Capitolo 14

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Le onde del mare si infrangevano sugli scogli, il canto lontano dei gabbiani accompagnava il loro silenzio. Jimin se ne stava seduto sulla battigia, gli jeans arrotolati fin sulle caviglie e assaporava la freschezza dell'acqua sulla pelle.

«Detesto l'odore del fumo.»

Taehyung gli lanciava delle occhiatacce, seduto accanto a lui. Il vento giocherellava con la sua chioma castana, mettendogli alcune ciocche sugli occhi e lui se le scostava, infastidito.

«Fatti tuoi. Di certo non smetterò di fumare per te.» Rispose serafico Jimin. I suoi occhi sembravano annegare tra le onde, il cappuccio della felpa gli copriva i riccioli dorati.

«Perché mi hai portato qui?»

Jimin soppesò la domanda, poi rispose. «Non lo so.» In effetti, non ne aveva la più pallida idea. Lo aveva guardato in quelle iridi d'ambra e gli era venuta voglia di portarlo al mare. Taehyung alzò gli occhi al cielo ma si portò le ginocchia al petto e ammirò il tramonto. Non ne aveva mai visto uno dal vivo, non quando il sole veniva avvolto dal gelido abbraccio dell'oceano. I colori erano così vividi, i raggi del sole sembravano danzare sopra le onde, le nuvole si rincorrevano fra di loro in quel mare scarlatto, candide e libere. Raccolse una manciata di granelli di sabbia tra le dita, ne saggiò la morbidezza, poi li fece scivolare dalla sua mano. A volte si sentiva come uno di loro; fragile. Con un solo soffio sarebbe stato spazzato via.

«Avresti dovuto dire di si a Jungkook.»

Taehyung si voltò di scatto verso di lui.

«Cosa?»

Doveva averlo colto alla sprovvista, sul suo volto spiccava un'espressione turbata. Jimin sostenne il suo sguardo, la sigaretta stretta tra le dita.

«Non trascorrete molto tempo insieme. Non vi tenete per mano, non vi scambiate alcun tipo di effusioni. Siete grigi, spenti.» Continuò.

Gli occhi di Taehyung divennero gelidi. Digrignò i denti e si alzò in piedi, spazzolandosi via la sabbia dai vestiti.

«Se stai per usare quel tuo tono fastidiosamente saccente e arrogante, allora me ne vado.» Sibilò, scattando in piedi.

Jimin gettò la cicca a terra e fece fuoriuscire l'ultimo sbuffo di fumo. «Vuoi davvero farti tutto il tragitto a piedi? Accomodati.»

Taehyung non lo ascoltò, continuò imperterrito a camminare, anche se non sapeva dove andare. Il sole era tramontato e aveva lasciato il posto alla luna e alle stelle. Era difficile orientarsi nella semioscurità. Forse però se fosse riuscito ad arrivare alla macchina, se ne avesse avuto voglia, gliela avrebbe anche rigata. Stupido, spocchioso e...

«Tu non lo ami.»

Taehyung arrestò il passo. Il respiro gli restò impigliato in gola e il sangue nelle sue vene stava cominciando a ribollire. «Cosa ne sai tu dell'amore?» Gli gridò contro.

«Cosa ne sai tu, dell'amore». Lo rimbeccò Jimin. Anche lui si era alzato e lo stava raggiungendo, il passo lento e strascicato, come se avesse tutto il tempo di questo mondo.

«Non fare il filosofo con me, Park Jimin.»

«L'amore non dà nulla fuorché sé stesso, e non coglie nulla se non da sé stesso. L'amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto, poiché l'amore basta all'amore.»

Taehyung non riuscì a trattenersi. Si tolse una scarpa e con impeto gliela gettò addosso. Udì un tonfo sordo, poi una risatina.

«Spero che ti abbia preso in fronte.» Mormorò.

«Sfortunatamente no.» Rispose una voce vicino a lui. Troppo vicino. Due mani calde lo afferrarono per la vita e lo fecero voltare. Taehyung si ritrovò il volto baciato dalla luna di Jimin a pochi centimetri di distanza. I suoi occhi castani lo risucchiarono nel loro abisso e Taehyung si sentì perso.

«Descrivi Jungkook in una sola parola.»

Perché?

Fece per protestare ma Jimin gli strinse un fianco e una scarica elettrica si propagò per tutto il suo corpo. «Immaturo.» Rispose dopo un po'.

«E cosa ti piace di più di lui?»

Non lo so

«La sua...Voce.»

«Non mi sembri molto convinto.»

«Vai al diavolo.» Ringhiò.

