Mel guardò l'orologio per la terza volta nel giro di dieci minuti. Erano quasi le quattro. Certamente sua madre a quest'ora sarebbe già dovuta essere arrivata. Avevano detto che l'avrebbero riportata a casa col minitaxi e che non c'era bisogno che Mel andasse a prenderla.
Andò di nuovo alla porta e guardò in cima alla strada. All'inizio della via una macchina esitò, poi proseguì per Sylvan Street. Mel richiuse la porta e riattraversò lentamente la casa, stanza dopo stanza, controllando che tutto fosse nel più perfetto ordine. Stava rabbrividendo leggermente per l'emozione, ricordandosi tutti i problemi, le soluzioni, il duro lavoro di quei mesi.
Non era riuscita a trovare un tappeto giallo oro per l'ingresso e le scale, ma ne aveva riesumato uno verde di seconda mano dal rigattiere, pagandolo tre sterline; era quasi della stessa tonalità di quello del salotto ed era venuto bello pulito. Anche se c'erano delle giunzioni in tre punti, dove aveva dovuto tagliar via delle parti consumate, si vedevano a malapena e il tappeto copriva perfettamente il pavimento da una parete all'altra, contro i lucidi pannelli di legno bianco.
Sopra questi brillava allegramente la nuova carta da parati con le margheritine gialle. Era stato incredilmente difficile ricoprire le pareti sulle scale e alla finestra chiesto al signor Miller di venire in suo soccorso. Lui le aveva mostrato come mettere delle tavole tra due scale a pioli, ,a lei non ci arrivava lo stesso e lui aveva dovuto incollare al muro pezzi di carta più lunghi.
La sua stanza da letto l'aveva dipinta con l'avanzo di vernice gialla ma, tranne che per le pulizie, non aveva toccato la camera di sua madre. Qualcosa gliel'avave impedito. Quando sua madre si sarebbe risistemata ne avrebbero parlato insieme. L'avrebbero fatta bella e lussuosa.
Il salotto al pianterreno era la stanza meglio riuscita, pensò Mel, entrandoci. Adesso era un salottino vittoriano. Lavato, il tappeto si era rivelato di un bel verde scuro con rose rosa e le pareti verde mela chiaro erano del colore esatto per abbinarvisi. Quel pomeriggio tutta la stanza brillava, inondata dal sole. La fodera del divano aveva un aspetto molto professionale e copriva la tappezzeria strappata.
Le tende erano stato un problema. La vecchia tenda di pizzo, ingiallita dalla sporcizia, si era completamente disfatta quando Mel l'aveva tolta per lavarla. Non c'erano mai state tende laterali e Mel non poteva permettersi altra stoffa rosa. Alla fine aveva utilizzato una delle tende di velluto rosso della loro casa a Lothian, che aveva trovato in fondo a un baule. Nella casa di Lotan c'erano state grandi finestre panoramiche e le tende erano troppo lunghe e larghe. Mel ne aveva tagliata una a metà e la madre di Saira l'aveva rifinita a macchina, della misura giusta. In realtà era uno spreco, ma perché non usarle? Non sarebbero mai tornare in Scozia ed accanto alla sua lucida scrivania, che brillava nella nicchia, avevano un aspetto sontuoso. Nell'altra nicchia c'era lo scaffale di bambù, pieno di piante. Un piccolo specchio ovale che aveva trovato in uno degli armadi stava appeso sopra il caminetto, riflettendo la salsiera traboccante di tradescanzia. Nel caminetto la grata di metallo era nera e lucida ed ospitava un geranio rosa scuro, donato dalla signora Martin come regalo di bentornata a casa.
La poltrona di velluto verde stava anch'essa lì, appena lavata con lo shampoo per le tappezzerie, e la macchia sul bracciolo era sparita.
Guardò attraverso la soglia, nell'altra stanza. Era stata un'idea meravigliosa far togliere le porte. tutto sembrava tanto più spazioso.
Attraverso l'apertura vide il pavimento lucidato ed il tavolo di pino con le sedie. Le dava ancora un brivido di piacere vedere la levigatezza dorata del parquet. Si ricordò le ore passate a scartavetrare e a laccare e rabbrividì. Era stato il lavoro peggiore di tutti. Davanti al caminetto c'era il tappeto di pecora trovato nel baule. Sul tavolo piena di mele appetitose, c'era la sua irregolare scodella di terracotta, l'unica che fosse emersa incolume dalla fornace durante le quattro settimane al corso di ceramica.
C'erano delle mensole di vetro sopra gli armadi affianco alle nicchie, adesso, con sopra dei bicchieri ed alcune delle porcellane dal secondo baule. C'era anche posto per un televisore, se sua madre ne avesse voluto affittare uno. Alle pareti aveva appeso alcune delle vecchie stampe vittoriane di fiori che aveva trovato nel negozio e che aveva incorniciato lei stessa con delle vecchie cornici.
Ma anche qui le tende erano stare un problema. Erano di una tonalità beige sporco, con dei brutti fiori rosso-violacei. Mel ridacchiò, ricordandosi di come le aveva immerse in un bagno di tintura giallo oro. Ne erano uscite chiazzate di un ancor più strana tonalità color senape, con i fiori marroni. Ma adesso, appese accanto alla vernice gialla ed al legno di pino erano quasi belle.
Per la cucina c'era voluto un bel coraggio. Era dominata dalla credenza di pino con le sue scintillanti maniglie d'ottone, e l'armadio che Mitch aveva fatto per il lavandino vi si intonava perfettamente. Si ricordò la propria disperazione quando aveva trovato delle orribili macchie gialle che rovinavano la carta nuova; ma anche questo poi era andato per il meglio. Pensando, mentre lo faceva, di essere impazzita, Mel aveva ridipinto le pareti di un color cioccolata scuro per ricoprire tutte le macchie e poi, osando molto, aveva dipinto il vecchio linoleum consumato con un'apposita vernice marrone scuro. Aveva ridipinto tutto il resto di bianco: i pannelli di legno, le porte, il vecchio tavolo da cucina. L'effetto generale sarebbe stato o buio e orribile oppure elegante e moderno. Adesso, guardandosi in giro, tirò un lungo respiro di sollievo. La cucina era elegante e moderna, il vecchio fornello, che era annerito e scolorito nonostante tutte le pulizie, si notava a malapena. Mel avrebbe voluto avere il coraggio di ridipingere anche quello.
Era anche riuscita a dare al gabinetto esterno una mano di vernice, e ci aveva messo un pezzo di moquette verde avanzata dalle scale.
Ore di duro lavoro, pensò Mel. Dieci mesi della sua vita, si rese improvvisamente conto. Ma in qualche modo ne era valsa assolutamente la pena. Aveva imparato talmente tanto. Aveva provato a se stessa di essere in gamba e che poteva fare dei lavori che a detta di tutti le donne non potevano fare. Quando avrebbe finito la scuola sarebbe andata a qualche corso di idraulica e di muratura e forse, se l'Associazione per lo sviluppo avesse avuto successo, avrebbe costruito un bagno, come Joe.
Fuori stava arrivando una macchina. Mel si precipitó alla porta, spalancandola.
Sua madre stava in piedi sul marciapiede, guardando la strada a destra e a sinistra, sbalordita. Un signore magro dall'espressione gentile e dai capelli sottili e informi stava prendendo una valigia dal bagagliaio.
Mel rimase in attesa sulla soglia, a disagio, improvvisamente senza sapere che dire. Fece un passo avanti e si sforzò di abbracciare la mamma. Non ci fu nessuna reazione, solo lo sguardo assente negli occhi di sua madre, che la stavano mettendo a fuoco. - Mel?
Un sottile, gelido brivido di allarme salì lungo la spina dorsale di Mel. Lo sguardo assente... Non sarebbe mica ricominciato tutto da capo?
Sua madre indossava il vestito turchese che Mel le aveva regalato e delle scarpe con i tacchi. Le avevano tagliato i capelli e fatto una morbida messa in piega. Sembrava così giovane e carina. Mel si era dimenticata quanto fosse carina.
- È tutto diverso. Ridipinto. E anche tu sei diversa- disse sua madre. - Sei più alta e più in carne e i tuoi capelli... sono così diversi.
Mel si rilassò e rise. - Anche tu sembri diversa!
Sua madre, ricordandosi, si fece improvvisamente da parte. - Lui è Peter. Voglio che facciate amicizia. Mi ha accompagnato dall'ospedale. È un mio amico.
