III

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No, non potevo restare lì a guardare. Non era nella mia etichetta morale vedere un'ingustizia e andarmene senza fare nulla.
«Hey, tu!» urlai, entrando nel vicolo, «Ti è andato di volta il cervello? Quale uomo definibile con questo nome può comportarsi in questo modo? Animale!»
Sulla faccia del ragazzo si disegnò un'espressione sorpresa, ma subito venne coperta da un broncio, quasi come se avessi rovinato un momento importante.
«Non è finita qui» disse a Layn, lasciandola libera in modo brusco. La ragazza batté ancora la guancia sul muro, ma non fece trasparire se le aveva fatto male o no. Il ragazzo mi squadrò un ultima volta.
«La pagherai, chiunque tu sia» abbaiò contro di me. Lo guardai in modo autoritario, per fargli capire che nessuna delle sue parole mi scalfivano. Sputò a terra, fece dietro front con le mani in tasca e uscì dal vicolo. Presi la borsa di Layn, feci per passargliela ma lei, con gesti fulminei, la riprese, senza guardami in viso.
«Potevo proteggermi da sola» bonficchiò Layn.
Certo che non riusciva proprio ad ammettere di aver bisogno di qualcuno.
«Ma...grazie lo stesso, em.. » e mi indicò.
«Biondino» risposi sorridente copiandogli il suo sorrisetto strafottente. Lei sorrise divertita.
«Il tuo nome è un mistero?» mi chiese raccogliendo il suo zaino. Feci spallucce.
«Buona giornata, Layn» le dissi.
«Ciao, biondino» mi rispose.
Prima di andarmene, controllare che Layn avesse attraversato il piccolo vialetto, per poi scomparire girando a destra. Perché lo stavo facendo? Mi stavo per caso... preoccupando? No, non poteva essere. L'ho aiutata solo perché sono un ragazzo al quale non piacciono i maltrattamenti.
Adesso fai il solito lavoretto.
Quel ragazzo intendeva veramente quello che pensavo? Layn quindi era veramente quel tipo di ragazza. Oppure veniva costretta? Ma se veniva costretta poteva chiedere aiuto, o no? Scaccia queste domande dalla mia testa. Avevo già i miei problemi, non dovevo interessarmi dei problemi di persone poco raccomandabili che nemmeno ammettevano di aver bisogno d'aiuto. Gli orgogliosi non mi erano mai piaciuti. Tornai sulle scalette davanti al mio portone ed entrai nella mia casa.
«Ciao mamma!» urlai.
Nessuna risposta, come al solito. Quando però entrai in cucina, dopo aver buttato lo zaino sopra al divano, vidi che mia madre era alzata. Mi avvicinai piano e la abbracciai da dietro.
«Ciao amore» mi disse, girandosi.
Mi guardò e mi tolse la ciocca ribelle dalla fronte. Poi fece una cosa inaspettata. Una cosa che non faceva da troppo tempo. Sorrise.
«Com'è andata oggi?» mi chiese.
«Bene mamma, benissimo» le risposi. Non potei non sorridere e abbracciarla ancora più forte.
«P-piccolo mi fai male!» iniziò a ridere e io iniziai a scusarmi lasciandola andare e ridendo con lei.
«Da dove viene tutta questa felicità, oggi?» mi chiese mentre la aiutavo a preparare la tavola.
«Dovrei chiederlo prima io a te» le risposi. Lei sorrise.
«Dopo lo psicologo, ho capito. Le medicine non aiutano, devo essere io per prima a volerlo. Tuo padre mi manca, ma questo non vuol dire che non devo vivere. Ti sto rovinando la vita. Non puoi vivere con una madre isterica e morta dentro. E diciamocelo: sei sempre stato tu l'uomo della mia vita.»
Lei rise e io le sorrisi, abbracciandola un'altra volta. Era un miracolo. E se era tutto un sogno, non volevo svegliarmi. Lei si alzò sulle punte e mi diede un bel bacio rumoroso sulla guancia.
«Tu invece? Sei rientrato con un bel sorriso sul viso. Raccontami tutto!»
«Non è successo nulla mamma. È stata la solita giornata. Lezione, pausa, lezione, pranzo, piccola mezz'ora libera... » e in quel momento mi ricordai la ricciolina sopra di me. E sentii le guance scottarmi.
«E cos'è successo in quella mezzora?» continuò ad insistere mia madre mentre portava in tavola il cibo. Mi sedetti, iniziando a farmi il piatto.
«Ho... scambiato due chiacchiere con una ragazza» mi limitai a dire.
«E ti piace, vero?»
«Assolutamente no! Ha una pessima reputazione, è maleducata, è popolare, bella ma fin troppo sicura di se per i miei gusti.»
«Magari ti ci vuole una come lei.»
Cosa? Avevo sentito bene?
«Che ti scombussoli la vita» spiegò, mangiando piano un boccone, poi continuò: «Sei troppo serio, amore. Hai 19 anni, è l'età giusta per girare il mondo, fare cavolate con gli amici, avere fidanzatine... Invece te ne stai tutto il giorno in casa a studiare. Sono fiera di te, lo sono sempre stata, ma questo non significa che la scuola deve essere la tua unica vita.»
«Lo so mamma, ma questo è l'ultimo anno e abbiamo gli esami. Io e i ragazzi non possiamo uscire come prima» le feci notare. Lei sbuffò ma concordò con me.
«Scusa se di punto in bianco sono diventata così... ma è come se mi fossi svegliata da un sonno terribile. Ho capito che hai vissuto in un incubo quest'ultimo anno» disse prendendomi la mano «e voglio rimediare.» Le sorrisi, dicendole di non preoccuparsi e ringraziandola di essere tornata.
Il pomeriggio mi spronò nel raccontarle tutte le cose che non gli avevo detto accadute nel suo momento di depressione: nel vederla così non potevo non assecondarla, quindi feci come mi aveva chiesto. Lei versò qualche lacrima quando mi chiese di spiegarle come avevo passato io la morte di mio padre, ma decidemmo che saremmo diventati l'uno l'ancora dell'altra.
Andai a studiare e fare i compiti per il giorno dopo ed in men che non si dica mia madre mi chiamò per la cena. Mangiammo insieme, come non facevamo da tre anni, dalla morte di papà. Un uomo strappato dalla sua famiglia da un tumore improvviso. Era successo tutto talmente in fretta che mia madre era morta con lui. Non le ho mai attribuito colpe, specialmente in quel momento che finalmente la avevo al mio fianco.
Dopo svariate partite alla play con i soliti amici (e dopo aver sentito Jay che accusava Zane di usare hack perché nessuno poteva essere più bravo di lui), andai a dormire.
Nemmeno me ne resi conto, ma mi addormentai con la mente invasa da un sorriso, non riuscendo a cogliere di chi appartenesse.

Perversa innocenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora