Le domeniche erano le giornate peggiori. I giorni feriali erano meglio.
Sul muro della scuola, sotto l'insegna Provveditorato agli studi di Londra Istituto superiore unificato William Watt, qualche spiritoso molti anni prima aveva spruzzato la scritta AUSCWITZ. Mel sapeva che molti degli alunni consideravano la scuola come una specie di campo di prigionia o una stanza delle torture, ma si trattava di ragazzi fortunati, che avevano un posto migliore dove ritornare, e qualcosa di meglio da fare. Per una minoranza, inclusa Mel, la scuola era un rifugio.
Il lunedi mattina era un sollievo oltrepassare le porte a vetri ed entrare nel caos allegro e chiassoso, annusando l'odore acre del disinfettante sulle mattonelle viniliche. Col passare degli anni si era allenata a concentrarsi sui compiti di scuola, indipendentemente da quello che avviva in casa, scoprendo con molta sorpresa che le piaceva addirittura, le piaceva prendere bei voti, le piaceva esercitare il proprio cervello. Dopo la scuola restava a giocare a badminton, faceva parte della compagnia teatrale e del club del cucito, gestiva le feste da ballo e aiutava la sezione di Economia Domestica ad organizzare le numerose lotterie di beneficenza e altre attività per raccogliere fondi. In realtà era disposta a fare qualsiasi cosa che la trattenesse il più possibile dall'andare a casa. Ma presto sarebbero iniziate le vacanze estive, e la scuola avrebbe chiuso.
Mel guardò fuori dalla finestra. L'aula di arte era in cima all'edificio e dalle sue immense finestre si godeva una vista spettacolare: un mosaico di tetti rossi e eri intervallato da alberi verdi. File e file di palazzi, di ogni forma e dimensione, una distesa che si estendeva a perdita d'occhio fino all'orizzonte nebbioso. Sei settimane interminabili, intrappolata in Cowcross Street. Non credeva che sarebbe riuscita a sopportarle quest'anno. La sua matita, che si stava muovendo sull'album da disegno, si fermò, mentre lei tornava con il pensiero al muretto sul terrapieno.
- Mel!- gridò Keith Edwards, il suo nuovo giovane insegnante di educazione artistica, dall'altra parte dell'aula. - La signora Green vuole vederti.
Si avvicinò e osservò da dietro le sue spalle il disegno che stava facendo: due case in rovina.
- È veramente bello. Mi piace quel dettaglio dell'intonaco screpolato e delle finestre rotte.
- Però le persone sono orrende.
- Mmm. Un po' rigide. Dove sono queste case?
- Laggiù. Le vede? Ci passo davanti quando torno a casa.
- Hai fatto proprio un bello schizzo. Sembra che tu abbia una propensione per l'architettura. Potresti fare qualcosa sul tema delle case, come tesi, sempre che tu non abbia già in mente qualcos'altro...
- Non ancora. In questo periodo il mio cervello non funziona molto bene.
Al terzo anno aveva lasciato perdere il disegno per materie più accademiche. Le era sembrata una buona idea riprenderla al sesto anno, per avere una materia d'esame facile, insieme a letteratura inglese, francese e storia, ma si stava dimostrando più diffide e coinvolgente del previsto.
- Chi ha detto che voleva vedermi?
- La signora Green. Non andarci col grembiule da lavoro.
Mel sorrise, ma il suo cuore aveva cominciato a batterle forte. Qualcosa di grave. Tutti sapevano che la signora Green, quella pignola di una Vice-preside, si occupava delle questioni importanti della scuola, mentre il Preside sì gingillava soltanto con le tabelle del l'orario delle lezioni e con gli amministratori della scuola.
Arrivata all'ufficio della signora Green, la premonizione si era fatta più forte, e ormai cominciava a sentirsi male. C'era una persona seduta nella poltrona di fronte alla scrivania della signora Green, era alta con una bella faccia lentigginosa e un'aureola di crespi capelli rossi.
La signora Green disse: - Mel, questa é la signorina Tracey del Servizo Assistenza Sociale.
- Salve, Mel.- Aveva una voce troppo affettuosa, di una cordialità eccessivamente professionale, come quella di un dottore. Mel si irrigidì. Vide che sotto l'allegro sorriso, la signorina Tracey la stava osservando con troppa attenzione, e che gli occhi non stavano affatto sorridendo.
