Mentre Mel usciva dal cancello della scuola alla fine del pomeriggio, una macchina alle sue spalle suonò il clacson. Keith Edwards si affacció dal finestrino, sorridendo.
- Ti do un passaggio a casa, Mel.
Lei esitò, arrossendo, conscia del fatto che la altre ragazze la stessero osservando, invidiose. - Non ce n'è bisogno, signor Edwards.
Lui si sporse e aprì la portiera. - Sali, dai.
- Veramente...
- Non discutere. Ordine di Dee Tracey. Mi ha chiesto di riportarti a casa oggi pomeriggio. Di accertarmi che a casa fosse tutto in ordine.
Lei salì riluttante. Non voleva che lui vedesse la sua casa. Non voleva farla vedere a nessuno prima che avesse avuto il tempo di ripulirla un pò. Ma non c'era scampo e quando giunsero a Cowcross Street lui parcheggiò la macchina fuori dal numero Sei ed entrò con lei.
Lo stretto corridoio era buio, la carta da parati a grandi disegni era annerita dal tempo, strappata e unta nei punti in cui le persone ci avevano strusciato contro per innumerevoli anni. C'era una stretta striscia di linoleum lungo il centro del pavimento, col disegno consumato, e le scale erano di legno nudo. Sulla destra c'erano due porte marrone scuro, tutte scrostate. La cucina si trovava proprio in fondo al corridoio.
Mel, con il viso teso, aprì la porta più lontana.
- Tanto vale che veda il peggio. Questo è il soggiorno. É qui che mia madre passa la maggior parte del tempo. Io uso la cucina.
La stanza era piccola, piena di vecchi mobili pesanti: un tavolo, sedie dallo schienale dritto, una credenza. Grandi scatoloni di cartone e balle di giornali sommergevano ogni superficie disponibile e si ergevano dal pavimento in pile pericolanti, lasciando solo uno stretto sentierino dalla porta al tavolo.
- È terribile, vero? E puzza.- Mel rabbrividì. Il televisore stava ancora lampeggiando. Attraversò la stanza e lo spense.
Keith si guardò attorno, cercando di non fare vedere a Mel quanto fosse scosso e sgomento. L'odore gli faceva venire voglia di vomitare.
- Cosa sono tutti questi scatoloni?
- Dia un'occhiata.
Ne scoperchiò uno che stava sul tavolo e fissò il mucchio di quadratini di giornale, facendoseli scorrere tra le dita. - Non capisco.
- È quello che fa tutto il giorno. Imballare. Ecco cosa dice. Imballare.- Rise, ma la risata si incrinò sinistramente a metà strada. - Andiamo in cucina. Lì la situazione è migliore. Qui dentro non mi permetteva di pulire.
La cucina era un prolungamento della casa con il tetto di vetro. C'era una credenza marrone scuro incassata in una parete, un tavolo di legno, un vecchio lavandino e una cucina a gas. Erano tutti puliti, con un fortissimo odore di candeggina, ma neanche la candeggina riusciva a nascondere il tanfo di marciume. Vide che c'erano grosse chiazze di umidità sulle pareti.
- La pioggia entra dal tetto- disse Mel.
- Chi è il proprietario?
- Prima era un privato, ma poi l'anno scorso l'ha comprata il Comune, mi dispiace per la puzza. La maggior parte proviene dagli scatoloni e dai giornali che mia madre riporta a casa, e le finestre non si aprono.- Cercò di ridere. - Ho sempre paura che la puzza mi resti appiccicata addosso. È difficile lavarsi nel lavandino della cucina.
- Non c'è un bagno?- Sembrava incredulo.
- No, ma mi lavo due volte al giorno in cucina- disse lei, sulla difensiva. - Se si sente qualche odore strano sono i miei vestiti. Anche se li lavo in continuazione non riesco a...
- Mel, ma tu non puzzi!- Era inorridito e imbarazzato.
- Molta gente da queste parti puzza. Non posso farci niente. Preferisco non avvicinarmi troppo alle persone, in caso dovessero sentire il mio odore.
Lui si sedette sulla sedia di legno della cucina e si guardò attorno. Un campo di battaglia. Una battaglia quotidiana contro la sporcizia e il decadimento. Prima di quel giorno si era a malapena accorto dell'esistenza di Mel. Era talmente silenziosa e riservata, con quei capelli castani lisci sempre tirati in una stretta coda di cavallo. Adesso capiva il perchè gli era sempre sembrata strigliata, tirata a lucido. I suoi vestiti erano vecchi, ma puliti e ben rammendati. Una ragazzina qualunque. Non aveva nemmeno notato quegli splendidi occhi scuri.
