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Capitolo 13
"Che senso ha stare a rimuginare su un passato che non possiamo cambiare?"

Dopo la fine delle lezioni mattutine, Harry decise di uscire e prendere un po' d'aria. Passò un momento alla Torre di Grifondoro e vi lasciò la borsa con i libri e il mantello, poi diede appuntamento agli amici per il pranzo e si diresse nel parco della scuola.
Attraversò gli estesi prati camminando con le mani in tasca e il passo lento e rilassato, lasciando vagare lo sguardo sul meraviglioso paesaggio che circondava il castello. I boschi erano tinti di un marrone tipicamente autunnale, le colline e le praterie invece risplendevano di verde, ancora per poco ovviamente, e gli trasmettevano un senso di pace assoluta, forse, pensò, perché aveva sempre associato il verde a una cosa soltanto: sua madre. Riusciva a leggere l'amore e il calore rinchiusi in quegli occhi color smeraldo anche solo attraverso una foto e ogni volta che ne aveva avuto bisogno li aveva trovati lì, quegli occhi, nei suoi pensieri, nelle foto, nei racconti di Sirius e Marlene, pronti a dargli il sostegno di cui aveva bisogno e a ricordargli che la sua mamma non l'aveva mai abbandonato veramente.
Una folata di vento gli scompigliò i capelli ribelli e alcuni ciuffi gli ricaddero disordinatamente sulla fronte; vi ci passò una mano in mezzo e li spostò dal viso continuando a camminare in direzione del lago.
Il Lago Nero era bellissimo in qualsiasi momento della giornata; era bello di giorno, quando rifletteva i raggi dorati del sole, al tramonto, quando si tingeva di un intenso arancione e di notte, quando specchiava la luna e le stelle.
Quel giorno però il cielo, più azzurro che mai, era cosparso di nuvole candide e il sole riscaldava l'aria il giusto perché si stesse bene anche solo in camicia e maglioncino. Stranamente gli studenti non sembravano minimamente interessati a passare del tempo all'aperto e Harry ringraziò Merlino per aver trovato il parco pressoché vuoto; aveva bisogno di staccare la spina ogni tanto, di sostituire i bisbigli fastidiosi con un po' di sano silenzio, di prendersi del tempo per sé e svuotare la mente dai mille pensieri che la affollavano ogni giorno.
Continuò a scendere verso le sponde del lago aumentando leggermente il passo e, quando fu abbastanza vicino, notò che una figura occupava il posto all'ombra di una grande quercia. Le si avvicinò piano e, senza dire neanche una parola, si stese accanto a lei.
La borsa ancora strapiena di libri era poggiata vicino al tronco dell'albero, il mantello era steso a terra a mo' di coperta, i capelli lunghi e biondi erano sparpagliati sull'erba, le mani erano incrociate dietro la nuca, la fossetta sul mento era leggermente meno evidente del solito e gli occhi, solitamente di un verdognolo tendente al castano, erano coperti dalle palpebre.
"Ciao, Harry Potter." disse Jo senza aprire gli occhi.
"Come hai fatto a riconoscermi?" chiese Harry mettendosi nella sua stessa posizione e fissando le nuvole che camminavano spedite, spinte dal vento verso chissà quale posto remoto.
"L'ho fatto e basta."
"E perché continui a chiamarmi con il mio nome e cognome? Ti ho detto che Harry va più che bene." disse il bambino voltando la testa per guardarla.
Lei parve rifletterci per qualche istante, poi semplicemente scrollò le spalle.
Era strana, Jo, enigmatica, silenziosa e forse un po' chiusa ma Harry l'aveva inquadrata subito come una tipa apposto.
Rimasero in silenzio per parecchi minuti, lei con gli occhi serrati, lui con lo sguardo fisso al cielo.
"Non ho ancora capito perché diavolo il Cappello ti abbia smistato in Serpeverde." se ne uscì Harry rompendo il silenzio. "Voglio dire...tu non sei come...come loro."
Anche quella volta Jo non rispose subito.