- Vieni a sederti, cara- Diede un colpettino alla sedia che aveva accanto. - Puoi chiamarmi Dee se preferisci.
Mel non si mosse. Disse seccamente: - Che c'é? Cos'é successo?
Dee Tracey smise di sorridere. - Ho paura che abbiamo delle notizie piuttosto cattive da darti, cara. Tua madre...
La sensazione di disastro imminente esplose dentro di Mel. "Suicidio" pensò. "Si é suicidata". Per un attimo la stanza ondeggiò paurosamente.
La fredda voce della signora Green tagliò l'aria, scoraggiando qualsiasi isterismo. - Siediti, Mel. Va tutto bene. Tua madre non é morta. L'hanno portata all'ospedale.
- A Hob's Green, l'ospedale psichiatrico- disse in fretta Dee Tracey. - Mi dispiace Mel. Non intendevo spaventarti.
- Ma non capisco.- Mel prese un gran respiro e cercò di non farsi tremare la voce. - Stava bene quando l'ho lasciata stamattina. Cioé... voglio dire, stava come al solito. So che é malata, ma...
- Bhe, si, molto malata, temo. Ha avuto quel che si chiama un collasso nervoso, ed è piuttosto grave.- Sembrava che stesse parlando a un bambino, pensò Mel con rabbia. Come se lei non sapesse che cosa non andava, in sua madre. - Avrebbe dovuto essere seguita costantemente da un dottore- continuò dolcemente Dee Tracey. - Forse le medicine l'avrebbero aiutata. Ma, ovviamente, tu non eri tenuta a saperlo.
Medicine, pensò amaramente Mel, ricordandosi le urla isteriche di sua madre quando le aveva detto che avrebbe chiamato il dottore. "Mi porteranno via! Ti vuoi liberare di me. Stai cercando di uccidermi..." Si era avventata su Mel graffiandola, strillando, e lei era scappata rifugiarsi sul muro del terrapieno, rientrando di nascosto, molto tardi, quando sua madre era ormai andata a letto. La mattina seguente sua madre era stata di nuovo passiva, stordita, e Mel le aveva fatto del té con dei tramezzini prima di andare a scuola. Ma aveva cominciato a barricarsi in camera, la notte, da quando gli attacchi di collera erano diventati più violenti.
- Comunque, presto potrai andare a trovarla in ospedale. Nel frattempo dobbiamo sistemarti, quindi se vuoi andare a prendere il cappotto e le tue cose possiamo muoverci.- Dee Tracey richiuse la cartellina che aveva sulle ginocchia e si alzò in piedi, lisciandosi la stretta gonna nera sulle cosce. Le sue lunghe unghie ovali erano dello stesso arancione scuro del rossetto. Mel si sentì arruffata e sporca.
- Ma dove dobbiamo andare? Che succede? Non capisco.
- Da tua zia giù a Stockwell. Dovrai stare là finché tua madre non esce dall'ospedale. E ovviamente andrai in una nuova scuola.
- La zia di mia madre.- disse Mel automaticamente. La prozia Edie, che sputava nel lavandino e puzzava di diarrea. Era stata da lei tre anni prima. - Quanto tempo starà in ospedale, la mamma?
- Speriamo non a lungo.- Dee Tracey fece un sorriso di incoraggiamento. Aveva dei grandi denti bianchi. "Come uno scimpanzé", pensò Mel.
- Una settimana? Due settimane? Un mese?
- Forse un pò più a lungo.
- Sei mesi?
Nessuna delle due donne voleva incrociare lo sguardo di Mel.
- Bhe, come ti ho detto, cara, é un esaurimento grave. Tutto dipende da come reagisce alla cure. Dopotutto questo é il suo secondo esaurimento.
La signora Green disse: - Ora, se vuoi andare a prendere il tuo cappotto...
- No- disse Mel. Cominciava a riaversi e una grande rabbia le montava dentro. Stavano cercando di comandarla a bacchetta. - No!- disse di nuovo, con voce più dura. - Prima voglio sapere esattamente cosa é successo a mia madre.
- Lo sai che tua madre é malata di mente, cara. Cos'altro c'é da dire? Una delle tue vicine, la signora Miller, ha chiamato un'ambulanza. Tua madre stava scorrazzando su e giù per la strada in camicia da notte, piangendo e strillando.