Mel gli sorrise e prese sua madre sottobraccio. - Vieni a vedere quello che ho fatto a casa. È una sorpresa per te. Ci ho lavorata dal momento in cui sei entrata in ospedale.
Aprì bene la porta e, con un gridolino, sua madre entrò, fissando il corridoio e le scale. Poi entrò in salotto. Mel vide che quello sguardo assente era ricomparso. Sua madre si muoveva lentamente per la stanza, fissando gli oggetti ed i mobili.
- Un sacco di gente mi ha aiutato- disse allegramente Mel. - Ma ho fatto quasi tutto da sola. Ho lavorato di sabato per guadagnare i soldi per pagare i materiali.
Sua madre non rispose. Mel diede un'occhiata a Peter. Lui le sorrise rassicurante. - Sembra molto comoda e accogliente.
Sua madre, silenziosa, agitata, si avviò in fretta verso la cucina poi, senza neanche fermarsi, entrò nel soggiorno dall'altra porta e rimase immobile, lanciando occhiate selvagge intorno a sè: al pavimento, al tavolo di pino, al luminoso spazio aperto.
Peter la stava osservando, perplesso e allarmato. Mel respinse la preoccupazione che la attanagliava e disse, cercando di trattenere l'entusiasmo: - Ti stai domandando che fine abbia fatto quella orribile vecchia credenza. L'ho barattata con quella poltrona. Il tavolo e le sedie sono costati solo cinque sterline! Ti ricordi com'era prima, qua dentro?
Era come se le sue parole avessero spezzato l'incantesimo. Sua madre si girò di scatto, con la faccia distorta. - Che cosa hai fatto, perfida ragazza? Che hai fatto alla mia piccola casetta?
Per un momento incredula, Mel la fissò. Poi guardò Peter, senza parole, gesticolando per chiedere soccorso.
- Marian, amore- lui si fece avanti, affrettandosi.
- È sparito tutto! Che cosa hai fatto, diabolica, perfida ragazzina? Ti potrei uccidere...- La voce di sua madre si alzò fino a diventare un gridò strozzato prima di essere soffocata contro la giacca di Peter, che l'aveva tirata a sè per le mani. Lo stomaco di Mel si rivoltò violentemente, ricordando la paura e il disgusto. Le balenò davanti agli occhi una visione della stanza puzzolente e degli scatoloni ammucchiati. Stava per ricominciare tutto. La sporcizia, il degrado, le botte.
Corse inciampando in cucina e acchiappò una busta di plastica, poi con crescente isterismo corse su per le scale. Nella sua camera afferrò qualche indumento dalle stampelle e dai cassetti, ficcandoli selvaggiamente nella busta. Un asciugamano, uno spazzolino, le cose per lavarsi, la borsa a tracolla, la giacca... e poi uscì di corsa, con i piedi che volavano da soli lungo la strada. Doveva andarsene. Non tornare mai più. Mai più trovarsi in mezzo a quella paura e quell'orrore. Non di nuovo... Svoltò l'angolo inspirando grosse boccate d'aria, e poi un altro angolo, e raggiungendo un appezzamento di terreno vomitò con violenza.
Dopodiché camminò, senza sapere nè verso dove nè per quanto.
Quando fu piuttosto buio, si ritrovò in una strada dal nome conosciuto e si rese conto di essere fuori dall'appartamento di Keith Edwards. Era al pianterreno di un'elegante casa a schiera con delle scale davanti al portone ed un portico. C'era una finestra illuminata, ma le tende erano tirate.
Mel sentì lacrime di sollievo che le scendevano lungo le guance. Keith avrebbe saputo consigliarle cosa fare. Si era fatto promettere che si sarebbe rivolta a lui se fosse stata in difficoltà. Aveva pensato, orgogliosamente e stupidamente, che non si sarebbe mai rivolta a lui in cerca di aiuto, ma adesso il sollievo di sapere che c'era qualcuno che si sarebbe occupato di lei era talmente schiacciante che si dovette sedere suo gradini per potersi riprendere.
Dopo un pò si alzò e premette il campanello illuminato sopra il suo nome.
STAI LEGGENDO
MEL - Liz Berry
Teen FictionMel vive in un posto squallido, sua madre soffre di crisi di depressione e spesso e' violenta con lei. Nessuno sembra accorgersi del suo dramma. La soluzione sembra così semplice...sedersi sul cornicione della ferrovia e lasciarsi andare all'indietr...