"Lo sono, sono come loro." disse dopo un po'. "L'unica differenza tra me e loro è che io non posso avere la presunzione di considerare altri inferiori a me."
"Ed è questo che ti rende diversa da loro. Tu non chiameresti mai Hermione sanguemarcio."
"Non puoi saperlo, Harry Potter. Tu sei cresciuto in una famiglia di Auror, una famiglia famosa per aver portato solo del bene nella comunità magica e sei cresciuto con certi ideali, ma pensa se invece fossi stato cresciuto con idee completamente diverse, idee razziste, le stesse idee che noi reputiamo stupide. Da come ne parli tu vuoi molto bene ai tuoi genitori adottivi; pensa se loro ti avessero inculcato sin da bambino il concetto che i nati babbani sono inferiori, adesso non saresti quello che sei oggi e probabilmente ti farebbe strano non insultare Hermione...o me."
Harry non disse niente, si limitò a rimanere in silenzio a pensare alle parole della ragazzina. Era vero, erano stati cresciuti con ideali diversi dai suoi, ma ciò non toglieva che ad undici anni fossero abbastanza grandi e intelligenti da capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato.
"So cosa stai pensando e la risposta è no, non si rendono conto di quanto quelle idee siano sbagliate, non ancora almeno, semplicemente perché a loro ora fa comodo sentirsi superiori e atteggiarsi da tali. Ma prima o poi ci sarà un'altra guerra, Harry, e quando saranno costretti a fare cose che non vogliono fare o a vedere morire persone che sanno essere innocenti, solo allora si renderanno conto di ciò in cui hanno creduto per così tanto tempo. La maggior parte delle persone lì dentro sono vigliacche, non avranno il coraggio di scappare, si troveranno intrappolate in qualcosa che non riusciranno a gestire e saranno uccise da quegli stessi ideali." disse Jo continuando comunque a tenere gli occhi serrati.
Harry pensò che quella ragazzina fosse inquietante; riusciva a leggere le persone come fossero un libro pur non conoscendole e parlava di argomenti come la guerra e la morte con una semplicità disarmante persino per lui.
"E tu come fai a saperlo? Voglio dire...sei una.."
"..nata babbana, sì." completò lei la frase. "Ma leggo molto e da quello che ho capito il mago oscuro che ti ha inferto quella cicatrice non è davvero morto. So che prima o poi tornerà; vuoi chiedermi se ho paura? Sì, ne ho. Ne ho perché io sarei una delle prime ad essere fatta fuori insieme alla mia famiglia e non riuscirei comunque a fare niente."
"Non se ci saremo noi a combattere con te." esclamò Harry voltandosi di nuovo a guardarla. Vide un piccolo sorriso spuntarle sul volto e l'espressione prima corrucciata rilassarsi completamente.
"E come ti trovi insomma, a Serpeverde? Dico, ti trattano bene o.."
"Si, la maggior parte delle persone mi ignora e Draco Malfoy è il primo dei cretini e mi insulta ogni qual volta ne ha l'occasione pensando davvero che io mi offenda per le stronzate che dice. C'è una ragazzina del nostro stesso anno, Daphne Greengrass, che è carina con me; non lo dà troppo a vedere ma cerca un minimo di difendermi da quelli che mi danno fastidio. Non che mi serva, ovviamente, potrei cavarmela benissimo da sola. Non mi importa di ciò che dicono."
Harry sbuffò notando le dimensioni del suo orgoglio; sarebbe stata perfettamente anche nei Grifondoro.
Stettero in silenzio per un bel po' di tempo, lasciandosi cullare dai loro respiri lenti e dal venticello che si insinuava tra i capelli.
Parlare della guerra aveva messo in testa ad Harry ricordi tristi e brutti e non voleva pensarci, non voleva ricordare e riportare a galla i cadaveri, quindi ruppe di nuovo il silenzio rivolgendosi alla ragazzina stesa accanto a lui.
"Parlami un po' di te." le disse.
Lei finalmente aprì gli occhi e voltò la testa per guardarlo. "Pensi che vada a dire i fatti miei in giro, Harry Potter?"
