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Xavier controllò l'orologio che aveva indossato al polso per darsi un'aria più formale. Le nove e mezzo ed era già davanti al palazzo che rispondeva all'indirizzo indicatogli dalla segretaria di Nobili.

"Giovedì mattina alle dieci." Ci era arrivato e gli sembrava quasi impossibile. In pochi giorni la sua vita stava prendendo una svolta che poteva non portare a nulla di buono. Quella telefonata improvvisa, la scelta difficile che aveva dovuto compiere in poco, troppo poco, tempo, le dimissioni, l'ansia che in quel momento lo attanagliava perché sapeva benissimo che non avrebbe più rivisto una busta paga normale e costante, non se davvero voleva prendere quella strada.

Chiuse l'auto, pensando a Fumetto che lo aspettava a casa come sempre e una strana sensazione si impossessò della sua mente. Sarebbe tornato a casa? Si diede dello sciocco per quel pensiero, nondimeno lo avvertì rimanere in agguato in un angolo, senza riuscire a scacciarlo.

Davanti a lui una costruzione a più piani dall'aspetto moderno faceva sfigurare il condominio del suo monolocale. Anche se si trovava sempre a Padova, non avevano nulla in comune. Grandi vetrate decoravano tutta la facciata e il bianco-grigio freddissimo rendeva ancora più triste e piatto l'aspetto di quell'edificio tutto linee nette, squadrate e angoli appuntiti.

Vi entrò con poco entusiasmo. Aveva accettato quel colloquio speranzoso di un nuovo lavoro, che lo salvasse dallo schifo di quella fottuta fabbrica, ma si rendeva conto che quella poteva rivelarsi una grande opportunità come un misero fallimento.

All'interno tutto era moderno e freddo allo stesso modo, arredato seguendo alla lettera il minimalismo più ferreo. Xavier, abituato com'era a un locale essenziale ma personalizzato e persino un poco in disordine avvertì una sgradevole sensazione di vuoto allo stomaco.

Il bancone era spoglio e non c'era nessuno; una freccia indicava le scale e l'ascensore. Prese quest'ultimo, tanto sapeva già di dover arrivare all'ultimo piano per incontrare Nobili e salire tutte quelle scale per sudare e rischiare di sgualcire la camicia non gli sembrava una buona idea.

Anche dentro l'ascensore si respirava un'atmosfera di freddezza quasi asettica, inospitale. Fece un respiro profondo, poiché non era abituato all'ansia, ma non riuscì a calmarsi. Si stupì di quanto fosse importante per lui quel colloquio; da quanto tempo qualcosa non era tanto importante per lui, a parte Fumetto?

Le porte dell'ascensore si aprirono e lui si ripeté di darsi una calmata. La segretaria gli aveva detto di raggiungere l'ultimo piano, ma nient'altro. Cosa doveva fare? Dove doveva andare? "Calma, Xavier, calma."

Abbandonò l'ascensore e si ritrovò spaesato, costretto a fermarsi un attimo dallo stupore causato da molti, troppi, colori, e un assoluta sensazione di claustrofobia.

L'ascensore si apriva su una sala enorme, dai pavimenti lucidi di marmo nero che donava un'atmosfera opprimente e carica di tensione. Se il resto che aveva visto dell'edificio comunicava un senso di vuoto quasi asettico, oltre che un'esagerato minimalismo, come un quadro con una sola figura in bianco e nero, quella sala invece era tutt'altra cosa; era un ambiente ricco di dettagli, di colori, l'eccentricità si respirava come un profumo elaborato e stucchevole.

Lampadari d'epoca decoravano il soffitto, i mobili erano tutti colorati e il rosso fuoco dominava insieme all'arancio e al giallo; Xavier notò che numerosi quadri erano appesi alle pareti e nessuno di questi era abbastanza famoso perché lui lo conoscesse.

Non sapeva se ritenere quel posto orribile o se preferirlo al primo piano perché almeno lì sembrava esserci qualcuno. Un grande bancone color ciliegio, ornato ai lati da due grandi piante verdi in vasi rosa metallico, era posto in linea retta davanti a lui, ma in fondo alla sala; una grande freccia rossa sul pavimento lo indicava.

Xavier si diresse al bancone, anche se non c'era nessuno. Non sapeva come ma la sua improvvisa ansia si era sparpagliata in mezzo a frustrazione, irritazione, disgusto e una certa impazienza, perciò non fece il timido e pigiò senza ritegno una di quelle stupide campanelle delle hall degli hotel che era sopra al bancone.

