capitolo 6

336 18 5
                                    

La sveglia era fissata per le sette in punto quel Lunedì, volevo assolutamente avere tutto il tempo necessario per scegliere con calma cosa avrei indossato, cercare di apparire il più carina possibile con del trucco e stavo già pensando a cosa avremmo fatto, con fare entusiasta. Ebbi come l'impressione di voler apparire al meglio a tutti i costi, in tutti i modi possibili. Indossai addirittura quel maglione bianco usato solo per il Natale del 2009. Mi azzardai ad indossare una gonna di jeans e delle calze, mentre di solito preferisco dei blue jeans.
Era ancora lì, a terra, ma questa volta aveva lo sguardo assonnato e stava osservando la gente camminare per strada. Poco prima che potei pronunciare il suo nome per chiamarlo, una ragazza bionda e sorridente gli si avvicinò allungandogli una banconota. Lui le sorrise, ringraziandola con il suo solito fare innocente e dolce. Sentii un calore invadermi il corpo ed iniziai istintivamente ad accelerare il passo, non sapevo il perché, ma stavo provando gelosia nei confronti di quella bionda e rifatta, scommetto.
-Beh ciao Harry-lo salutai raggiante ottenendo lo sguardo di entrambi.La ragazza ci rivolse un altro sorriso e se ne andò. 
-Guarda che mi ha dato! Nessuno mi ha mai dato tanto-era evidentemente entusiasta delle sue venti sterline, e nonostante fossi felice per lui e per lo meno cercai di apparirlo, io continuai a provare un certo senso di fastidio. Quella ragazza era davvero carina e, anche se avesse solo intenzione di donargli dei soldi, non mi fece piacere il fatto che gli si avvicinò. Ero diventata paranoica; avevo preso Harry per la mia medicina personale che nessuno avrebbe dovuto prendere oltre a me. Sì, era proprio questa la sensazione.
Mentre lui continuava a blaterare io non feci altro che tenerla d'occhio mentre si allontanava sempre di più con una camminata provocatoria. Diamine, non riuscivo a capire se fosse stronza oppure una finta stronza gentile.
-Camille, se ne è andata-sghignazzò una volta che finì di discutere riguardo alle cose che avrebbe voluto comprare con quei soldi. 
-Eh?-mi voltai verso di lui con sguardo confuso e appena appena imbarazzato, mentre i suoi piccoli sghignazzi diventavano sempre di più una fresca e bellissima risata. Feci l'indifferente non appena mi accusò di invidia, non volevo ammetterlo, sarebbe sembrato troppo da persona possessiva e malata oserei dire. 
-Te li avrei potuti dare anche io-feci spallucce iniziando ad incamminarmi, seguita da Harry che trovava il mio improvviso disagio alquanto divertente. Ci fu un piccolo battibecco per lui divertente e me per imbarazzante, ma ci passammo sopra dopo dieci minuti. Eravamo di nuovo pronti ad affrontare un lungo discorso per poi vivere un'ennesima esperienza insieme, ma non avevamo la minima idea di dove andare. Cominciammo a rispettare il nostro classico rituale entrando e sedendoci al nostro solito tavolino bevendo i soliti caffè.
Non fu una chiacchierata molto interessante fin quando non iniziammo il discorso famiglia. Mi ha parlato per molto tempo di quanto amasse i suoi genitori e di come lo ferì, a soli nove anni, vedere il padre morire di leucemia sotto gli occhi. Quando era piccolo vivevano tutti e tre in un appartamento in affitto, suo papà lavorava come segretario, ma dopo che morì, la madre non seppe che fare. Finirono così più in miseria di quanto già lo fossero prima, ma Harry non si scoraggiò, ha continuato a vivere allegramente la sua vita e senza permettere a niente e nessuno di rovinargliela. Ogni volta che lo sentivo parlare mi sentivo in biblioteca, ad ascoltare la donna che ogni Mercoledì si siede al centro della stanza e leggere dei libri sia ai bambini. Quando ero piccola adoravo andarci, perché amavo le storie di fantasia.