Harry arrossì improvvisamente dandosi dello stupido per essere risultato così invadente ma, prima che potesse scusarsi in qualsiasi maniera, Jo riprese a parlare.
"Non c'è molto da dire in realtà. Vengo da Harlow, un piccolo distretto alla periferia di Londra.." iniziò a raccontare, ma il ragazzo la bloccò.
"Davvero?" esclamò girandosi completamente verso di lei e reggendosi la testa su un gomito. "Anche mio zio Remus vive da quelle parti, solo che non ricordo il nome della via babbana."
"E qual è il cognome di tuo zio Remus?" chiese lei continuando ad osservare il cielo.
"Lupin, Remus Lupin."
Lei parve rifletterci un momento, poi gli rispose.
"Mi sembra di averlo sentito; con lui vivono anche una ragazza e un bambino, se non mi sbaglio, ma non frequentano il quartiere...è come se usassero la casa solo per dormirci."
Harry scoppiò a ridere lasciandosi cadere di nuovo a pancia in su sull'erba fresca.
"Che hai da ridere?" chiese lei stizzita.
"La ragazza è mia zia Emmeline e il bambino è Neville." rispose Harry. "E si...stanno davvero poco a casa loro perché passano la maggior parte del tempo a casa mia e di Allyson o a lavoro."
"È incredibile quanto sia piccolo il mondo." disse Jo mordendosi l'interno della guancia e non nascondendo l'espressione sorpresa.
"Dimmi qualcos'altro." disse il Potter rimettendosi comodo.
Lei prese un respiro profondo e fece una piccola pausa prima di riprendere a parlare.
"Ho sempre vissuto con mio padre, dato che mia madre ha preferito scappare dopo avermi messo alla luce piuttosto che prendersi cura di me. Aveva solo diciassette anni quando sono nata ma lui ha trovato un lavoro e si è dato da fare pur di non farmi mancare niente e farmi vivere una vita felice; siamo sempre stati io e lui contro il mondo ed è stato uno shock sia per me che per lui quando mi è arrivata la lettera e ho scoperto di essere una strega."
Harry rimase stupito dal fatto che Jo si stesse aprendo così facilmente e gli stesse parlando di cose così personali tanto che quasi si sentì in dovere di bloccarla; si conoscevano solo da un mese e mezzo e non voleva forzarla a dire niente che non volesse. Prima che potesse dire qualunque cosa però lei continuò a parlare.
"Quando siamo arrivati a Diagon Alley non sapevamo cosa fare o dove andare ma per fortuna una strega ci ha visti e ci ha aiutati a comprare tutto ciò che dovevamo comprare."
Fece di nuovo una piccola pausa.
"Credo sia scattato qualcosa tra quei due, credo che si piacciano e io ne sono felice; papà merita un po' di felicità. Mi sono sentita in colpa per tutta la vita, sai? Ho sempre pensato che se non fossi nata io a quest'ora il papà starebbe ancora con la mamma e non sarebbe stato costretto a fare due lavori per portare abbastanza denaro a casa. E mi sono sentita in colpa anche quando ho scoperto di essere una strega; lui ha fatto sempre di tutto per me e ora io l'ho lasciato da solo."
Harry cercò di trovare le parole esatte ma sapeva benissimo che in quei casi non c'erano veramente parole giuste da dire.
"Anche io mi sono sentito in colpa per tutta la vita." disse optando per il farle intendere che capiva perfettamente ciò che provava.
"Ho sempre pensato che se non fossi nato i miei genitori sarebbero ancora in vita, avrebbero avuto una bella famiglia numerosa e avrebbero vissuto la vita che avevano sempre sognato insieme al resto della mia famiglia. Però è andata così, Jo, e che senso ha stare a rimuginare su un passato che in ogni caso non possiamo cambiare?"
La sua domanda si perse nel vento e un silenzio colmo di pensieri estremamente rumorosi calò di nuovo sui due ragazzini.
Già...che senso ha?

A better life || Harry James PotterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora