Frederick III - Le missive, inviate e ricevute, e il bagno della consapevolezza

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Holker Hall, 6 febbraio 1871

Alla cortese attenzione di Vostra Grazia,

saremmo lieti, io e mio padre, duca di Devonshire, di ospitarvi a palazzo dalla prima settimana del nuovo mese. Per l'occasione, nella giornata del 9 marzo, sarà organizzata una festa in onore di un importante annuncio che avrei da comunicare a parenti e amici più stretti.

Con la speranza di ricevervi al più presto,

Frederick W. P. Cavendish

Frederick aveva perso il conto di quante missive, nei giorni a seguire, avesse scritto, omonime a quella, tutte indirizzate alle famiglie aristocratiche che il padre lo aveva esortato quasi in un obbligo a invitare. L'unico cambiamento era il nome scritto una volta che la lettera veniva chiusa con il sigillo ufficiale di famiglia.

Si accasciò sulla poltrona, sfiancato come se avesse cavalcato tutta la mattinata. Si passò una mano sulla fronte, per asciugare il sudore che credeva di aver consumato durante la stesura dell'ennesima epistola. Tuttavia, la fatica era stata soltanto psicologica perché trovava difficilmente le parole giuste per esprimere qualcosa che giorno dopo giorno gli diventava sempre più arduo da accettare.

Lucas fu di nuovo al suo fianco, sempre pronto a qualsiasi tipo di soccorso. «Avete finito anche l'ultima?» domandò retoricamente.

Frederick annuì, in un silenzio contemplativo. «Siete in pensiero per qualcosa?»

A questa domanda, il marchese negò pur mantenendo un tacito silenzio. Lucas prese la lettera sigillata e si allontanò verso l'anticamera e poi subito fuori nei corridoi, a passo svelto per recapitare la missiva a chi avrebbe preso in carico il compito di farla pervenire al destinatario. Subito dopo ritornò dal proprio padrone. Lo trovò ancora seduto nella medesima posizione, con la stessa espressione persa nel vuoto.

«Sir, volete cambiarvi per la consueta cavalcata pomeridiana che avete organizzato con vostro cugino?» gli chiese con cortesia, sostando alle sue spalle in posizione rigida. Frederick non rispose immediatamente, poi come riscosso dall'eco della voce del proprio factotum, si drizzò a sedere e si voltò nella sua direzione.

«Come hai detto, Lucas?»

Lucas sospirò. Il proprio padrone era spento. Mai lo aveva visto in quella condizione. In due giorni aveva potuto assistere personalmente a come la fiamma della sua personalità eccentrica si spegnesse lentamente priva della materia prima con cui divampare; non aveva idea di cosa potesse fare per aiutarlo sapendo che nessun discorso avrebbe potuto trovare il modo di riaccendere quel fuoco.

«Avevate detto che avreste tentato qualsiasi opportunità per impedire che- tutto ciò accadesse? Perché vi siete messi a scrivere inviti a tutta la nobiltà inglese?» schiettamente, glielo chiese anche se non aveva alcun diritto di fronteggiarlo in quella maniera così diretta. Frederick lo guardò dritto negli occhi, sbatté ripetutamente le lunghe ciglia che avevano avuto da sempre la peculiarità di renderlo gentile, pensando a chissà quali parole per rimproverare il comportamento di Lucas. Così credeva il servo, in realtà, ma dovette subito ricredersi quando il marchese, sfuggendo al suo sguardo, tornò a guardare verso la scrivania. «Così mi è stato ordinato, Lucas. Dopotutto, come te, io non sono altro che il suddito di un altro padrone».

Lucas gli si avvicinò ulteriormente aggrappandosi a una sua spalla nel tentativo di incoraggiarlo. «Milord» tuonò con voce bassa. Chiamarlo in quel modo, doveva far capire al proprio padrone a chi lui fosse realmente fedele. «Non dovete lasciarvi abbattere da qualcosa che siete in grado di controllare. Non so in che modo e forse, adesso, non lo riuscite a capire neppure voi ma avete promesso di cercarlo. Ascoltatemi ora, qualcuno una volta mi ha detto che il metodo migliore per vincere una battaglia è non tentare di farlo da solo. Voi siete nato per essere il futuro duca del Devonshire, siete destinato a vincere, a qualsiasi costo, ma se tentaste da solo, sareste l'unico artefice del vostro triste destino».

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