Come giunchi nel vento

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Nessuno dei due poté dormire quella notte, i loro animi erano ancora in tumulto.

Di primo mattino Gianna decise di alzarsi e di fare una passeggiata all'aperto, l'aria fresca forse avrebbe reso meno torbidi i suoi pensieri.

«Ho paura di non farcela. Non credo di poter riuscire a fare un altro passo» la voce rauca di Franco la immobilizzò sul bordo della ragnatela.

«So cosa si prova, sono anni che mi sento così. Però posso dirti una cosa, ho iniziato a impararla solo in questi ultimi tempi» disse con tono calmo voltandosi verso di lui.

«La vita fa paura, perché in ogni momento può colpirti con nuovi orrori. E quindi? Davvero bisogna lasciarsi andare, dandogliela anche vinta?»

Franco levò il capo dal suo cantuccio per fissarla dritta negli occhi.

«La risposta è no. Ormai ne sono convinta»

Franco sospirò.

Adesso era lei il suo sostegno, il porto sicuro di cui aveva bisogno.

Gianna tornò sui suoi passi e fece per andare verso l'esterno del magazzino.

A metà strada la sua attenzione venne catturata da delle urla, era l'anziana padrona della farmacia. Incuriosita decise di dirigersi verso il suo ufficio per vedere cosa stava accadendo e seguendo le voci passò attraverso un piccolo pertugio tra la porta e la parete trovandosi di fronte una scena interessante.

«Come sarebbe a dire che te ne vai? Ma come accidenti ti permetti, Rita sei solo un'ingrata! È grazie a me che hai potuto mangiare nell'ultimo anno! Ah ma questa te la faccio pagare eh, stai tranquilla!» gli starnazzi sgraziati che uscivano da quel volgare faccione rosso riempivano la stanza ma la giovane umana col pelo rosso che aveva fatto perdere la testa a suo marito stava lì in piedi di fronte al suo superiore, calma, serena, con la schiena dritta.

«È vero, grazie a questo lavoro mi sono potuta permettere tante cose. Nonostante ciò è diritto di una persona poter cambiare lavoro, ed è ciò che sto facendo. Credo che anche i rappresentanti del sindacato con i quali mi incontrerò oggi pomeriggio siano d'accordo con me. Direi che la nostra discussione finisce qui. Ora devo andare, al banco c'è molto lavoro da fare» disse l'umana chiamata Rita senza battere ciglio, poi girò i tacchi e uscì dall'ufficio.

Quindi quella Rita si era licenziata, sarebbe andata via a breve.

Certo però che grinta.

Quella vecchiaccia la maltrattava da tempo, e anche in quest'occasione non si era smentita, ma quella Rita sapeva sempre come rispondere a tono, come reagire senza farsi mettere i piedi in testa. Quella sua sicurezza in sé, quella sua tenacia, quei suoi modi duri e marmorei quando doveva combattere e quella sua dolce gentilezza quando doveva consigliare e confortare altri esseri umani... ecco, ecco perché si era innamorato di lei.

Finalmente Gianna capì.

Franco vedeva in Rita tutto ciò che lei ormai non aveva più.

Gianna realizzò in quel momento una cosa bizzarra: non odiava Rita, né la invidiava.

Si rese conto di provare stima per lei, forse perché assomigliava tanto a sua madre.

Anche lei poteva sembrare fragile, a tratti debole, troppo sensibile, e invece quando era necessario sapeva scatenare un'energia inimmaginabile.

Inaspettati riaffiorarono i ricordi di quando da piccola nei momenti più tristi cercava le parole della sua mamma per farsi consolare. Anche la sua mamma aveva la pelliccia nera, ma con delle sfumature ramate sul petto, le stesse sfumature che lei aveva ereditato sulle zampe.

Forse oggi era davvero diventata forte come lei?

Con questa domanda che le rimbombava nella testa si calò giù lungo il muro e una volta toccato il pavimento uscì anche lei dall'ufficio.



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