Da una porta, che prima non aveva notato, uscì una ragazza molto giovane, bellissima, in una divisa bianca e rosa a pois, abbigliamento che ricordava più una bimba di due anni che una receptionist.

«Buongiorno, come posso aiutarla?»

Xavier trasalì. La voce della ragazza, che gli rivolgeva un ampio sorriso tutto lipgloss e denti candidi, era profonda e quasi nasale.
«Sono Xavier, Leonardi. Sono qui per il colloquio con il sig. Lorenzo Nobili.»

«Oh, certo, il sig. Nobili la sta già aspettando.» La ragazza, sempre se lo era, si aggiustò un ciuffo biondo sfuggito alla cuffietta bianca.

«Credevo di essere in orario.»

«Lo è signore, è in perfetto orario.» Con un gesto pulito e veloce liberò da un cassetto una serie di documenti, che gli appoggiò davanti insieme a una penna rosa glitterata. «Dovrebbe prima firmare questi, se può.»

«Cosa sono?» Xavier cominciava a sentirsi preso in giro; gli sembrava di essere piombato in un luna park.

«Documenti per la privacy, nulla di straordinario. Il sig. Nobili vuole solo essere certo che lei sia qui di sua spontanea volontà.»

"Privacy." Xavier tentennò, fissando i documenti e pensando se davvero gli conveniva farlo. Gli sembrava esagerato dover firmare dei documenti per un colloquio, era come se il suo intuito carpisse che qualcosa non andava. Tutto di fatto lì dentro stonava con la realtà.

Firmò. Qualunque cosa ci fosse sotto doveva rischiare; aveva lasciato il posto di lavoro per inseguire quella remota possibilità, non poteva tirarsi indietro per qualche stupido documento. Forse, pensò, Nobili voleva solo pararsi il culo in caso Xavier perdesse la vista abbagliato da grembiuli rosa, arredi rossi e quadri osceni.

«Signore, vuole seguirmi?» La receptionist, raccolti i documenti firmati, era uscita dal bancone portando con sé una cartella rosa; con movenze delicate da ballerina si era fermata, i polpacci incrociati e il capo ben eretto, di fronte a lui e con una mano indicava la sua destra.

Xavier annuì, seguendola poi attraverso un corridoio dalle pareti rosa schiapparelli. Era sempre più colpito da quel posto e si sentiva diviso tra la ripugnanza e una lieve attrazione che cominciava a insinuarsi in lui.

La ragazza si fermò davanti a una porta color ottone dai dettagli particolari e in rilievo; Xavier pensò al barocco, ma non se ne intendeva di arredamento. Guardò miss rosa pois bussare due aggraziati colpetti e poi aprire quel poco che bastava per creare una lunetta di luce sul pavimento nero e interagire con il suo capo. Uno scambio di parole, poi lo invitò ad entrare.

Fu per un attimo abbagliato da luci diverse provenienti da molte lampade da terra. Ripresa la vista si guardò rapido attorno; tanto rosa, tanto ottone, un po' di bronzo e dettagli bianchi.

«Prego, signor Leonardi, si sieda. Qui davanti a me» lo invitò una voce suadente, al limite del melenso.

Dietro una scrivania in legno scurissimo con intagli elaborati, era seduto un uomo che non poteva superare la cinquantina, di bell'aspetto, con un evidente parrucchino biondo in testa e occhi chiari vividi e attenti.

Xavier si avvicinò e lui si alzò stendendo un braccio con l'enorme mano aperta. La strinse, notando le dita sottili e lunghe da pianista e il fisico alto e snello. Vestiva con un completo giacca pantalone piuttosto eccentrico, nei toni del rosa schiapparelli e verde acido, con una lucida camicia bianca di seta e cravatta a pois. Lorenzo Nobili gli strizzò l'occhio accennando di nuovo alla sedia davanti alla scrivania.

Xavier si sedette, sentendosi distratto e al contempo fin troppo presente.

Nobili rivolse poi un sorriso stucchevole alla receptionist: «Và pure mio caro, grazie per aver accompagnato qui il sig. Leonardi.»

"Caro? Ha detto mio caro?" Allora miss rosa pois era un uomo? Confuso distolse lo sguardo attendendo che miss rosa pois se ne andasse a passo misurato chiudendo poi con delicatezza la porta.

Allora si rivolse a Nobili: «Ora, mi dica perché sono qui.»

L'uomo, sempre più melenso, allargò se possibile il suo sorriso: «Oh, mi creda, sig. Leonardi, ho tutta l'intenzione di farlo.»




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