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Xavier scostò la tenda della finestra su un sole quasi spietato. Aprì il balcone e lasciò entrare l'aria fresca.

Rabbrividì; un sole così prendeva per il culo facilmente, pensò. Non fosse stato autunno sarebbe stato bello caldo, ma per lui era molto meglio così perché il caldo un po' lo soffriva. Non amava nemmeno il freddo; le mezze stagioni andavano più che bene.

Sabato. La sveglia segnava quasi mezzogiorno. Si stiracchiò, infilò pantaloni di tuta e una maglietta e scostò le tende che separavano la zona letto dalla zona giorno del monolocale. Davanti a lui, nella parete di destra, la cucina essenziale in mobili vecchi con una piccola penisola e un tavolino per due o al massimo tre persone.

Il resto ospitava un bagnetto subito dopo la zona letto e un soggiorno con un bel divano a elle, che si era comprato un paio di anni prima, e la parete tv accanto alla porta d'ingresso. Era tutto in una manciata di metri quadrati, nulla più che l'essenziale per lui.

Un morsetto a una caviglia e due zampe bagnate che gli assalivano i polpacci. Smokey. Certo, l'essenziale per lui e per Smokey. Si chinò per accarezzare il vivace meticcio marroncino a chiazze chiare che scodinzolava felice leccando l'aria con la lunga lingua bavosa.

«Birbante Fumetto! Perché hai le zampe bagnate? Di nuovo quel giochetto con l'acqua della ciotola, ci scommetto. Lo giuro che non te la riempio più di sera mattacchione!»

Prese il cane in braccio; pesava quasi dieci chili e a volte gli sembrava impossibile pensando al mucchietto d'ossa grigiastro che aveva raccolto per strada cinque anni prima.

Lo portò in bagno e gli asciugò le zampe con un asciugamano. «Così non andiamo d'accordo Fumetto.» Quando gli parlava in tono duro di solito il cane smetteva di scodinzolare e fargli le feste, ma quella volta continuò a leccargli le mani felice.

Lo riportò di là e fece volare da un enorme sacco di plastica una generosa quantità di crocchette nella ciotola. Scosse la testa tra sé ridendo; altri due anni e quel cane sarebbe diventato obeso. Eppure, era felice che fosse diventato forte e robusto. Ancora non ci credeva che si fosse salvato.

Mangiò anche lui. Pigro da sempre in cucina, si preparò un panino freddo con formaggio e un po' di insalata dai sacchetti che si comprano pronti all'uso. Ci bevve dietro mezza birretta.

Poi, con il cane che gli andava dietro, uscì in terrazzo a fumare una sigaretta. Prese una bella boccata di fumo, inspirando socchiudendo gli occhi per il sole. Buttò fuori lentamente, i gomiti poggiati alla ringhiera.

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«Piano Fumetto!»
Xavier tirò il guinzaglio per l'ennesima volta. Quel cane amava correre. Anche a lui piaceva di tanto in tanto, ma non di sabato. Quello era un giorno in cui preferiva fare il meno possibile. Il sabato, a volte più ancora della domenica, era il giorno della pigrizia.

Stava svoltando l'angolo di un condominio. L'aria era fresca, ma con una bella felpa spessa lui stava bene. Anche Smokey era felice. Saltellava pestando le foglie secche del marciapiede, nemmeno fosse un bimbo a cui avevano appena dato un meraviglioso regalo.

Xavier rise tra sé, ma subito ammutolì e si bloccò quando gli si parò davanti una scena purtroppo conosciuta. Tirò il guinzaglio verso di sé; Smokey frenò di scatto e si girò a guardarlo, la lingua penzoloni e negli occhi un'espressione perplessa. «Buono bello» sussurrò tenendo il guinzaglio tirato.

Poco più avanti, all'ombra di un palazzo, due tipi incappucciati con abiti neri sembravano scambiare quattro chiacchiere. Lui però li conosceva; anche da lì poteva distinguere sotto al cappuccio i capelli rossi del ragazzo a sinistra e il viso scuro con i ricci nero carbone dell'altro.

Forse stavano parlando, ma non era quello il punto; sapeva bene che quel sacchettino bianco che il rosso stava passando al ragazzo di colore conteneva droga; non aveva idea di quale intruglio stesse spacciando, ma di sicuro non ci teneva a scoprirlo.

Mosse un passo indietro, poi un altro, sempre tenendo d'occhio i due tipi. Il nero aveva messo il sacchetto in tasca e stava passando a pel di carota un mazzetto consistente. Mille, duemila, tremila, potevano essere davvero tanti soldi e Xavier lo sapeva bene.

Un altro passo indietro. Era una zona isolata, per questo gli piaceva andarci a passeggiare con Smokey quando aveva voglia di tranquillità; ma forse non era più un itinerario come un tempo.

Fece un altro passo; stava per voltarsi e andarsene via di corsa, con il cane che tirava il guinzaglio, quando il rosso si guardò attorno. L'affare era terminato.
"Troppo tardi Xav." Lo spacciatore puntò i suoi piccoli ma acuti occhi di falco su di lui. Eccolo, era già spacciato. Dalla sua espressione, nonostante la lontananza, capì che l'aveva riconosciuto. Incrociarono gli sguardi solo per un istante, ma fu sufficiente a fargli passare lunghi momenti d'angoscia.

Il suo cuore perse i battiti, si sentì cedere le gambe. Riuscì a riattivarsi proprio quando i due tipi cominciavano a venirgli incontro; di volse e cominciò a correre. Smokey lo seguiva felice, forse credendo che il suo padrone volesse giocare. Invece Xavier era terrorizzato.

Corse, corse finché non ebbe più fiato. Non si voltò mai a vedere se lo stavano inseguendo, sperando in cuor suo che non avessero pistole. Ringraziò che il caso poi gli avesse donato un cane agile, veloce e resistente. Quando si fermò, con i polmoni che bruciavano per lo sforzo, sorrise quasi vedendo che il cane avrebbe continuato a correre se non avesse avuto il guinzaglio a frenarlo.

Svoltò in una via a caso, sperando fosse abbastanza lontana da casa sua. Appoggiato al muro, le mani sui fianchi e poi sulle gambe, cercò di riprendere fiato mentre ragionava. Non lo stavano inseguendo; non era nel loro stile, giusto?

Era passato talmente tanto tempo. Ma il suo appartamento non era più quello, non conoscevano il suo indirizzo. Probabilmente lo stavano inseguendo in auto, per scoprire dove vivesse, per poi stanare il topo direttamente nella sua tana. Quello era il loro stile.

Xavier imprecò tra sé. Si riaffacciò con cautela sulla via, tenendo stretto il guinzaglio costringendo il cane a stare indietro perché non lo vedessero.
Scrutò ogni auto parcheggiata a lato della strada. Una grigia citycar, una Toyota rossa, qualche bicicletta, una moto e poi... "bingo!" La volvo nera metallizzata. Era ancora la stessa auto.

Tornò subito nell'ombra. Percorse la via dall'altra parte, uscì facendo attenzione e vide che la volvo l'aveva seguito. Erano proprio loro. Entrò nel primo bar, con la speranza di poter uscire dal retro.

«Ehi, scusi, qui niente cani.»
"Fanculo." «Non può fare un'eccezione?»

«Non ha visto il cartello? I cani fuori. Può legarlo a un palo mentre le faccio il caffè.»

«Io odio il caffè.» "Cazzo." Fulminò il barista con un'occhiata omicida. I clienti si girarono a guardarlo.

Uscì, sperando di non trovarsi i due criminali davanti. Si guardò attorno, il cuore impazzito e le gambe che tremavano; con sua grande sorpresa nessuno in giro, a parte un tizio in bicicletta che andava avanti sghembo. Eppure, era certo di averla vista la volvo, ben due volte.

Con l'ansia a serrargli la gola riprese il suo cammino. Girò un po' in tondo, pensando a come fare per tornare a casa senza essere visto. Camminava guardandosi attorno per controllare le auto in strada e quelle parcheggiate. Tante dannate, stupide citycar, qualche toyota, un paio di Fiat, ma non c'era molto traffico. A tratti passavano solo un paio di moto o una bicicletta.

Non vide più la Volvo nera, così si avviò verso casa. Forse avevano lasciato perdere, pensò senza crederci nemmeno per un istante.


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