Mel, pallida come un cencio, disse: - Voglio vederla.
- In questo momento non ha senso, cara. Non ti riconoscerà. È diventata violenta. Ci sono volute diverse persone, per immobilizzarla. È un peccato che tu non l'abbia fatta visitare da un dottore, prima che peggiorasse tanto. Eppure per te deve essere stato molto difficile. Potevi rivolgerti a noi, sai? Ci sono un sacco di tipi di assistenza. Avremmo potuto fornirti un aiuto, magari un'assistente domiciliare, un infermiere, una domestica per ripulire quel disastro che c'é in casa...
- Lo dite adesso- disse Mel con la rabbia e l'acredine che le chiudevano la gola - ma non mi avete aiutato. Non avete fatto nulla! Nessuno mi ha mai aiutato.
- È stata dura per te, Mel- disse la signora Green con voce comprensiva. - Ma adesso devi pensare al futuro. Quando sarai con tua zia a Stockwell...
- No- disse Mel. Sentiva la propria voce alzarsi in modo incontrollabile. - Non andrò da zia Edie. Odia ospitarmi. E non voglio cambiare scuola nel bel mezzo dell'ultimo anno, giocandomi la possibilità di essere promossa.
Dee Tracey disse dubbiosa: - Bhe, immagino che potresti restare a casa tua. Ma in quelle condizioni... voglio dire non é esattamente...- Diede un'occhiata alla signora Green.
- Hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te, Mel- disse soccorrevole la signora Green.
Ma Mel aveva visto l'eloquente occhiata e si sentiva bruciare le guance. Fissò Dee Tracey. Vacca boriosa, presuntuosa, con la sua stupida voce compassionevole. Che è sapeva di come Mel voleva vivere?
- Secondo lei chi si é preso cura di me negli ultimi tre anni?- inspirò, mentre la rabbia le bloccava di nuovo la gola. - Non sono una bambina. Ho diciassette anni. Faccio le pulizie, il bucato, cucino, faccio la spesa. Sono io che amministro i soldi. Sono due anni che mia madre non cucina. Non distingueva più il giorno dalla notte. Non sapeva se fossi in casa o fuori, se fossi viva o morta. E non le interessava. E a nessun altro interessava.
- Sono sicura che te la sei cavata benissimo, ma...
- Non potete darmi in affidamento? Trovarmi un posto in un ostello?
- Metterti sotto tutela, vuoi dire? Oh, ma non ce n'è assolutamente bisogno, Mel. Non prendiamo quasi mai dei provvedimenti di tutela per dei diciassettenni. A meno che non ci sia motivo di temere che siano in pericolo, moralmente o fisicamente. Credimi, in questa zona non andiamo a cercarci altri problemi. Tutti i servizi di assistenza sono carichi e quasi al punto di rottura. E comunque non ci sono abbastanza famiglie affidatarie o posti negli ostelli. Diamo per scontato che tu a diciassette anni sia in grado di badare a te stessa, come hai appena detto. L'unica cosa é che potresti soffrire di solitudine a stare tutta sola in quella casa, ecco perché penso sia una buona idea andare da tua zia. Scusa dalla tua prozia.
Mel la fissò incredula. Avrebbero continuato a non aiutarla. Neanche adesso, quando praticamente era stata colpita dal disastro della sua vita, neanche adesso avrebbero fatto qualcosa. Niente genitori affidatari. Niente ostello. Il meraviglioso sogno, che aveva a malapena ammesso anche con se stessa, della bella casetta di periferia, pulita, con i pavimenti di moquette e i copriletto con i fiori, l'amichevole e scherzoso padre adottivo e una mamma comprensiva che l'avrebbe abbracciata quando si forse sentita depressa, quel bellissimo sonno impossibile scomparve improvvisamente, lasciando posso all'amara, cruda realtà.
Si sentiva male. Di nuovo la zia Edie con i suoi denti neri e la sua tosse disgustosa.
Per tutto questo tempo l'avevano ignorata, avevano lasciato che si barcamenasse, senza alzare un dito per aiutarla. Si era sempre immaginata che un giorno o l'altro l'aiuto sarebbe arrivato. Il dottore, o qualcun'altra a scuola, forse avrebbe notato i lividi, e avrebbe fatto in modo che qualcuno si prendesse cura di lei. Invece nessuno l'avrebbe aiutata. Non importava a nessuno. Anche se se l'era ripetuto tante volte, nel profondo del cuore non ci aveva mai veramente creduto. Ma ora, improvvisamente, le sembrava di aver messo il piede su un piolo mancante e di essere caduta nel vuoto, precipitando, e un abisso oscuro le si apriva tutt'intorno. Per un attimo restò appesa lì, poi un'ondata di furia la travolse.
