Jaycob III - Il duello

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Si davano appuntamento sempre in cime alle scale del monumento in onore di Nettuno. Jaycob, come morso da una tarantola, aveva raggiunto il punto con passo rapido e incalzante. La fontana dal basso sgorgava acqua da un solo getto al centro di essa, il ragazzo con mille grattacapi in mente l'attraversò girandogli attorno come faceva d'abitudine, per poi iniziare a salire la lunga scalinata che conduceva fino alla statua del Dio del mare, in mezzo alla fontana dall'alto. Se non fosse per quei pensieri che tentava invano di cacciare via dalla propria testa, Jaycob si sarebbe lasciato incantare, come faceva ogni volta, dalle cascate d'acqua ai lati della scalinata. Talvolta si fermava perfino a giocare con la famiglia di germani reali che erano soliti acciambellarsi pigramente tra uno scalino e l'altro per farsi inondare appena dall'acqua; quel giorno tirò dritto e, sebbene fosse in ritardo, la sua fretta non poteva giustificarsi con quella scusa.

Non faceva altro che domandarsi chi fosse George, chi fossero i due volti di quel dipinto, e nonostante credesse di saperlo, non poteva fare a meno di dubitare di ogni certezza. Il Capitano Jailor era stato scarno di confessioni di qualsiasi genere, fatta forse eccezione per lo scambio di idee avuto con la sorella. Ma anche in quel caso, non aveva parlato di sé, non propriamente. Aveva dichiarato le sue preferenze in pittura, sia quella da osservare sia quella da creare, ma non si era addentrato nel discorso dichiarando di portare con sé una tela come quella che doveva rappresentare la sua famiglia. E, su quest'ultima, se pensava a tutti i discorsi fatti in quei giorni trascorsi, non aveva memoria di una informazione del genere: Harrison Jailor, né chi per lui, non aveva fatto mai cenno a una moglie o a un figlio. 

Che fine avevano fatto? E perché non viaggiavano con lui?

Non doveva pensare. Non doveva... ma la più terribile delle considerazioni emerse quando salì l'ultimo scalino e l'uomo ad attenderlo gli parlò immediatamente.

«Cugino, iniziavo a darti per disperso, dove accidenti ti eri cacciato?» lo destò Frederick, fermo in cima con aria paziente: si era messo comodo, con una gamba a sostenere il peso, poggiata sulla roccia levigata della rappresentazione della divinità. Aveva l'aria segnata dalla noia, non esisteva infatti un caso eccezionale in cui Jaycob non lo avesse fatto attendere nei suoi inevitabili ritardi. Per questo, mentirgli fu alquanto semplice: «Era da tempo che non duellavamo, perciò avevo dimenticato dove tenessi gli abiti adatti, e poi cercavo la mia spada ma...»

«Ma hai la testa vuota e hai dimenticato che le avevo prese io per farle sistemare!» lo interruppe il cugino con un'espressione divertita stampata in volto, mentre gliele indicava alla destra del suo piede rialzato, all'interno di una valigetta rettangolare che le custodiva elegantemente.

«Magari fosse vuota» borbottò flebilmente Jaycob avvicinandosi ad osservare le armi metalliche ancora inutilizzate e «come dici?» gli chiese Frederick non avendo compreso la risposta. Jaycob alzò di scatto il viso per guardarlo, improvvisamente stordito dalla sua stessa stupidità: tutto doveva fare, tranne che interpellare il cugino su ciò che aveva scoperto.

«Dicevo che sembrano come nuove» alzò la voce, sperando che il suono di quelle parole fosse simile al borbottio precedente. Il marchese sembrò credergli, o semplicemente non si fece venire il dubbio e annuì: «Una lo è! Meticolosamente estorta ad Archie. È un regalo del capitano Query, sai? Guarda che meraviglia...» affermò estasiato prendendola in mano per mostrarla all'amico. La Pappenheimer girò tra le mani dell'aristocratico di rango superiore, sotto lo sguardo disattento del cugino. «Estorta?» l'impugnatura elegante e ridefinita per questo col nome del suo creatore, era ciò che più attraeva gli occhi chiari del marchese. Quelli neri di Jaycob saettarono proprio lì, attratti come una calamita a tutto ciò che l'uomo di fronte a sé dicesse e facesse.

Frederick sembrò evasivo, ma gli rispose mentre la riponeva nella custodia: «Beh, alla sua partenza crede di averla dimenticata, invece sono stato io ad aver fatto prendere ad Andrew, del tutto accidentalmente, sia chiaro, la valigetta sbagliata!», bonariamente il marchese gli sorrise e Jaycob non poté fare a meno di riprendersi un po' del buon umore perso in quella mattina dai risvolti inaspettati. Ridacchiarono, «in ogni caso, volevo solo mostrartela. Considerato che non ci alleniamo da più di un mese, userei qualcosa di più leggero...». Dal suo tono, Jaycob ebbe l'impressione che fosse triste. Allungò un altro sorriso: «O forse temi di rovinarla e di passare grossi guai col tuo caro amico? A proposito, quando ci farà il piacere del suo ritorno?» la domanda aveva una punta di scherno, volta a mascherare la cieca gelosia che provava alla sola idea del tipo di legame, simile al loro, che Frederick aveva con Archibald.

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