Arriva Sad Comedian! - Parte 3

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Napoli, Italia. Estate di tre anni prima.


«Certo che in questo posto fa un caldo dannato» si lamentava un piccolo stand dall'aspetto di un giullare, camminando avanti e indietro per la stanza. Non poteva percepire quella calura infernale, ma la avvertiva tramite la connessione con il suo portatore: un ragazzo dai capelli scompigliati e tinti di azzurro che se ne stava immobile su un divano di pelle finta, che altro non faceva che peggiorare la situazione.

Era disteso in quella che doveva sembrare una posizione rilassata, ma pareva abbandonato, come una cosa dimenticata. Come il cartone della pizza e la lattina di birra della sera precedente, lasciati per terra, fra la polvere.

«Sarebbe davvero il momento di una freddura. Che ne pensi, Armonio?» commentò lo stand, che non poteva comprendere la tristezza della scena.

Il ragazzo socchiuse gli occhi e si portò una mano alle tempie, nel tentativo di attenuare il mal di testa. Quando si spostò, il suo campo visivo - seppur traballante - si estese fino a notare altre lattine vuote, di una marca scadente. Ne contò quattro, poi cinque, poi la sua mente tornò alla battuta di Sad Comedian e il suo viso si distorse in una smorfia, nell'imitazione di un sorriso.

«Hai ragione, Sad Comedian» rispose, in tono asettico.

Il suo corpo era pesante, reso appiccicoso dalla birra e dal sudore. Avrebbe dovuto decisamente farsi una doccia, non appena le gambe avessero smesso di fargli male, altrimenti non sarebbe stato presentabile per lo spettacolo di quella sera.

Armonio non riusciva a capire perché nessuno rideva.

Nessuno rideva, a parte lui.

Ogni volta che chiudeva gli occhi si ritrovava lì, sul palcoscenico del cabaret, davanti a una platea gremita di persone. Trentenni con un'alopecia precoce, impiegati annoiati, forse qualche ladruncolo dei bassifondi, con impianti di contrabbando, che cercava un pollo da spennare.

Lui lo immaginava così, il suo pubblico, quello che oltre i riflettori abbaglianti non era mai riuscito a scorgere.

Il suo stand, Sad Comedian, gli aveva sempre suggerito le battute più divertenti. Sin da quando era piccolo, aveva sempre fatto piegare in due dalle risate i suoi genitori e i suoi parenti, leggendo le barzellette che inventava e annotava su un quadernino. Ogni volta che sentiva quel suono scrosciante si voltava, guardava sopra la sua spalla destra e il suo stand era lì, sorridente. Felice.

Le lodi e i successi lo avevano spinto, all'età di diciotto anni, a tentare la fortuna, a raggiungere la metropoli di Napoli e a prendere parte a un talent show per nuovi comici.

Ma presto i suoi sogni di gloria erano svaniti, per un motivo talmente banale da risultare inaspettato: i suoi sketch non facevano ridere.

Poco alla volta, la sua famiglia era diventata solo un insieme di facce con cui conversava allegro attraverso una webcam, e il suo sfolgorante studio televisivo una bettola da quattro soldi. Si era ritrovato costretto a salire quasi ogni sera su un palco che combatteva una strenua guerra contro i tarli.

Nessuno rideva, a parte lui.

Si divertiva per le sue stesse battute, tristemente, fino a quando si accorse che, in realtà, si stava prendendo gioco della sua stessa vita. E anche i pochi che rimanevano ai suoi spettacoli non ridevano con lui, ma di lui. Come, forse, i suoi parenti avevano sempre fatto.

E tutto per colpa del suo stand, del suo potere inutile, che continuava a fissarlo da dietro una maschera di porcellana, odioso quanto l'immagine che era costretto a vedere ogni giorno allo specchio.

Le Bizzarre Avventure di JoJo: Exit LightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora