Demons.

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"...il battito è regolare e sembra tutto apposto. Il prossime mese potremo già fare la prima ecografia." Il ginecologo, contattato da mia madre per la nostra nuova compagna, conclude la prima visita, allontanando lo stetoscopio dal ventre, impercettibilmente gonfio, della ragazza e voltandosi verso di me con un sorriso colorato. Ho capito dal primo istante in cui siamo entrati che è un uomo che ama davvero il suo lavoro e non parlo dei classici stereotipi sui ginecologi; non capita spesso che il medico sia più emozionato dei genitori stessi. Anche se, chiaramente, io non sono il padre ed ho dovuto metterlo in chiaro una decina di volte.

"Per quanto riguarda gli sbalzi d'umore del quale mi parlavate, non c'è tanto che si possa fare se sei soggetta a questi sintomi. Devi restare tranquilla ed evitare troppi sforzi fisici e mentali." Accarezza il dorso della minuscola mano di Ying, per rassicurarla, prima di tornare a sedersi dietro la sua scrivania; seguito dai movimenti rapidi di lei, intenta a rivestirsi e raggiungere il mio fianco.

"La ringrazio dottore." Mi inchino, lievemente, convinto che ci stia congedano e, di fatti, l'uomo copia il mio gesto, salutandoci con un movimento della mano.

"Stai bene?" Domando alla mora, mentre ci incamminiamo lungo i corridoi dell'ospedale ma lei, persa nei suoi pensieri, pare non sentirmi ed iniziare a camminare, inconsciamente, verso la direzione sbagliata.
"Ying?" La richiamo, non potendola fermare con le mani ma ancora non mi presta attenzione ed in men che non si dica ci troviamo di fronte ad una camera, nel reparto di lunga degenza.

La stanza numero 157

Resto perfettamente immobile, a qualche metro di distanza, e concentrato sulle azioni della più piccola di statura che, con estrema lentezza e le gambe tremanti per la titubanza, si aggrappa allo stupide della porta bianca; sulla quale è appesa la targhetta, dorata, che da il numero al locale.
Ed, in un battito di ciglia, si accascia al suolo ma non esanime; bensì si lascia cadere sulle ginocchia, scivolando sulla superficie legnosa che crea un cigolio, parzialmente nascosto dall'urlo, gutturale e disperato, che fuoriesce dalla sua gola.

Spalanco gli occhi e mi precipito verso di lei, d'impatto, afferrandola per le spalle e scuotendola, leggermente, senza nemmeno rendermi conto di aver posato le mie mani sul mio corpo.

"Non fare così! Il medico ti ha appena detto che è rischioso." Punto i piedi a terra, in modo da riuscire a rimetterla in piedi con la sola forza delle braccia ma lei non ci mette un minimo del suo, costringendomi a circondarle un fianco.
"Andiamo via!" Sentenzio, serio.

So benissimo chi ha passato anni in questa stanza e, nelle sue condizioni, Ying non ha certamente bisogno di ricordare quella brutta storia. In fondo, il lutto vero e proprio è ancora fresco.
Il pianto disperato che ho sentito provenire da quella camera, scoprendo in seguito che si trattasse di Taehyung, non lo dimenticherò mai ma non è nulla in confronto allo strillo della ragazza.
Un urlo, impetuoso e prorompente, proveniente dal centro più oscuro e profondo della sua anima. Un grido, disperato, che mi ha fatto accapponare la pelle e che permane come se mi fosse stato marchiato a fuoco, con un ferro rovente, nello strato d'adipe.

Mi ostino a portarla di peso fino all'uscita di quel maledetto ospedale; dove sembra che ognuno di noi custodisca i propri demoni più profondo.
Per lei e Tae è la morte di Minhae e, probabilmente, anche la sua gravidanza. Mentre per me sono i lunghi anni di terapia e la morte di mio padre.

"Ying? Per favore?" Mi accorgo che la mia voce esce supplichevole, soffocata e contorta dal peso del contatto che non riesco più a reggere.
La paura e l'adrenalina che hanno iniziato a scorrere nelle mie vene, vedendola collassare su se stessa, si sono esaurite; lasciando il posto al mio demone più grande.

Lei, in risposta, mi fissa dritto negli occhi per attimi interminabili, con le guance rigate dalle lacrime e la bocca storpiata dall'orrore. Ma riesce a ricomporsi il tanto che basta a reggersi con le sue uniche forze; allontanandosi e permettendomi di prendere un sospiro di sollievo.

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