Per tutta risposta Jimin scoppiò a ridere. «Potrebbe iniziare a piacermi questo tuo lato oscuro, mister perfettino.» Disse.

«Soltanto tu sei in grado di scatenarlo.»

«Dovrei esserne onorato, allora.»

Taehyung si discostò da lui con uno sbuffo e si diresse verso la volvo nero metallizzata. Molto probabilmente quell'auto valeva molto più della sua casa.

«Dove vai?»

«Riportami a casa, per favore.»

Jimin sospirò e raccolse da terra la scarpa di Taehyung. «Hai perso questa, cenerentola.» Il ragazzo gliela prese dalle mani, le forze gli stavano venendo meno. Ogni traccia di rabbia era svanita.

«Perché io e te dobbiamo sempre litigare?» Mormorò.

«Perché viviamo in due mondi differenti.»

Taehyung lo osservò come se fosse matto.

«Tu sei matto.» Diede infine voce ai suoi pensieri. Jimin questa volta non sorrise. «No, non lo sono. È solo che io guardo il mondo da un'altra prospettiva, e tu fai lo stesso. Siamo come due poli opposti.»

«Suppongo due poli che non si incontreranno mai.» Taehyung alzò lo sguardo in cielo e contemplò la luna, nascondendo la sua espressione. Jimin fece lo stesso, un sorriso triste stampato in volto.

«Chissà, forse un giorno...»












Le dita gli dolevano, le braccia chiedevano pietà e il suo pianoforte si domandava il perché di quell'accanimento verso i suoi tasti d'avorio. Note amare si librarono per la stanza, picchiarono contro la finestra, smaniose di liberarsi da quell'oppressione che le divorava. Lo spartito logoro e ingiallito dal tempo tremava sotto i colpi di quelle dita indemoniate. Un tempo quello spartito conteneva parole colme di amore. Ed ora cosa ne rimaneva? Soltanto un brandello di cuore sfilacciato e sgualcito.
Yoongi contrasse la mascella, si morse il labbro fino a farlo sanguinare e poi si leccò le labbra, gustando il sapore metallico del sangue. Nerone, il suo gatto dal manto corvino, se ne stava disteso sul letto, impassibile. I suoi occhi gialli lo osservavano con malcelata noia, mentre Yoongi stava quasi per fare a pezzi il suo pianoforte. Poi, lentamente, si mise seduto e si stiracchiò. Con passo felpato scese dal letto e raggiunse il proprio padrone, strofinando la lunga e folta coda contro le sue gambe. Con una zampa cercò di attirare l'attenzione di Yoongi, ma il ragazzo era intrappolato nella sua bolla di collera e angoscia. Nerone quindi, con uno slancio aggraziato, gli si accoccolò in grembo e sfregò il muso contro il suo petto. Il respiro di Yoongi, dapprima concitato, divenne solo un flebile anelito di fiato. Abbassò lo sguardo e sorrise. Fece per accarezzare il felino ma si bloccò di colpo quando vide come erano ridotte le sue mani: le sue dita erano raschiate e sporche di sangue.

«Ho bisogno...Devo...»

Merda

Si precipitò in bagno, dopo aver posato delicatamente Nerone sul letto, e lasciò che l'acqua ghiacciata lavasse via il sangue. Arrischiò a lanciare un'occhiata al suo riflesso e sorrise quando riconobbe lo sguardo adombrato, il colorito pallido e il volto smunto. Che cosa stai facendo, Min Yoongi? Per chi ti stai lasciando andare in questo modo?
Un giorno aveva domandato a Jimin se avesse mai amato qualcuno prima di lui. Il ragazzo aveva scosso il capo. Allora Yoongi gli disse che non aveva amato davvero. Che dell'amore, non ne sapeva ancora un bel niente. Jimin ne era rimasto ferito, lo aveva guardato con quei grandi occhi ancora innocenti e gli aveva sussurrato che lo amava. Non bastava questo? E Yoongi si era trattenuto a stento dal ridergli in faccia, perché no, non bastava. Perché l'amore non era soltanto fare sesso nel cuore della notte o assaporare le labbra l'uno dell'altro, non era lasciargli una carezza sul viso o regalargli un dolce sorriso. Jimin si impegnava tanto nel rientrare nelle vesti del cattivo ragazzo, cercava con tutte le sue forze di somigliare ai suoi adorati poeti maledetti, eppure la verità era che amava come un bambino. Incondizionatamente, indissolubilmente, senza chiedere nulla in cambio.

Ed era proprio qui che si sbagliava.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 05, 2021 ⏰

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