🌊 𝗍𝖺𝖾𝗄𝗈𝗈𝗄 ، 푸른
Jeon Jungkook è sempre stato il primo della classe, lo studente prodigioso che eccelle in tutto, dalla matematica agli sport. Durante l'ultimo anno di superiori la sua concentrazione subisce un brusco calo, compromettendo i...
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AURORA BOREALIS
Buio. Silenzio. La finestra cigola. L'orologio sul comodino segna le due e otto minuti. Lo schermo del cellulare è acceso. Un messaggio colora la stanza di blu: sono qui sotto, scendi.
Osservai il mio riflesso allo specchio. Le braccia magre erano nascoste nelle ampie maniche della felpa. I jeans neri mi stavano ancora bene, dopotutto. I capelli erano puliti, anche se si arricciavano scompostamente sulla fronte, coprendomi quasi del tutto le orecchie. Tuttavia, il mio viso era smunto, spento, privo di luce. Sembrava che avessi appena visto un fantasma. Occhi senza sguardo, guance pallide e labbra mordicchiate. Avevo un aspetto orribile.
Codardo. Hai paura, adesso?
Cosa penserà di te Taehyung?
Lo sai che non si arrabbierà. Anche se dovessi dirgli che ha fatto tutta questa strada a vuoto, non sarebbe mai capace di arrabbiarsi con te.
Lo sai perché. Gli fai pena, Jungkook.
Sei solo un peso per lui. È colpa tua se adesso ti sta aspettando al freddo, alle due di notte, sotto casa tua, mentre tu sei qui a fissare il tuo riflesso allo specchio, spaventato come un coniglio sotto bersaglio.
Gli hai chiesto tu di venire.
È colpa tua.
Codardo.
«Taci. Taci. Taci» sussurrai con i pugni premuti contro le tempie e i polsi che tremavano. Soffocai una risata, ma dalle labbra mi uscì un rantolo di dolore. Stavo parlando da solo, fissando a occhi sgranati lo specchio della mia camera come un pazzo. Avrei voluto prenderlo a pugni, mandarlo in frantumi e spaccarmi le nocche, ma avrei fatto troppo rumore. Così mi costrinsi a dargli le spalle e controllai il cellulare. Taehyung mi aspettava già da diversi minuti, ma non c'era nessun nuovo messaggio da parte sua.
Se aspetti ancora un po' andrà via.
Forse se n'è già andato.
«No, non è vero» risposi a me stesso. Con le dita tirai giù le maniche della felpa per nascondere la ferita che mi squarciava il braccio, ma pregai che quella che mi squarciava il cuore non s'intravedesse tra lacrime che, miseramente, tentavo di nascondere tra le ciglia.
Vestito di paura e di un coraggio che non credevo di avere, aprii la porta della mia stanza e attraversai il corridoio, costeggiando le pareti e sfiorandole con le dita come un cieco. Avanzando nel buio a piedi nudi e senza far rumore, raggiunsi la porta di casa. Poi m'infilai le scarpe, afferrai le chiavi e uscii senza voltarmi indietro.