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Uscì da quella maledetta fabbrica con ancora addosso la sensazione di essere osservato. Dodici ore di lavoro non bastavano a liberarlo dai suoi pensieri, quanto invece ad aggiungerne; due colleghi in ferie, un altro a casa malato, un altro ancora in permesso per una visita.

Se prima Xavier incollava tacchi alle scarpe per tutto il santo giorno, le ultime ventiquattrore di lavoro le aveva passate tra infilare lacci alle scarpe, incollare tacchi, inscatolare, preparare pacchi, sollevare scatoloni e addirittura fare pulizie. Da otto come si erano stabilizzate da qualche tempo, le ore erano diventate nove, dieci, dodici.

Si abbandonò sul sedile della sua auto, sbuffando finalmente per tutte le rogne della giornata. Accese, partì inviando una muta imprecazione a quella dannata fabbrica dove da troppi anni lavorava senza la minima soddisfazione. Fabbrica che poi stava andando a puttane dopo che quel coglione del figlio del direttore l'aveva presa in mano qualche mese prima.

Sbuffò di nuovo, mollando un pugno al volante. Perché ultimamente andava tutto così male? Erano trascorsi pochi giorni dallo spiacevole incontro con il Rosso e il Nero e non aveva smesso di pensarci. Di notte li sognava, vestiti di scuro, con cappucci calati e i loro sacchettini bianchi tra le mani, avvolti da un'aura quasi spettrale. Perché? Perché erano tornati a perseguitarlo? Non era bastato fare il bravo, trovare un lavoro, pagare l'affitto, allontanarsi il più possibile dalla società. Tutti i suoi sacrifici non erano serviti a nulla.


A casa Fumetto lo aspettava davanti alla porta. Appena lo vide impazzì talmente tanto che Xavier temette che la sua coda potesse staccarsi da un momento all'altro.

«Sì, bello.» Inginocchiato, si lasciò leccare affondando le dita nel suo pelo soffice... e bagnato.
«Fumetto! Cazzo ancora con quella ciotola!»

La cucina era un disastro; la ciotola dell'acqua del cane era ribaltata e l'acqua sparsa in una pozzanghera dove il birbantello si era divertito a inzupparci i croccantini e che aveva generosamente sparso a zampate per tutto l'appartamento.

Ci buttò sopra un asciugamano e rivolse la sua attenzione al frigo. Alle dieci di sera fare le pulizie non era certo la sua priorità. Tirò fuori formaggio, salame a fette e una birretta. Non aveva comprato il pane ma trovò nel cassetto una confezione di fette già pronte.

Mangiò un paio di panini e aprì anche la seconda birra. Riempì le ciotole del cane, poi una doccia veloce e si sdraiò esausto, ancora nudo, sul suo letto.

Il trillo insistente della sveglia lo strappò a un beato sonno senza sogni. Xavier la afferrò e la scagliò a terra con tutta la forza che aveva. "Cazzo." Trillava ancora e si rese conto che non era la sveglia.

Trovò il suo cellulare sotto il cuscino; ma che diavolo aveva fatto la notte scorsa per averlo nascosto lì sotto? Ricordava di aver bevuto una birra, poi l'acqua calda della doccia. "E dopo?"

La trafila di numeri sullo schermo gli era ignota. Per un attimo pensò al Rosso, ai suoi occhi inquietanti, alla droga in quel sacchettino che gli porgeva... "Maledizione Xavier." Rispose.

All'altro capo una voce mai sentita prima. «Salve, parlo con il sig.Lewis?»

«Leonardi. Lewis è il mio secondo nome.»

«Oh, mi scusi, ci deve essere stato un errore qui nelle carte. Comunque, sono la segretaria del sig. Lorenzo Nobili. La chiamo per suo conto chiedendole se è disposto a un colloquio.»

«Un colloquio?»

«Sì, sig. Leonardi. Il sig. Nobili ha notato un suo lavoro e vorrebbe conoscerla.»

«Un mio lavoro?» Xavier sollevò in un gesto involontario le sopracciglia. Sentì il cuore pompare nel petto. «E dove se l'ha visto, se posso chiedere?»

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