La storia della mia vita a confronto era noiosa e banale, finché non dovetti subire l'incidente. In un solo colpo persi entrambi i miei genitori e mi procurai anche un problema al cervello che ora mi sta divorando viva. Però lui mi ascoltava comunque assorto e in modo rispettoso, dicendo la sua su ogni cosa gli riferii. Si vedeva che gli piaceva parlare quanto a me piaceva ascoltare.
Parlai anche di Paris, di come spesso mi faccia perdere la pazienza con il suo perfezionismo, ma anche di quanto le voglia bene per essere stata la miglior sorella mai avuta al mondo. Lui era figlio unico, mi disse però quanto avesse voluto avere una sorellina a cui badare 24h su 24. 
Per il resto del tempo scherzammo e ci lasciammo andare ridendo, quasi come per azzerare tutti i racconti tristi e deprimenti appena affrontati. Era mai nostra abitudine comportarci in quel modo, e non mi dispiaceva nemmeno, era utile. Iniziammo a camminare l'uno di fianco all'altro per tutta la strada.
-Ti piacciono le caramelle?-sorrise come un ebete sistemandosi meglio sulla testa il suo inseparabile cappello. Io annuii.
-Perché me lo chiedi?-
Mi toccò di nuovo; strinse di nuovo la sua mano con la mia provocando quel calore e quei brividi allo stesso tempo che non mi sapevo spiegare. Intrecciò di nuovo le sue dita enormi con le mie piccole e delicate. Aumentò il passo, spiegandomi che mi avrebbe voluto portare a comprare delle caramelle gommose perché erano ben due anni che non ne mangiava una e gli mancavano da morire. Sghignazzai mentre lui, con convinzione, continuava a descrivere il dolore che si prova quando non hai a tua disposizione delle caramelle gommose. Era davvero divertente. Era divertente il suo modo di comportarsi, le sue battute, il suo lieve sarcasmo in certe situazioni e le sue varie espressioni. Stare con lui era come sentirsi vivi, quello che cercavo da tempo ora mai.
Uscimmo dalla gelateria con un pacchetto di carta di caramelle a testa. Insistette affinché potesse pagarli entrambi lui, ma mi rifiutai con tutta me stessa dicendogli che non avrebbe speso dei soldi per delle caramelle, così li pagai entrambi e dovette darmi fastidio per un'eternità riguardo a questo fatto; voleva essere gentile con me in tutti i modi possibili, ma io non gli davo alcuna occasione per esserlo dato che io, a mia volta, ero sempre gentile con lui.
In effetti anche a me era mancato il sapore dello zucchero e di tutti quei coloranti che ti scivola giù per la gola dopo averci quasi rimesso un dente per aver cercato di strapparne un pezzo. Il suo pacchetto era pieno di vermi gommosi, mi confessò che li ha sempre amati fin da quando era piccolo. Il mio invece traboccava di liquironi; per me erano il top, anche se molti bambini non l'hanno mai capito. I liquironi sono banali e 'da grandi' mi dicevano, ma io li ho sempre amati. 
Si presentò di nuovo il dubbio del dove andare, e non fummo illuminati da nessuna idea. Per nostra incredibile (s)fortuna poco dopo ha iniziato anche a nevicare e la neve non aveva un ritmo di caduta da sottovalutare. Ci arcoggemmo anche che insieme alla neve stava scendendo anche della pioggia e dovettimo ripararci sotto un tetto sul fianco del marciapiede. Proposi di salire nella mia auto, così iniziammo a correre lungo tutto il marciapiede tenendo stretti fra le nostre mani i pacchetti di caramelle, custodendoli gelosamente come fossero oro. Fu inutile ripararsi con la macchina, perché una volta dentro eravamo bagnati fradici e invece che preoccuparcene scoppiammo a ridere come due ragazzini.
-Spiegami, ed ora che facciamo tutto il tempo qui dentro?-finì al sua frase sghignazzando ed io feci spallucce come risposta. Non sapevo davvero dove saremmo potuti andare, sapevo soltanto che sarei potuta rimanere anche tutta la vita lì dentro, tanto c'era Harry con me.
Misi in moto, non sapendo dove andare e quindi continuando a girare a vuoto fin quando non mi azzardai a chiederlo.
-Ti va di venire a casa mia?-mi morsi immediatamente il labbro inferiore sentendomi una stupida ad averlo chiesto. Provai immediatamente vergogna e nonostante fossimo ancora a Gennaio, iniziai a sentire quel fatidico e solito caldo. Attesi una sua risposta, che tardò ad arrivare. Mi voltai per vedere il suo viso; era perso nel vuoto e le sue labbra erano semichiuse, mentre attendevano anche loro che Harry spiaccicasse una misera parola. 
-Certo-interruppe quel nostro solito silenzio imbarazzante annuendo, ma poco convinto. A quel punto sospirai un 'bene' facendo retromarcia e dirigendomi verso casa, dove fra poco sarei arrivata ed in compagnia di Harry.
Non volli lasciare che quella situazione prendesse il sopravvento, così iniziai una serie di discorsi che sembravano coinvolgerlo abbastanza. Anche se ora stavamo recuperando tempo, una volta entrati in casa non avrei saputo che dire o che fare. 
Vi prego di prendere i vostri cervelli fra le mani due secondi, per favore e di ragionare. Il punto è che io non sono stupida; so che il motivo per cui questa domanda mette imbarazzo è perché chiunque udendola pensa subito a quel che stiamo pensando noi tutti in questo momento, ma non era affatto questo uno di quei casi. 
Io cercavo di essere gentile, di proporre una qualche idea possibilmente accettabile, non volevo dare l'impressione della maniaca sessuale o pervertita. Ci mancherebbe.
Non appena oltrepassammo la soglia della porta di casa mi tolsi il cappotto rivelando il mio abbigliamento preparato per ben due ore quella mattina e chiesi anche ad Harry di toglierlo. Per la prima volta, dopo una settimana, potei notare i suoi abiti. Al bar gli chiesi svariate volte di levarselo per evitare di morire di caldo, ma lui non mi diede mai ascolto. In casa, nonostante fosse un po' titubante, accettò di levarselo e appenderlo insieme al mio. 
Sapevo che nonostante Harry cercasse di vivere la sua vita al meglio si vergognava di quel che era, o quel che rappresentava. A lui non piaceva dare nell'occhio, non gli piaceva passare accanto a delle persone e fare l'impressione del poveraccio, ma per guadagnare qualche moneta era obbligato a farlo. Alla fin fine non aveva nemmeno proprio dei sacchi di patate addosso, ma una semplice maglia trasandata e dei jeans neri con qualche buco e tappa.
-Mi farebbe piacere che ti fermassi per il pranzo-gli sorrisi. Lui alzò lo sguardo dalla foto mia e di mia sorella che stava osservando e mi guardò con fare spaesato, ma alla fine annuì per poi tornare ad osservare la foto.
-Non mi piace essere un peso-aggiunse poco dopo posando la cornice sul mobile. Io sospirai e lo rimproverai ricordandogli che non era affatto un peso avere un amico per pranzo, anzi, era un vero e proprio motivo per essere felici. Sorrise ed annuì di nuovo sussurrando un 'okay'.
Gli diedi il permesso di ficcanasare un po' per la casa mentre io cercavo di dare l'impressione di essere una buona cuoca. Si era silenziosamente lasciato trascinare al piano superiore, dove avrebbe trovato solo la camera da letto e i due bagni. C'era una quarta porta, ma era chiusa a chiave. Era lo studio di mamma. Ci passava parecchio tempo lì dentro per dipingere; lei amava sfogarsi con le tele e i colori. 
Non appena scese si sedette al mio fianco sul divano e sospirò, osservando il mio viso speranzoso che dicessi qualcosa. Sghignazzai quando lo vidi.
-Il pranzo sarò pronto fra un quarto d'ora..-lo avvisai tornando ad osservare lo schermo della televisione di fronte a me. Iniziò a farmi un milione di domande riguardo al programma che stessi seguendo, cercando di informarsi il più possibile per riuscire a seguirlo a sua volta.
