13|Cena con gli Slave

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Eleonora.

Quel nome apparve come un fantasma indesiderato quando stavo per uscire dalla stanza.

Avevo ancora indosso la divisa un po' larga che mi aveva dato Lidia, non avevo nient'altro.
Mi era stato detto da una guardia di raggiungere Mr. Slave e la sua famiglia a cena. Io avevo obbedito con grande piacere.

Ma una volta afferrata la maniglia, ecco che era spuntato quel nome.
Sentivo che era prezioso. Ma come un sogno, scivolò via dai miei pensieri appena aprii gli occhi sulla realtà.
Io non conoscevo nessuna Eleonora. A dire la verità, non conoscevo nessuno a parte Mr. Slave e Lidia.
Ma quella sera avrei incintrato la famiglia Slave e se erano magnifici quanto quell'uomo, allora mi sarei trovata benissimo con loro.

Uscii dalla camera canticchiando felice e cercai di non fare caso all'enorme fucile carico del soldato alla mia destra.
Quell'uomo era un vero e proprio colosso corazzato, armato dalla testa ai piedi e protetto da uno spesso giubbotto antiproiettile che rendeva il suo busto ancora più grande di quel che era già.

Gli picchiettai curiosamente una mano sul braccio e lui si girò.

«Che c'è?» chiese brusco.

«Non vi stancate mai voi soldati? Avete delle occhiaie...»

«Sì, siamo umani e ci stanchiamo, ma siamo allo stesso tempo soldati ed è la disciplina a tenerci in piedi»

Sorrisi. «Vorrei essere anch'io un soldato, sembra forte!»

L'uomo rallentò il passo. «Fidati, non lo vuoi. Sei piccola ancora, goditi la tua dolce e innocente vita»

«Uhm, va bene»

Ci fermammo di fronte a una porta di legno.
Il soldato la aprì ed entrammo in una immensa sala da pranzo. Sapevo che quella casa era enorme, lo avevo capito dalla grandezza della mia stanza, ma non mi aspettavo che fosse così enorme.
Mr. Slave non aveva badato a spese quando l'aveva comprata.
Doveva essere un uomo davvero potente. Fantastico!

Per ogni due metri di parete della stanza c'era un soldato a fare la guardia.
Vidi l'uomo che mi aveva accompagnato prendere posto in un angolo e rimanere fermo come una statua.

«Vieni» Era la voce di Mr. Slave.

Notai che era seduto a capotavola insieme a una ragazza che gli assomigliava molto e a uno strano individuo con i capelli color platino e lo sguardo arrogante.

Lui mi stava antipatico a pelle. Aveva la faccia da citrullo e anche se non l'avevo conosciuto, decisi che non mi sarebbe piaciuto.

Quanto alla ragazza, immaginai che fosse figlia di Slave. E se lui era un uomo tanto potente quanto intelligente, allora doveva esserlo anche lei.
Due Slave, due persone fantastiche.

Mi sentii inadeguata per qualche secondo, poi mi costrinsi ad avanzare.

«Siediti» mi ordinò Slave.

«Sì, signore»

Presi posto di fianco alla figlia si Slave. In quel momento, gli unici a non avere una divisa erano proprio quei tre che fino a un momento prima stavano iniziando a mangiare.

Chissà come facevano a farlo di fronte agli occhi attenti di decine di soldati. Io sarei sprofondata dal disagio se solo non fossi stata contenuta dalla mia profonda ammirazione per Mr. Slave.

La ragazza di fianco a me sembrò studiarmi attentamente. Cercava qualcosa in me, forse la mia vecchia versione? Sapevo che mi mancava un pezzo della mia vita, lo sentivo, ma avevo scelto di non farci caso. Mi fidavo dell'uomo che ammiravo e se lui non mi aveva detto nulla allora non dovevo sapere nulla.

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