- Non ho amici da un sacco di tempo. C'era il rischio che volessero venire a casa.
- Come è accaduto, Mel?
Mel scrollò le spalle e si voltò dall'altra parte. Riempì il bollitore al rubinetto e automaticamente si mise a fare il tè. - Non lo so. Stava bene quando vivevamo a Lothian, credo. Mio padre faceva l'ingegnere e avevamo una bella casetta pulita e moderna, con la moquette, i mobili nuovi, una cucina e un bagno veri. Era tutto pulito e scintillante...
- Come in uno spot pubblicitario- disse Keith sarcastico.
Lei lo fissò. - E cosa c'è di male?
- Anche le persone sembrano impacchettate e sterilizzate dai vermi.
Lei ci pensò su. - Può darsi. Ma se lei vivesse in una strada come questa avrebbe voglia di un pò di pulizia. Adesso Lothian sembra quasi un sogno. Mia madre qualche volta si deprimeva. Ma mio padre era meraviglioso. Era grande e allegro. Aveva i capelli chiari e gli occhi azzurri. In effetti lei gli somiglia un pò.- Si voltò frettolosamente per versare il tè. - Allora lui le diceva "Coraggio, bellissima, stasera si va a vivere!" E andavano al cinema e poi al ristorante cinese. Oppure la portava a comprarsi un bel vestito nuovo e lei si riprendeva. Era molto carina a quei tempi, aveva i capelli ben pettinati e si truccava. Io la trovavo stupenda.- Fece una risatina amara. - Adesso non la si riconosce. É come uno scheletro. Sporca, i capelli le spenzolano da tutte le parti e gli occhi...
Deglutì.
Keith disse prontamente: - Cosa accadde?
- Mio padre morì in un incidente sul lavoro. Una trave maestra gli cadde addosso e gli schiacciò le costole. Non era assicurato e la casa era ipotecata, quindi rimanemmo senza soldi.
- La ditta non vi diede un risarcimento?
- Non credo. Mia madre era isterica quasi tutto il tempo. Vennero dei signori e le fecero firmare delle carte. Immagino che fossero avvocati. Piangeva in continuazione e riusciva a pensare solo a vendere la casa per trasferirsi di nuovo a Londra, la sua città. Allora ci trasferimmo in Cowcross Street.
Mel si interruppe, presa dai ricordi. - Non pensavamo mai... non avevamo mai immaginato che sarebbe stato così terribile. La casa ce la trovò sua zia. In teoria avrebbe dovuto essere arredata, quindi vendemmo tutti i nostri mobili. La cosa strana è che all'inizio lo shock della casa le fece bene. Smise di piangere. Continuava a ripetermi di non preoccuparmi, che avremmo traslocato presto, appena avrebbe trovato un posto. Non voleva neanche disfare le valigie o migliorare la casa perchè dovevamo a andarcene presto, capisce? Ogni volta diceva che saremmo rimaste solo qualche settimana.
Guardò Keith, improvvisamente colpita. - Lo sa, tutti quelli che abitano in questa strada sono così. Tutti la odiano. Pensano tutti che sia una sistemazione temporanea e che presto traslocheranno; quindi perchè fare qualcosa? Comunque, mia madre trovò lavoro nella mensa di una fabbrica e lavorava veramente sodo, cercando di risparmiare. Si stancava sempre di più, si vedeva, facendo gli straordinari. "Non ti preoccupare" diceva all'inizio. "Non resteremo qui". Poi si prese l'influenza e non tornò al lavoro. Non voleva assolutamente uscire. Stava seduta in casa a guardare la televisione, anzi a non guardare. Beveva tè e fumava tutto il giorno, e dopo un po' non si alzava neanche più dal letto. La portarono all'ospedale psichiatrico per circa un mese. Io dovetti andare dalla prozia Edie. Accadde tre anni fa.
Ci fu un lungo silenzio.
Keith incalzò: - Avanti, Mel. Raccontami la parte peggiore.
