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«Ronny andiamo a dormire» la voce di mio padre mi scuote, con quel tono perentorio tipico. Sono seduta sul dondolo del portico e non sto facendo nulla di male.

«Voglio stare un po' qui, non vado da nessuna parte. Arrivo» mi osserva per qualche secondo, poi abbassa lo sguardo e infine conclude «Hai cinque minuti» ed entra in casa. 

Mi vengono ancora le lacrime agli occhi, dopo un anno. Lui era il mio papà, era l'uomo che più amavo in vita mia, eppure da quell'episodio mi tratta come se fosse colpa mia, come se tutto quello che mi è successo sia stata solo e soltanto colpa mia. E non ho potuto parlargli neanche un secondo, perché la mattina dopo ero già su un aereo diretta a New York.  

Le stelle questa sera sono particolarmente luminose, e il cielo mi tranquillizza l'animo. Vorrei prendere il mio diario e scrivere ma so che se entrassi in casa mio padre non mi farebbe più uscire. Così rimango sul dondolo a respirare aria pulita.  In lontananza vedo un falò molto alto e dei ragazzi che schiamazzano e ballano. Provo ad avvicinarmi ma poi ci ripenso, se facessi tardi molto probabilmente questi mesi d'estate sarebbero un'inferno. 

«Ehi Miller!» sento chiamare dagli alberi. Torno a girarmi di nuovo mentre mi avvicino cercando di sgranare gli occhi per capire chi sia.  Appoggiato ad un albero con il cappello calato sopra il viso c'è Caleb. 

«Cosa vuoi Wilson?»

«Non vieni alla festa?» dice alzando il cappello mostrandomi il suo volto. I suoi lineamenti risultano un susseguirsi di ombre per via della sola luce della luna, e del mio portico in lontananza. Non posso mentire, ha sempre avuto un fascino tutto suo. Indossa un paio di jeans a lavaggio scuro con un dei chaps neri in pelle al di sopra. "Per caso la festa prevede un rodeo?". La cintura ha una fibbia di metallo lavorata, mentre sul busto porta un gilet aperto che lascia vedere i suoi muscoli ben definiti.

«No» mi limito a rispondere, distogliendo lo sguardo che scivola su ogni centimetro del suo corpo. Rimane lì fermo a guardarmi, come se stesse cercando qualcosa o semplicemente compiaciuto dal mio perdermi ad osservarlo. Sbuffo e me ne vado.

«Peccato» dice lui facendo schioccare la lingua contro il palato

Continuo per la mia strada senza fermarmi. "Peccato? cosa gli cambierebbe se ci fossi io?" Proprio nulla, lo fa solo per importunarmi, e vedere cosa può ottenere da me. E francamente io e Caleb... mai! Mentre cammino sento i suoi occhi su di me, e mi sento a disagio, oramai non é più paura ma comunque sento l'imbarazzo. Qualcuno lo chiama dal falò, e la voce è seguita dalle sue falcate veloci e pesanti sull'erba secca.

Entro in casa e chiudo la porta a chiave, trovando mia madre con una vestaglia di cotone, in cucina, a bere una tazza di tisana, che poi é un modo carino per nominare quei suoi strani intrugli di erbe che é convinta siano benefiche per varie zone del corpo o a varie funzioni.

«Dove sei stata?» mi chiede con voce diffidente appoggiandosi al mobile della cucina.

Con tutta la calma che trovo dentro di me le rispondo «Ero proprio qui in veranda»

«Con chi?»

«Dio ma'! Ero da sola! Smettetela tutti quanti di comportarvi così!» la mia voce stride perché vorrebbe urlare, come se questa supplica potesse essere sentita anche da altri.

Corro in camera mia e mi chiudo a chiave dentro. Cerco di liberarmi del bustino lottando con i gancetti sulla schiena, liberandomene solo cinque minuti dopo.

Sono così piena di rabbia che scoppio a piangere. Le immagini del passato iniziano a scorrermi davanti ed io non posso fare altro che versare fiumi di lacrime. Sono in piedi in mezzo alla stanza e mi sento patetica. Sono sola, criticata da chi dovrebbe sostenermi specialmente dopo ciò che mi è successo. Sola anche con me stessa perché non so chi sono e ho paura che invero non lo scoprirò mai. Sfrego le mani sul volto in maniera frenetica, frizionando così tanto da sentire la pelle bruciare. Vengo interrotta da qualcuno che sta bussando alla porta. Apro ed é mia nonna. Viene verso di me e mi abbraccia. Non l'avevo ancora vista da quando ero tornata, e mi mancava. La mia dolce nonna Eve.

Mi sdraio sul letto, e come quando ero piccola mi abbraccia e mi accarezza i miei capelli biondi.
«Cosa c'è che non va tesoro?»

«Tutto e tutti non va, nonna. Sono tornata sperando che tutto sarebbe passato, temendo più la cittadina quando in realtà chi dovevo temere di più era la mia famiglia» singhiozzo.

«Ronny, tu non sai quanto avrei voluto impedirlo quella notte, quanto avrei voluto farmi sentire... Ma tuo padre e tua madre non me l'hanno permesso, mi hanno vietato di dire anche solo una parola contro le loro decisioni. Ero con le mani legate» sospira affranta «Se ci fosse stato tuo nonno saresti rimasta con noi» al pensiero di nonno, che mi difendeva sempre mi vengono altre lacrime agli occhi. L'ho perso poco prima della tragedia shakespeariana familiare.

«Nonna non voglio parlarne più» sospiro «Mi fa troppo male, ancora»

Nonna annuisce «Non parlare più, dormi» dice accarezzandomi la fronte «Il nostro Dio ha tutto sotto controllo» ed é proprio in questi momenti che mi chiedo se esista veramente un Dio. Questi sono i momenti in cui la fede viene messa in discussione e viene testata, ed io é da tanto che non ho una conversazione con l'Altissimo, perché da quando mi é successa tutta quella negatività di eventi in un unico anno, ho lasciato andare la Fede.

Forse ho sbagliato, forse non sono mai stata veramente una credente, ma come può Dio abbandonarti? Lasciare che certe cose accadano?




Diario

Bandera, Texas - giugno 2020

Caro diario,

Sono appena tornata a Bandera. Non ho avuto modo di ambientarmi ancora e sono divisa tra sensazioni contrastanti. Da una parte mi era mancata casa e le mie tradizioni. Ma dall'altra mi sento oppressa, è difficile respirare. 

Volevo essere la figlia perfetta, volevo davvero. E anche se tutti direbbero che in realtà non ho fatto nulla di male, che non è colpa mia, la mia famiglia e la maggior parte degli abitanti del posto sono stati bravi a farmi capire che non è così.

E il cervello è bravo, soprattutto il mio, a farti credere tutto. Soprattutto se si tratta di autocritica o auto sabotaggio. 

Vorrei tornare a NYC solo per poter sfruttare le sedute psicologiche, perché in casa mia lo psicologo non ha senso, non serve se hai Fede. Lo psicologo è per persone deboli. 

Ho paura... ho paura che i mesi qui mi trascinino giù di nuovo, e che questa volta nessuno mi tirerà fuori... 


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