Balzò in piedi e le fissò con aria accusatoria, nascondendo lungo i fianchi i pugni serrati. - Non mi aiuterete affatto, vero? Io sono solo una seccatura. Non sono una persona, sono un problema. Qualcosa da eliminare, come una cartaccia nel parco.
- Suvvia, Mel- disse la signora Green con disapprovazione. - Non c'è bisogno di fare tutte queste scene. Di solito sei una ragazza così ragionevole! E ti sei comportata bene con tua madre.
- Non abbastanza bene- disse Mel amaramente. - La signorina Tracey ha detto così, giusto? Io non ho chiamato il dottore. Non ho tenuto la casa in ordine. Non ho usufruito di quei meravigliosi aiuti che lei ha elencato... È tutta colpa mia se mia madre é pazza da legare, giusto? Giusto?
Dee Tracey era sgomenta: - Oh no, Mel non intendevo assolutamente dire...
- Bhe, lasci che glielo dica, signorina Tracey- Mel sparò fuori ogni parola. - Sono andata dal dottore. Mia madre si rifiutava di prendere le medicine. Stavo cercando di avvelenarla, giusto? E ho cercato di chiedere aiuto agli assistenti sociali. Al suo ufficio, signorina Tracey. Sapete cosa mi hanno risposto? "É un problema medico. Chiama un dottore." Niente aiuto. Nessun aiuto per la casa. Nessun assistente domiciliare. Nulla. Il dottore disse che doveva presentarsi in ambulatorio, ma lei si rifiutava di andarci. E nel frattempo continuava ad avere quelle crisi violente.
- Adesso basta, Mel.- La signora Green si alzò e le diede una pacca sulla spalla. - É stata dura per te. Nessuno ti sta incolpando di nulla. Non sei responsabile della malattia di tua madre. Hai cercato di fare del tuo meglio. Adesso aspetta fuori qualche minuto. La signorina Tracey ed io cercheremo di escogitare qualcosa.
L'autocontrollo di Mel cominiciò a vacillare. Cercò di respirare profondamente, ma le tremava la voce. - Non mi sono mai resa conto. Un giorno, pensavo, qualcuno se ne accorgerà. Cominceranno a prendersi cura di noi e andrà tutto bene.- La sua voce si ruppe. - Bhe, oggi mi sono resa conto. In realtà nessuno se ne interessa. Possiamo contare solo su noi stessi.- Prese un lungo sospiro, rabbrividendo. - Bene, d'accordo, signorina Tracey, signora Green. Non sono stupida. Ho imparato la lezione. Da adesso in poi baderò a me stessa. Non aspetterò più l'arrivo degli adulti. Non aspetterò più una magica madre adottiva. Adesso ascoltate bene. Non mi manderete dalla zia Edie. Non rovinerete le mie possibilità di un futuro decente. Finirò qui il mio ultimo anno e resterò a casa mia, badando a me stessa!
Aprì la porta con violenza e si voltò. - E voi due, potete anche andare al diavolo!
Si catapultò fuori, scontrandosi con un corpo immobile e massiccio, appena al di fuori della porta. - Che razza di espressioni sono queste, Mel Calder?- chiese severamente la signora Miller.
Mel le diede un'occhiata selvaggia, incredula. Di nuovo la signora Miller? Doveva andarsene, le gambe cominciavano a non reggerla più. Cercò di passare, ma la signora Miller la teneva fermamente per le spalle e la sorreggeva, confortante.
- Su, su, bambina- disse la signora Miller. - Andrà tutto bene. Si sistemerà tutto, vedrai. Vedrai...- Attirò a sè Mel, tendendole la testa contro la propria spalla, e cullandola ritmicamente. Mel smise di divincolarsi e si calmò, come un animale che si lascia domare da mani esperte. Per un attimo fu tentata di arrendersi, di aggrapparsi e piangere come una bambina, implorando conforto. Fece uno sforzo estremo, si liberò e ricadde su una sedia.
Voltò le spalle a tutti, umiliata, vergognandosi. Aveva perso totalmente il controllo. Aveva perso ogni dignità, urlando e imprecando come una pazza. Un'ondata di terrore le imperlò di sudore la fronte. Urlando e imprecando come sua madre. Forse stava impazzendo anche lei?
La signora Miller disse: - Che sta succedendo qui?
La signora Green: - L'ufficio della segreteria é la porta accanto. Credo che lei sia nella stanza sbagliata, signora... ehm...
- Miller. Ci conosciamo, signora Green, ho avuto tre figli in questa scuola. Mio figlio Ben é in quinta. Ma oggi sono venuta per Mel. Sembra che io sia arrivata appena in tempo.- Fece risoluta te un passo in avanti e si chiuse la porta alle sue spalle.
- Non sono per nulla soddisfatta del modo in cui state occupandovi della faccenda.
Dee Tracey arrossì. - Mel è un po' turbata. Sua madre...
- So tutto di sua madre- disse la signora Miller. - Più di quanto non ne sappiano quelli che dovrebbero saperne, credo. Ci rincontriamo, signorina Tracey. Sono la vicina di Cowcross Street che stamattina ha chiamato il dottore, la polizia e l'assistente sociale. Sono rimasta con la signora Calder e le ho fatto la valigia. Adesso sono preoccupata per Mel.
- Si, scusi non l'ho riconosciuta- disse Tracey. - Siamo tutti preoccupati per Mel, signora Miller, ma c'é un piccolo problema. Stiamo cercando di convincerla ad andare da sua zia.
- Non c'é problema- disse fermamente la signora Miller. - Mel può venire a stare da noi, dall'altro lato della strada, al numero Sette. Abbiamo una stanza in più da quando mia figlia si è sposata l'anno scorso. Ecco perché sono venuta.
- Si, ma... Bhe... voglio dire, non é così semplice.
- Siamo persone rispettabili. Può chiedere referenze. Io lavoro come infermiera all'Ospedale St. Joseph e mio marito si occupa di costruzioni. Abbiamo avuto due bambini in affidamento dai Servizi Sociali. Conosco Mel da quando aveva undici anni. Ci prenderemo cura di lei.
- Posso badare a me stessa- disse Mel con rabbia.
- Lo so- disse la signora Miller. - L'ho visto in tutti questi anni. Puoi considerarti una pensionante. Un'ospite pagante. O preferisci andare dalla tua prozia, come l'ultima volta?
Mel deglutì. - Lo sa che non lo preferirei. Preferisco stare da voi.- Esitò e poi aggiunse impacciata: - Grazie.
- Non c'é problema- disse seccamente la signora Miller. - Nessuno si aspetta che tu sia sopraffatta dalla gratitudine.
Mel arrossì. - Mi dispiace. Lo so che lei cerca sempre di aiutarmi, e le sono veramente grata. È solo che...
- È passato così tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno ti ha aiutata che non sai più ringraziare come si deve.
- Il fatto è che- disse in fretta Dee Tracey, quasi per scusarsi - che cerchiamo di fare in modo che i ragazzi restino con persone del loro stesso gruppo etnico...
La signora Miller grugnì. - Ci sono dei bianchi che hanno in affidamento bambini neri. Qui si tratta di una famiglia nera che aiuta una ragazza bianca. Avete una famiglia affidataria bianca per Mel?
- Bhe, no, ho paura di no. Ma c'è sua zia.
- Io là non ci vado- disse Mel alzandosi.
- La prozia di Mel non è persona adatta a prendere in affidamento un adolescente- disse la signora Miller inflessibile. - Io ho tirato su quattro figli e ne ho avuti due in affidamento. Vuole crearmi dei problemi, signorina Tracey?
- Bhe, vedrò se...
- Sono una donna molto impegnata- disse la signora Miller. - Cerchi di sistemare tutto prima di costringermi a parlare con il signor Patel del Consiglio per i Rapporti tra Comunità.
Dee Tracey si affrettò a dire: - Ovviamente le siamo molto grati per esserci venuta in aiuto, signora Miller. Sono sicura che possiamo accordarci.
La signora Miller fece una risata profonda. - É quello che pensavo, bellezza.
- Penso che dovremmo permettere al tutore di gruppo di Mel di partecipare alla discussione- disse la signora Green. - Siamo piuttosto fieri di come ci occupiamo degli allievi, in questa scuola. Chi é il tuo tutore, Mel?