- Quando tornò le proposi di rendere la casa più accogliente, ma lei disse che per il momento andava bene cosí e che non voleva sprecare soldi inutilmente. Trovò lavoro in un ufficio ma dopo pochi mesi chiusero bottega e da qual momento trovò vari lavoretti, qualche settimana qua e là. Poi litigava con qualcuno e si dimetteva o la lincenziavano. All'ospedale le diedero quelle pasticche, quindi non si deprimeva troppo, ma il suo umore peggiorava di giorno in giorno. Non le potevi rivolgere la parola senza che ti urlasse contro. Brontolava, brontolava e brontolava, senza motivo. Andò avanti così per almeno due anni. Poi smise del tutto di lavorare. E non andava più all'ospedale e non prendeva le medicine. Stava solo seduta a guardare la televisione tutto il giorno. E poi...- Mel prese un grande respiro. - E poi cominciò ad uscire di notte e a portare in casa gli scatoloni di cartone che la gente lasciava per gli spazzini. E prendeva mucchi di giornali. E cominciò a strapparli... Imballare, diceva. Dovevamo traslocare. Le dissi di andare dal dottore. Insistetti. Finchè non ci andò. Non so cosa gli raccontò. Lui le diede delle gocce di Valium.
Si interruppe e deglutì. - Adesso non si lava e non si cura. Quando cerco di buttare via gli scatoloni le vengono degli attacchi di collera. E stanno peggiorando. Non sapevo che fare. L'ho detto al dottore, ma mi ha dato un'altra ricetta per il Valium, che lei si rifiuta di prendere. Non viene mai a visitarla.- Imorovvisamente sbottò: - Non so proprio cos'altro avrei potuto fare... lo so che la signorina Tracey pensa che sia stata colpa mia, ma...
- Adesso non esagerare, Mel, dai. Sono sicuro che non abbia detto questo. Lo sai che non é colpa tua. Hai fatto tutto quello che potevi.
- Non è abbastanza. Doveva esserci qualcos'altro da fare. La signorina Tracey ha detto che c'erano tutte quelle forma di assistenza, gente che poteva aiutarci. Ma come potevo saperlo? Nessuno te lo dice. Non se ne può sapere nulla.
Keith si mosse, a disagio, sentendo l'angoscia nella sua voce. - Guarda, Mel, non serve a niente farti a pezzi in questo modo. Quel che é fatto é fatto. Devi dimenticare tutta questa storia e pensare al futuro.-
Mel lo guardò sbalordita. Dimenticare? Dimenticare tutta quella paura e quel disgusto, il dolore e la degradazione e la miseria? Quasi sei anni passati così? Sapeva che non avrebbe mai potuto scordarli. Contenevano delle lezioni. Le più dure che avesse mai imparato. Ma come poteva una persona come Keith Edwards capire una cosa del genere?
Tracciò con piede il disegno del linoleum consumato. - Sono stata una stupida. Avrei dovuto informarmi in proposito. Avrei dovuto chiedere a qualcuno a scuola. Ma non volevo che sapessero. Continuavo ad aspettare che gli altri prendessero l'iniziativa. Una madre adottiva magica! Non mi rendevo conto che bisogna cavarsela da soli. Che non si può contare su nessuno.- Cercò di ridere. - Chiamatemi Cenerentola!
Lo guardò diritto negli occhi. - Io la odio, Keith. Ho odiato mia madre per due anni. E non l'ho mai ammesso con nessuno prima d'ora. Neanche con me stessa. Sono stati il brontolare e le urla. Quando ha cominciato a picchiarmi ho pensato che l'avrei lasciata cuocere nel suo brodo. Immagino che sia per questo che adesso mi sento tanto in colpa. Non l'ho mai amata abbastanza.
Keith Edwards distolse lo sguardo. Si sentiva inadeguato, sentiva che quelle emozioni non erano alla sua portata. Voleva fuggire da quei sentimenti profondi, dalla tristezza e dalla sofferenza. Si allontanò dal tavolo e si alzò in piedi. - Si sta facendo tardi.
- Ma per favore, Keith cosa posso fare? Voglio fare qualcosa per lei. Qualcosa per farmi perdonare. Mi dica cosa dovrei fare.
Non ne aveva idea. - Calmati, Mel. Piangere non serve a niente.- Setacciò la propria mente in cerca di un'idea, moriva dalla voglia di andarsene.
- Tanto per cominciare ti puoi sbarazzare di tutti quegli scatoloni. Adesso è il momento buono, prima che lei torni a casa. E puoi fare pulizia. Ti farà sentire meglio, magari potresti passare una mano di vernice in soggiorno? Non é difficile se usi il colore a spruzzo. Lo ravviverebbe, e hai tutte le vacanze estive...