Il programma in questione era un semplice reality show alquanto noioso, e non seppi spiegargli nulla perché era la prima volta che lo guardavo pure io. A dire la verità non sembravamo molto interessati nel seguirlo; preferivamo avere le voci dei personaggi come sottofondo di una delle nostre eterne e splendide chiacchierate. Mi ero talmente distratta da non notare che il cibo sulla pentola emanava un tremendo odore di fumo. Cercai di rimediare il danno, ma non fu possibile dato che era tutto completamente bruciato. 
Dopo una serie di battute sulla mia abilità in cucina decidemmo entrambi di accontentarci di una pizza. Mi appoggiai con il fianco al bancone di cottura della cucina, in attesa che suonarono alla porta con le pizze ordinate. Harry curiosava ancora fra le mie cose, osservando tutto con attenzione.
-Quanto ci dovrebbero mettere?-sbuffò alzandosi dalla sedia su cui se ne stava seduto mentre sfogliava una delle mie riviste preferite. Io non gli seppi rispondere, non ordinavo mai la pizza. 
Per passare il tempo gli chiesi di seguirmi al piano di sopra; gli avrei voluto mostrare la chitarra che suonava mia sorella Paris tempo fa, all'incirca durante la sua adolescenza. So che lui, oltre a tutte le arti possibili, ama anche la musica quindi mi sembrava una cosa carina da fare, anche se non seppi mai se mi pentii di quel gesto o meno.
-E' accordata?-domandò prendendola fra le sue mani.
-Non ne ho la minima idea-risposi in tutta sincerità sedendomi sul mio letto mentre lo fissavo esaminare quello strumento con la stessa attenzione con cui esaminava i miei oggetti personali. Si sedette di nuovo al mio fianco e cercò in un qualche modo di produrre delle note, ma ne uscirono solo dei suoni indistinti che fecero ridere entrambi. Ora la chitarra l'aveva appoggiata a terra e mi stava osservando, ma questa volta non seppi in attesa di cosa.
Sospirai e mimai un leggero sorriso, che ricambiò immediatamente, ma questo non lo spinse a dire qualcosa. Mi ritrovai di nuovo nel panico e cercai di camuffare il silenzio con colpi di tosse, sbuffi, movimenti, ma furono totalmente inutili. Ora nessuno dei due non sghignazzava, sorrideva o rideva più. Entrambi eravamo troppo intenti ad osservare gli occhi dell'altro. Se qualcuno ci avesse visti in quel momento avrebbe pensato ad una storia d'amore fra due ragazzi apatici e privi di sentimenti, ma se qualcuno in quel momento sarebbe stato in noi invece, avrebbe potuto vedere i fuochi d'artificio esplodere negli sguardi di ambedue. Non vedevo l'ora che dicesse o facesse qualcosa, qualsiasi cosa. Non riuscivo più a trattenere la mia voglia di stabilire un contatto con lui, anche solo un abbraccio o una stretta di mani.
-Perché passi il tempo con me?-sussurrò con voce rauca e tranquilla. 
-Perché mi piaci-risposi prontamente.
-Io non sono niente in confronto a quel che potresti avere-
-E se fossi tu quello che voglio?-
Non rispose, si limitò a mordersi le labbra. Non arrossì nemmeno, però allungò la mano verso la mia e la strinse. La presa non era come la sua solita; era tutto tranne che una stretta a dirla tutta Era uno sfioro, un contatto fra pelli. A me bastava così, perché solo quel contatto poteva farmi impazzire completamente. Era quasi come se fosse riuscito a leggermi nella mente.
Si porse improvvisamente in avanti e premette le sue labbra umide e calde sulle mie fredde e screpolate. All'improvviso il silenzio in quella stanza non era più un motivo di imbarazzo, ma l'atmosfera perfetta per un momento che mi accorsi di aspettare da svariati giorni.

365 giorni per dirti ti amo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora