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Xavier osservava quelle labbra da svariati minuti.

Non avrebbe mai creduto di rivederle in vita sua, non l’aveva nemmeno mai desiderato.

Il bello era proprio quello infatti, non rivedere più i suoi lavori; questo significava che era riuscito a venderli.

Eppure quel quadro era dinanzi a lui, identico a come lo ricordava: labbra rosso amaranto un po’ vecchio stile, un lungo e pallido ciuffo di capelli che finiva sopra alle labbra e sfiorava la punta di un piccolo e insignificante naso altrettanto pallido. Tutto lo sfondo era cereo, come un volto scolpito nel marmo. Solo un lieve tocco rosato colorava le guance, una debole ombra di fard che scavava quel volto rendendolo smunto.

Qualcosa di delicato, quasi elegante, permeava quel quadro. A Xavier aveva sempre fatto quell’impressione, che fosse facile da rompere, che quel volto fosse di una persona fragile, debole.

Lo aveva amato dal primo istante, da quando aveva tracciato la prima linea col pennello fino al momento in cui aveva terminato con quel tocco, quasi fuori luogo, d’ombra rosa sotto le guance.

Per questo una parte di lui provava una strana sensazione di gioia, d’eccitazione, nel rivedere quel quadro. Quasi fosse un’ex amante. Non come un figlio tornato tra le braccia del padre dopo un lungo viaggio.
No. Perché Xavier non l’aveva mai dimenticato, ma nemmeno ricordato ogni giorno della sua vita.

In quegli anni aveva creato altri quadri, aveva lavorato in quella dannata fabbrica, aveva trovato Smoky, aveva vissuto senza di lui. Ma l’antica fiamma era tornata a scintillare di nuovo quando l’aveva rivisto quel mattino.

Nobili glielo aveva mostrato orgoglioso. A quanto pareva era uno dei suoi quadri preferiti. Chissà perché, si disse Xavier continuando a osservarlo, cercando di cogliere qualche sfumatura che forse gli era sfuggita. Dopotutto, quel quadro non aveva nulla di particolare. Non era certo il migliore dei suoi lavori, era piuttosto
semplice. Eppure…

Qualcosa gli salì su una gamba. «Dai, Fumi, va giù bello.» accarezzò il cane, che scodinzolava non desiderando altro che la sua attenzione.

Xavier tirò fuori di tasca la sua pallina e gliela lanciò. Assurdo. Non riusciva a scollarsi da quel maledetto quadro. Perché? Perché Nobili l’aveva comprato? Perché gli piaceva tanto? E soprattutto per quale motivo non gli aveva risposto quando gliel’aveva chiesto?

Un vigoroso bussare alla porta lo scrollò dalle sue stupide domande. Si sentiva uno scemo a rimanere per minuti a fissare
un quadro privo di significato che egli stesso aveva dipinto.

Si sistemò con un frettoloso gesto le mani arrotolate della felpa e cercò di liberarla da qualche pelo di Fumetto, che nel frattempo, da bravo cane, gli aveva riportato la pallina e rimaneva in attesa.

«Avanti.» quel modo di bussare non poteva che essere di una persona.

«Signor Leonardi» esclamò una voce squillante.

Il suo ospite entrò con fare teatrale nella stanza, aspettando che uno dei suoi servetti effeminati gli richiudesse la porta alle spalle. Loro sì che avevano delicatezza, quando bussavano si sentivano appena i loro flebili colpetti.
Mentre Nobili, oh, lui era tutt’altra storia.

«Signor Nobili, cosa posso fare per lei?»

«Suvvia mio caro, lo sai benissimo. Ma nulla, per ora. Bisogna attendere. Domani il grande giorno.»

Il grande giorno. Così Nobili chiamava una delle sue centinaia di mostre che si sarebbe tenuta l’indomani.

Il lato divertente era che la mostra serviva solo da copertura per ben’altri scopi.

«Il grande giorno, sì» ripeté Xavier con voce fiacca. Era poco convinto e non si poneva problemi nel darlo a vedere.
Si chinò, prese la pallina e la lanciò. Fumetto partì come un missile.

Nobili avanzò e si accomodò su una delle sedie di un tavolino rotondo in stile vittoriano posto al centro della stanza. In
quel momento un ragazzo entrò reggendo un vassoio, che posò sul tavolino.

«Faccio da solo caro» lo congedò Nobili. Poi si rivolse a Xavier, mentre si versava quello che aveva tutto l’aspetto di
essere tè nero: «Dai, su, un po’ di vita mio caro. Sarà una gran bella mostra. Ne rimarrai affascinato, ne son sicuro. E poi
non dimenticare il tuo compito. Vuoi lavorare, no?»

Quella velata minaccia a Xavier piacque ben poco. «Posso trovare anche da altre parti, sig. Nobili.»

«Certo, ma non le cifre che ti riserverò io e facendo poi ciò che di più ami al mondo. O sbaglio?»

«Potrei tentare.»

Nobili sorseggiò il té, poi lanciò il suo freddo sguardo su di lui: «Tenta pure, mio caro, poi torna da me.»

Era abbigliato nello stesso modo del giorno di due giorni prima, con la differenza di un ridicolo papillon verde acido.
Quel colore era parso a Xavier piuttosto eccentrico la prima volta, ma in quel momento capì che era perfetto per lui.

«Tè?» offrì Nobili sollevando la piccola teiera di fine porcellana.

«No, grazie.»

Nobili posò la teiera e bevve un altro sorso. «Allora, come ti trovi qui?»

Domanda insolita, considerando che non si erano visti negli ultimi due giorni. «Bene, grazie.»

Xavier lascio correre un istante lo sguardo attorno. Enorme, grande quanto il suo intero monolocale, piuttosto eclettico come
ambiente, ospitava un letto a baldacchino con tanto di tendine, svariati mobiletti in stili diversi, una cabina armadio da far
Invidia a ogni donna, almeno quattro tavolini con altrettante sedie. Quello al centro della stanza, dove stava seduto Nobili, era il più grande.

In tanto sfarzo, però, tra sete e broccati, tende di velluto e tappeti persiani, solo un quadro era appeso al muro: il suo.

Xavier era rimasto a bocca aperta quando l’aveva visto. E ancora di più quando aveva trovato Fumetto ad aspettarlo nella stanza,
tranquillo e scodinzolante.

«Sono assai felice che ti trovi bene, mio caro Xavier. Ora, come hai intenzione di agire domani alla mostra?»

Xavier riportò l’attenzione su Nobili: «Farò quello che mi ha chiesto, signore. Osserverò gli invitati fingende di essere uno di loro.»

«Molto bene. E poi? Cosa farai?»

«Cercherò di capire qual è il migliore o quali sono i migliori. Giusto?»

«Esattamente.» Nobili posò la tazzina sul piattino. Aveva finito il suo té e proprio in quell’attimo lo stesso ragazzo di prima entrò nella stanza per ritirare il vassoio.

«Grazie dolcezza.»

Xavier storse il naso. I modi di fare di Nobili gli davano la nausea. Era un uomo di mente acuta, ma anche lascivo e mellifluo.
Tutto ciò a Xavier non andava.

«Allora, siamo d’accordo.» Gli occhi penetranti di Nobili lo attraversarono come coltellini svizzeri.

«Sì, certo» fu costretto a rispondere. «D’accordo.»

Sperò che dal suo tono di voce fosse trapelato il suo disgusto; non gli
Importava nemmeno un po’ di celarlo.
Nobili si alzò e a piccoli passi baldanzosi raggiunse il quadro, che stava sulla parete davanti al letto. C’era talmente tanta
distanza che da steso Xavier non l’avrebbe neppure notato. Nel frattempo si era spostato alla finestra e lì rimase per
stare lontano da quel damerino imbalsamato con la parrucca che gli dava proprio la nausea.

«Ma che spettacolo signor Leonardi. Ha compiuto un miracolo con questo dipinto.»

«Non ne comprendo il motivo.»

«Oh, lo capirai.» Nobili, assorto ad osservare il quadro, non si volse neppure a guardarlo. Sembrava parlasse tra sé. «Lo capirai molto presto.»

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