Improvvisamente, mentre lui stava parlando, le venne in mente un'idea, perfetta e bellissima.
- Keith, la mia tesina di educazione artistica. Ha detto che potevamo scegliere qualsiasi argomento. La potrei fare in decorazione d'interni? Sa, come quelle riviste di fotografie che si vedono nelle riviste? "Prima" e "Dopo". Potrei scattare delle fotografie e svilupparle in camera oscura con la signorina Leslie. E potrei fare la relazione sulla scelta dei colori e studiare le tecniche di pittura e decorazione. Scrivere delle difficoltà che incontro. Come una specie di diario.
Lui disse, perplesso: - Non vedo perché non dovresti fare un progetto di decorazione d'interni, ma non questo che c'entra con...
- Ma non capisce?- I suoi occhi scuri erano entusiasti e brillavano. - Voglio capire come far sembrare bella questa casa. Non solo pulita, ma comoda e accogliente. Una sorpresa. Quando tornerà se troverà una bella casa non si ammalerà di nuovo. Potrebbe invitare le sua amiche e...
Lui si guardò intorno dubbioso, chiedendosi come Mel potesse mai pensare di trasformare quel buco puzzolente in qualcosa di abitabile.
- E dove li prenderai i soldi?
- La signorina Tracey ha detto che avrebbe fatto in modo di farmi avere un sussidio. Magari posso trovare un lavoro per il sabato. Ho cercato di risparmiare qualcosa ogni settimana per le emergenze, quindi ho un po' di soldi da parte. Potrebbe non costare molto. La vernice. Solo bei colori.
- Potresti provarci, suppongo anche se non vedo come potrebbe utile per i tuoi esami.
- Lei aveva detto che avevo il senso dell'architettura. Potrei fare degli schizzi delle varie stanze e mostrare come sarebbero con altre carte da parati e altri colori. Campioni di tessuto. Una cosa del genere.
Lui la osservò incuriosito. Non l'aveva mai vista così vivace ed eccitata. Si rendeva conto di quanto fosse seria di solito. Non c'era da stupirsi che non aveva mai notato quegli splendidi occhi, prima di allora. O quel corpo. La squadrò di nascosto. Aveva le guance colorite. Si fecero più rosse quando notò che lui la stava guardando.
Disse balbettando: - Potrei prendere in prestito una macchina fotografica del dipartimento di arte?
- Certo. Avrai bisogno anche della pellicola e di un quadernone con gli anelli. Carta da disegno. Immagino che vorrai cominciare durante le vacanze.
Lei annuì, ma intendeva cominciare immediatamente, quella notte, dopo che lui se ne fosse andato. Lo accompagnò alla porta. Lui si trattenne sulla soglia, con il sole della sera che gli formava un'aureola attorno ai capelli chiari, e le sorrise.
- Per qualsiasi problema vieni dipa me. Chiaro?
- Si.
- Abito in un appartamento dall'altro lato della strada principale, accanto al parco, al numero 27A di Highcroft Drive. Non é lontano.
Sette minuti. Un altro mondo. Mel disse: - So già dove abita, signor Edwards.
Lui sogghignò ed alzò un sopracciglio. Lei avvampò. Tutte le ragazzine della scuola sapevano dove viveva. ma lei non sarebbe mai andata a dirglielo.
- Chiamami per qualsiasi cosa, a qualsiasi ora, Mel. Lo dico sul serio. Puoi fidarti di me. Ti aiuterò anche con il progetto, quando sarai pronta. Vieni se hai bisogno di me, promesso?
- Glielo prometto. Ma verrò a disturbarla solo se sarà qualcosa di veramente importante, Keith... signor Edwards.
Lui sorrise di nuovo. - Mi hai chiamato Keith. Va benissimo.
Il rossore di Mel divenne più intenso. Lui rise e, con naturalezza, le carezzò la guancia con un dito ed entrò nella sua vecchia Ford arrugginita. Mel lo guardò andare via. Le era sempre piaciuto, era così disponibile e di buon carattere. Le piaceva guardarlo muoversi in giro per l'aula di disegno, scherzando, con i capelli chiari che gli si arricciavano sul collo, con le mani abbronzate che muovevano magistralmente la matita sul foglio. Oggi l'aveva cinta con un braccio, l'aveva consolata. Il suo cuore si mise a battere forte al solo ricordo. Era impossibile che fosse interessato a lei, ma aveva capito quell'occhiata di valutazione che le aveva dato. Improvvisamente, nonostante il collasso di sua madre e tutte le brutture di quella giornata, si sentiva bene.Lo stava osservando, sognante, sentendo ancora il suo tocco sulla guancia, quando una voce accanto a lei disse: - Mmm, mmmm! E lui chi è?