- Il signor Edwards. Ma non voglio che tutti sappiano di mia ma...
La signora Green aveva già preso in mano il telefono. - Se per favore puoi andare ad aspettare fuori qualche minuto, Mel, te ne sarei grata.
Senza dire una parola Mel uscí dalla stanza e si rannicchiò su se stessa nella sala d'aspetto, gelata, ora che il panico e la rabbia erano spariti. Fissò ciecamente i manifesti contro il fumo, sulla parete. Le voci si alzavano e si abbassavano, perfettamente udibili dietro il fragile tramezzo, decidendo del suo futuro. Non le interessava. Se le andava avrebbe seguito i loro consigli. Ma ormai era sola, doveva badare a se stessa.
Dopo un po' arrivò Keith Edwards, con aria irritata. - Sono stato convocato in presidenza. Eppure lo sanno che ho la V E, lassù, con quell'idiota di Ben Miller che si diverte a far cadere il suo cappuccio di lana nel secchio della vernice! Che cosa hai combinato, Mel?
Mel arrossì. - Nulla.
- E allora perché mi hanno chiamato?
- Sono nel suo gruppo. C'é qui un'assistente sociale...- si sforzò di andare avanti, con voce dura.
- Mia madre é impazzita. Stamattina.
Lui si passò goffamente le dita tra i corti capelli chiari. - Oddio. Altro lavoro in più, piove sempre sul bagnato.
Mel voltò la testa da un'altra parte, ma non abbastanza in fretta, d lui vide la lacrima solitaria sfuggirle lungo la guancia. Lei se l'asciugò col dorso della mano. Lui sentì un po' di rimorso e le mise ipun braccio intorno alle spalle, dandole una goffa pacca.
- Non piango- tossì lei.
- Brava, così si fa. Sei una ragazza grande, adesso.
Era vero. Senti le morbide curve del corpo di lei contro di se è smise di sentirsi come un padre o un insegnante. Si scostò rapidamente, quasi inorridito. Appena in tempo. La signora Green aprì la porta.
- La stavamo aspettando, signor Edwards. Signorina Tracey, questo è il tutore di gruppo di Mel. È responsabile dei suoi progressi e del suo benessere nella scuola. In futuro avrà a che fare con lui piuttosto che con me.
Keith Edwards grugnì quasi ad alta voce. La Vice-preside faceva a scaricabarile. Come se già non fosse abbastanza tutto quello che aveva da fare al suo primo anno d'insegnamento, senza tutte queste stupidaggini delle cosiddette "cure pastorali". Fece un sorriso falso, cordiale, a Dee Tracey e si avvicinò per stringerle la mano. La signora Green richiuse la porta.
Mel si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra che si affacciava sulla strada. Un vecchio avanzava lentamente lungo il marciapiede, sorreggendosi alle ringhiere della scuola. Cosa avrebbe fatto quando avrebbe esaurito le ringhiere?
Pensò a sua madre. Il viso smagrito e gli occhi dementi erano costantemente là, nella sua testa. Adesso, troppo tardi, Mel capiva che sua madre aveva voluto chiederle la sera prima. Aiuto. Interessamento. Amore.
Tutti chiedevano e nessuno stava ricevendo o offrendo.
Tranne la signora Miller, insisteva la sua coscienza, fastidiosamente. D'accordo, tranne la signora Miller.
Il vecchio era arrivato alla fine della ringhiera. Mel osservava, tesa, come se fosse un presagio. Si fermò, si raddrizzò, prese un profondo respiro e avanzò con cautela, muovendosi lentemente lungo la strada.
Le spalle di Mel si rilassarono. Aveva cercato di badare a sua madre, giusto? Aveva cercato di fare del suo meglio. Cercato. Non c'erano voti per i tentativi. Esisteva solo il giusto e lo sbagliato e lei aveva lo sbagliato. Lei era la colpevole, qualsiasi cosa ne dicesse la signora Green.
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MEL - Liz Berry
Teen FictionMel vive in un posto squallido, sua madre soffre di crisi di depressione e spesso e' violenta con lei. Nessuno sembra accorgersi del suo dramma. La soluzione sembra così semplice...sedersi sul cornicione della ferrovia e lasciarsi andare all'indietr...