La Contea

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Prologo

La Contea era un posto tranquillo.

Vasti prati contornavano lo sfondo di un piccolo villaggio fatto di case in legno di abete rosso dolcemente tondeggianti. Forte e resistente, esso era perfetto per gli inverni rigidi e per le estati afose che caratterizzavano il clima della valle.

Case che esprimevano l'essenza dei loro proprietari.

Gli abitanti della Contea erano gli hobbit: popolo semplice e gioioso, ma con un spirito vigoroso che nelle intemperie quasi mai si spezzava. Amavano le feste e la birra, non si preoccupavano di nulla e ogni giorno era motivo per sorridere.

Nel villaggio della Contea, nella vecchia casa SHieggins, viveva una famiglia alquanto particolare.

Il suo proprietario e capofamiglia, Bilbo Ryewoggins, era noto a tutta Hobbiville per essere stato via anni dalla Contea per intraprendere un lungo viaggio con una compagnia di nani alla ricerca di chissà cosa. Un comportamento difficilmente accettabile per i quieti hobbit, che come avrete capito, non erano certo amanti dell'avventura.

Con lui, viveva suo nipote Jonghodo, il quale era stato affidato alle cure del vecchio hobbit dopo la morte dei suoi genitori durante una gita in barca. All'epoca dell'incidente, Jonghodo aveva solo tre anni e per questo non aveva molti ricordi di loro. Tuttavia, fu proprio dopo la loro perdita che il piccolo bambino, sempre sorridente e giocherellone, si era chiuso in sé stesso, lasciando spazio solo ad un numero molto ristretto di persone. Tra queste, c'era da sempre stata la piccola Giam, il terzo membro di casa SHieggins.

Come Jonghodo, anche Giam aveva perso i genitori. O almeno era quello che aveva sempre presupposto. Infatti, la verità è che non sapeva la sorte capitata loro. Fu trovata a pochi giorni dalla sua nascita al limitare del bosco a confine con la Contea dal Mago Grigio che la prese con sé. Vissero qualche anno insieme, ma la vita da stregone viaggiatore non era certo adatta ad una bambina in fasce. Perciò, con riluttanza aveva capito che l'unica cosa da fare era affidarla alla sola persona di cui si fidava ciecamente: il nostro Bilbo Ryewoggins.
Nonostante le amorevoli cure del vecchio hobbit, l'infanzia della bambina fu fin da subito difficile: considerata una reietta, era stata allontanata da tutti. Vani furono i suoi sforzi per apparire la perfetta hobbit. Eppure, nulla la differenziava dagli abitanti della Contea, se non per quegli occhi color oro, non affatto comuni tra i mezz'uomini.
Solo una persona, oltre a Bilbo e al Mago Grigio, le era stata più che vicina in quegli anni. Jonghodo.
E come poteva essere altrimenti?
Condividere le stesse pene e dolori non è il modo più veloce per legare con qualcuno?

Descrivere il rapporto creatosi tra i due non è per nulla cosa semplice, come d'altronde non lo è qualsiasi relazione tra coetanei conviventi non consanguinei.
Non è impresa ardua immaginare, come succede spesso in questi casi,che dopo i primi tempi dominati dall'astio della nuova venuta che catalizzava tutte le attenzioni di Bilbo, si era creata un'amicizia forte come l'acciaio.
Un'amicizia durata per ben quindici anni e che aveva i presupposti per durare molto di più se non fosse stato per quella fastidiosa sensazione che aveva iniziato a provare la ragazza qualche anno prima dell'inizio della nostra storia.
Non le ci volle molto tempo per rendersi conto che i suoi sentimenti per l'hobbit fossero mutati e che più si facevano profondi, più una strana sensazione sembrava impadronirsi di lei.
Da quel momento in poi, aveva cercato in tutti modi di evitarlo, non capendo quanto questo ferisse l'amico.

Quella mattina di settembre, il sole risplendeva tra i vetri di casa SHieggins, irradiando gli ambienti delle sfumature dell'arcobaleno. Era una mattinata splendida, ma invece che godere dell'aria fresca autunnale, Jonghodo e Giam avevano optato per una tazza di tè caldo vicino il camino ancora spento.
Ad un tratto, sentirono dei colpetti alla porta.

"Vado ad aprire io, Padrone", disse Giam.

Ah! Vi starete chiedendo il perché di questo appellativo. Avete ragione. Una cosa forse non è stata espressa chiaramente.

