

"Ehm..." mi schiarii la voce cercando di sembrare disinvolta "Rosie mi ha detto che sei un attore di teatro".

Lo vidi alzare la testa quasi di scatto, come punto sul vivo: "Sì" ammise lui con un sorriso luminoso, "ma sono anche laureato" aggiunse, a mo' di giustificazione.

"Ah sì? In cosa?" chiesi, curiosa.

"Letteratura inglese".

"Oh, ma che bello!" esclamai io "la adoro!" aggiunsi subito.

Ed era verissimo!

Da quando avevo ricordo ero sempre stata una lettrice ossessiva/compulsiva, di quelle che se non hanno nulla da leggere sono disposte anche a sfogliare l'elenco telefonico, ed avevo divorato ed amato moltissima letteratura inglese.

"Bene" mormorò lui, convinto forse che stessi scherzando.

"Cosa reciti a teatro?" chiesi ancora io.

"Prevalentemente Shakespeare, come ogni attore inglese che si rispetti", spiegò lui, sorridendo quasi amaramente.

"Oh" mormorai io in risposta, il tono vagamente sognante.

Io amavo Shakespeare con tutta me stessa ed avevo letto quasi interamente la sua produzione.

"Che c'è?" chiese lui, divertito.

"Mi piace molto Shakespeare" sorrisi in risposta, arrossendo nemmeno troppo vagamente, la voce ridotta ad un sussurro imbarazzato, a mo' di giustificazione.

Nick rise di nuovo, riuscendo di nuovo ad azzerarmi la salivazione.

"Tu invece?" chiese allora lui, abbassando appena il tono, come se fosse intimidito.

"Io studio" risposi, schifosamente scontata.

"Sì, immaginavo" rispose ghignando appena, "ma vorrei sapere cosa..." precisò subito.

"Medicina" risposi, arrossendo di nuovo come un pomodoro maturo.

"Oh" rispose lui "allora non si scherza...".

"Eh no" risi, non sicura se fosse una battuta o una constatazione "in compenso sono ancora al primo anno e quindi credo di non essere ancora in grado di fare i danni più grossi", scherzai, ridendo appena.

"Al primo anno?" chiese, ridendo con me ma col tono appena più stupito.

"Sì" risposi io, "compirò 21 anni tra un mese o poco più" spiegai, "perchè scusa? Di cosa ti meravigli?" chiesi subito, cercando di risultare quasi offesa.

"Nulla, solo che ne dimostri di più" rispose "e non lo dico tanto per dire" precisò, strizzandomi scherzosamente un occhio.

"Oh" arrossii di nuovo, fissando il volante con sconcertante intensità "grazie" borbottai.

Una pausa.

"E tu?" chiesi allora, curiosa.

"Ehm...io ne ho compiuti 30 lo scorso novembre" rispose, facendo appena spallucce.

"Ah." Solo dieci anni di differenza.

"Di la verità: ti aspettavi che ne avessi di meno"

"Sì, me l'aspettavo ma appena ti ho visto dovevo rendermene conto" ridacchiai io.

"Mi stai dando del vecchio?" scherzò lui.

"No, assolutamente no: sto solo dicendo che si vede che non sei un ragazzino" risposi ridendo.

E rise anche lui, ancora.

"Non so se Rosie te l'ha detto ma alloggerai da me" annunciai, quasi solenne "spero per te non sia un problema." aggiunsi, quasi intimidita, senza dubbio timida.

"No, per me non lo è, semmai potrebbe esserlo per te." constatò sorridendo.

Sorrisi in risposta: "Non mi formalizzo per così poco" risposi "e nemmeno la mia coinquilina" aggiunsi subito.

"Studia Medicina con te?" chiese, forse incuriosito.

Annuii mentre mi sporgevo fuori dal finestrino per poter guardare fuori.

Vidi che qualche macchina più avanti cominciavano ad avanzare ed accessi subito il motore.

Ripartimmo nel giro di qualche minuto e per il resto del tragitto non trovammo altri intoppi, per fortuna.

Nick guardava fuori dal finestrino con quei meravigliosi occhi color miele appena dilatati, forse dalla sorpresa, forse dalla felicità.

Un mondo nuovo, per lui.

Un po', anche se sicuramente in misura minore, come lo era stato per me quando mi ero trasferita qui per studiare.

Il sole tramontava e la luce aranciata che esso proiettava su di noi illuminava i suoi lineamenti sfilati ed appena appuntiti.

Era bello. Non c'era molto altro da dire. E spaventosamente affascinante.

La voce, quella voce profonda, armoniosa, dal timbro mascolino ma dolce, era qualcosa di indescrivibile, specialmente se abbinata al suo perfetto accento inglese.

La risata sonora, forte e contagiosa senza però essere eccessiva. Un sorriso perfetto, semplice, quasi tenero, cortese e molto accattivante.

E quegli occhi di porcellana, di ambra, di miele o di tutto quello che potesse parlare di libertà e bellezza.

Le strade erano meno affollate dopo l'ora di punta e si andava veloci: la gente era già a casa, a cena con la propria famiglia o i propri amici; per strada rimanevano solo poche persone, spesso in compagnia, stretti gli uni agli altri, in una città in cui di bisogno degli altri ce n'era sempre di più, senza che nessuno però se ne rendesse minimamente conto.

Gettai uno sguardo quasi nervoso all'uomo accanto a me: il mento appoggiato sulla mano destra e lo sguardo perso per le strade ben allineate di Manhattan: forse per Nick sarebbe strano, diverso, forse triste essere in una casa diversa dalla propria quella sera, ad una tavola diversa e soprattutto con persone diverse, lontano dai propri cari.

Forse lo sarebbe stato perchè era consapevole che in quella grande città, se fosse riuscito, era venuto per restare.

Un po' come me. Un po' come molti amici e colleghi.

Come molti e basta.

Sospirai, eravamo arrivati a casa.

Parcheggiai nel nostro garage e scesi dalla macchina, giusto in tempo per aiutare Nick ad aprire il bagagliaio un po' cigolante e trarne fuori il suo bagaglio.

"Da questa parte" feci strada io con la mano destra, chiudendo la macchina, le chiavi di casa già in mano.

Lui mi seguì con un sorriso, senza dire nulla.

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