Lucinda Miller. Mel non la guardò negli occhi, non voleva ricominciare ad arrossire. Lucinda fastidiosamente perspicace.
- Il mio tutore di gruppo, Keith Edwards.
- Appetitoso, molto appetitoso. Ventidue anni giorno più o giorno meno, oserei dire. Perché non mi è mai capitato uno così quando ero alla William Watt, invece del vecchio Toffoletta, che se ne stava sempre a parlare di AIDS e droga?
- È arrivato a Pasqua. Saresti dovuta restare.
- Non puoi dire sul serio.
Lucinda, un tempo la migliore amica di Mel, l'unica amica, pensava Mel ogni tanto, aveva lasciato gli studi nel giugno precedente con otto bei voti di promozione contro i cinque di Mel. Adesso non si frequentavano più molto, e quando lo facevano non sembrava che avessero molto da dirsi.
Mel disse, per cambiare argomento: - Hai finito di lavorare?
- Sono uscita prima dal negozio. Stasera vado da Donnelly. Vieni dentro a vedere cos'ho da mettermi. Dovrò mascherarlo con un cappotto per non farmi vedere da mamma.- Scoppiò a ridere. - Mi sta d'incanto.
- Tu stai sempre d'incanto- disse Mel sorridendo. Lucinda indossava dei larghi pantaloni color kaki e una strana maglietta arancione deforme, che risaltava contro la sua pelle scura, ambrata. Era stupenda. I suoi capelli a treccine erano ripresi a formare una pettinatura incredibile con nastri di raso verde e arancione. Solo Lucinda era abbastanza sicura di sè da poter andare in giro conciata in quel modo in Cowcross Street ed uscirne indenne. Era alta e si muoveva con la superiorità di una regina.
- Dove hai preso quella maglietta?- chiese Mel incuriosita.
- Da Doctor Barnardo, insieme ai pantaloni. Costano pochissimo. Li ho tinti.
Mel sospirò, consapevole della propria camicetta spiegazzata della divisa scolastica, rimpiangendo di non aver più fiuto per la moda, invidiando la sicurezza e il gusto di Lucinda. Forse se così fosse stato Keith Edwards l'avrebbe guardata due volte. Improvvisamente avrebbe voluto che Lucinda non si fosse allontanata tanto da lei e che potessero confidarsi l'una con l'altra come facevano un tempo. Le sarebbe piaciuto chiederle un consiglio su Keith Edwards. Ma ormai erano molto lontane. Non era solo per i vestiti. Lucinda la stava sorpassando.
Disse: - Perché non entri un attimo da me?
Lucinda scosse la testa. - Non c'è tempo. Sono venuta a prenderti. È pronta la cena. Ho saputo che hanno portato tua madre alla casa degli svitati, oggi.
Mel annuì, non volendo parlare.
- È la cosa migliore, Mel. Lì si rimetterà. Mamma dice che dormirai nella nostra stanza di riserva.
Mel annuì esitante. - Tua madre è venuta a scuola. Mi ha salvato dalla mia prozia Edie. Va bene?Voglio dire, non vorrei che sembrasse che sto... tipo... invadendo.
Lucida rise e mise un braccio intorno alle spalle di Mel. - Benvenuta in famiglia. Sei di colore strano, ma ti prometto che ti vorrò bene come ad una sorella!- Sorrise. - Dai, adesso vieni. Acchiappa la tua camicia da notte e lo spazzolino da denti, o ci ucciderà entrambe.
Mel disse preoccupata: - Devo parlare con tua madre della mia retta.
Lucinda rise di nuovo. - Prima te di me, ti taglierà la testa.
- Io voglio pagare- disse Mel decisa. - Non voglio elemosina. D'ora in poi gestirò la mia vita come voglio io.
- Sembra una dichiarazione d'indipendenza.
- Si- disse Mel amaramente. - Potremmo definirla così.
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MEL - Liz Berry
Roman pour AdolescentsMel vive in un posto squallido, sua madre soffre di crisi di depressione e spesso e' violenta con lei. Nessuno sembra accorgersi del suo dramma. La soluzione sembra così semplice...sedersi sul cornicione della ferrovia e lasciarsi andare all'indietr...