Dopo qualche anno dalla sua entrata nella famiglia di Bilbo, venne spiegato alla piccola hobbit il motivo della sua presenza lì.
In quella fredda sera di quindici anni prima, Bilbo si era preparato a qualsiasi reazione, tranne a quella a cui avrebbe assistito da lì a breve.
Quando confessò che il suo presunto padre in realtà era solo un mago che la aveva raccolta in un bosco e presa con sé e che loro in realtà non avessero alcun rapporto di sangue, la bambina non batté ciglio. Come se in fondo avesse già capito qualcosa.
Dopo un momento di mutismo chiese solo la ragione per cui si stesse prendendo cura di lei. Bilbo cercò di spiegarle che, sebbene non fossero davvero parenti e inizialmente lo avesse fatto solo per il suo amico mago, l'affetto provato era reale, ma fu tutto inutile.
Da quella sera in avanti, la hobbit aveva iniziato ad provare la sensazione di volersi sdebitare a qualsiasi costo con chi era stato così gentile con lei fin da subito e, conoscendo la sua testardaggine, a Bilbo non restò che accettare quel suo nuovo ruolo.

Dalla porta, facendo attenzione a non battere la testa, entrò quello che sembrava appena un giovane sulla trentina. Con una lunga veste grigia accompagnata da un cappello a punta vecchio e logoro, portava con sé un bastone intagliato e con incastonata nel perno a forma di fiammella una pietra magica color ambra.

"Onewndalf!" Esclamò Jonghodo con un radioso sorriso, andando incontro al mago.
" Jong..." Rispose dolcemente Onewdalf il Grigio. Allargò le braccia aspettando il suo vecchio amico per abbracciarlo.
Poi rivolse un dolce sorriso alla Hobbit.

"Giam..."

La ragazza corse verso di lui.

Quando era stata l'ultima volta che lo aveva visto? Le era mancato così tanto.

"Appa*... Da quanto tempo..." Disse con le lacrime agli occhi.

I tre si sciolsero dall'abbraccio e Jonghodo si rivolse al mago:

"Per quanto resterai questa volta?"

"Chi lo sa... Ho una cosa di cui devo accertarmi e non so quanto mi ci vorrà" disse serio Onewdalf. I due hobbit lo guardarono senza capire.

"Comunque, sono venuto giusto in tempo per il compleanno di Zio Ryewoggins e questa è la cosa importante!" Continuò ridendo.

"Questa sera ci sarà una grande festa! Ho già preparato tutto per il buffet dello Zio e ci saranno anche quelle coscette di pollo in salsa piccante che ti piacciono tanto! Speravo venissi!!"

Giam riusciva a malapena a trattenere il suo entusiasmo sapendo che suo padre adottivo fosse riuscito a tornare. Non lo vedeva quasi mai e si sentiva spesso sola senza di lui.

"Non potevo aspettarmi altro da te... Diventi sempre più bella ogni volta che ti vedo."
Nella voce del mago c'era una nota di tristezza nascosta dal tono dolce.

Jonghodo guardò i due con un misto di tenerezza e qualcos'altro che non riuscì bene a definire. Sapeva solo che era come se qualcosa lo avesse punto all'altezza del petto.

"È QUASI tutto pronto!" Prese Giam dalle spalle allontanandola leggermente da Onewdalf. "Devi finire i preparativi, no? Mancano le decorazioni e sono certo che Leeteukerry e Eunhyukkino stiano già causando problemi in piazza.. Dovresti controllarli!"

Giam, un po' scioccata da quella strana reazione sbarrò gli occhi. Poi si rese conto che le mani di Jonghodo le cingevano ancora le spalle e avvampò. Il suo tocco forte e delicato era ciò che ambiva di più al mondo, ma allo stesso tempo era la cosa che la terrorizzava maggiormente. LEI poteva risvegliarsi.

Sgusciò via dalle mani dello Hobbit e salutando entrambi corse fuori.

Onewdalf guardò serio Jonghodo:

"Adesso possiamo parlare."

DISCLAIMER:

Questa storia, una versione in chiave tragi-comica romantica del meraviglioso Signore degli Anelli, è una storia scritta a quattro mani tanti anni fa. Quando la tragedia della scomparsa di Jonghyun non era ancora accaduta. Quindi, forse, potrebbe urtare la sensibilità di alcuni. Chiedo scusa anticipatamente a queste persone, ma il riprendere in mano questo racconto dopo diversi anni mi ha fatto ricordare che le persone vivono nei nostri ricordi e nelle cose che hanno fatto. Tra le righe di questo mini-romanzo sento che l'essenza di Jonghyun possa essermi ancora vicino in qualche modo e quindi ho deciso di iniziare e concludere il viaggio che aveva iniziato anni fa.

*Appa: papà (in coreano)

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