Il giorno seguente

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Non so ben dire quanto durò l'abbraccio che Nelson mi diede. Per me erano passati solo pochi secondi, ma l'orario che segnava il mio cellulare non era della stessa opinione. Quando ci staccammo Nelson mi sorrise e il bacio che seguì subito dopo mi fece capire che era pronto ad affrontare, forse, la sfida più difficile che la vita gli aveva imposto. Ma non era solo; c'ero io con lui, pronto a sorreggerlo se mai fosse caduto. L'ardore di quel bacio non mi abbandonò per tutta la notte. Quel tocco, così delicato e allo stesso tempo colmo d'amore, era rimasto inciso sulla pelle, come una bruciatura. La gioia di quel momento vissuto insieme mi disegnò sulle labbra un sorriso che si tramutò in un risolino persistente tutta la notte senza un apparente motivo. Steso nel mio letto, più di una volta portai le dita sulle labbra sfiorandole come per essere sicuro che quello che era successo fosse reale. E il suo messaggio "buonanotte Cesi ♥", mandatomi a mezzanotte precisa, mi fece capire che non si era trattato di un sogno. Era tutto vero e, per la prima volta dopo tanto tempo, riuscii ad addormentarmi sereno, con quel sorriso che mi rimase fino al mattino seguente.

...

Ero in studio già da qualche minuto quando Nelson entrò e, vedendomi, mi corse incontro per salutarmi.

"Buongiorno Cesare! Mamma mia, stanotte non ho chiuso occhio" mi sorrise per poi afferrarmi le mani.

"Come mai? Io invece ho dormito da dio" gli risposi ricambiando la stretta.

"Non ho fatto altro che ripensare a quello che ci era successo in macchina e – ",

"Ti è venuta voglia, porcellino?" ammiccai.

"Quanto sei idiota! Anche... ma non è questo il punto..." si corresse subito dopo notando il leggero ghigno che la mia bocca aveva assunto; "...dicevo che ho ripensato molto a quello che ci siamo detti e, ora, sono molto più sicuro di me! Sono pronto ad affrontare le conseguenze che mi sta portando la scelta che ho fatto" continuò a dire con così tanto orgoglio che glielo potevo leggere negli occhi. Il mio cuore mancò di un battito per l'emozione e, istintivamente, lo strinsi forte tra le mie braccia sussurrandogli all'orecchio "sono così felice". Anche Nelson sorrise, e, appoggiando la testa nell'incavo della mia spalla, si posizionò meglio in quell'abbraccio che segnava l'inizio di una nuova avventura. Quando, poi, la porta dello studio si aprì, facendo entrare anche gli altri, noi rimanemmo uniti lo stesso, fregandocene delle occhiate perplesse che i nostri amici ci stavano mandando. E solo dopo esserci staccati, ci girammo verso di loro dicendo in coro: "Abbiamo fatto pace".

"Perché? Avevate litigato?" chiese Nicolas dubbioso nell'essersi perso qualcosa.

"Non proprio, ma è una lunga storia" gli risposi mentre sorridevo soddisfatto a Nelson che mi mise una mano sulla schiena e sorrise a sua volta. Nicolas, però, voleva sapere. Iniziò a farci tante domande alle quali io e Nelson, almeno per il momento, rimanemmo sul vago. Non era ancora cosa dire loro ciò che stava accadendo in quanto, mi fa male anche solo pensarlo, per il momento non c'era nulla di concreto. Nelson stava ancora con Beatrice ed io, almeno per adesso, ero solo quel ragazzo che si può definire come amante. Non mi piaceva quell'appellativo, e soprattutto non volevo essere definito come tale. Quindi non avevo molta voglia di parlare di questa storia, almeno non con loro. Resosi conto che da noi non avrebbe ricavato nulla, Nicolas andò in cucina per farsi un caffè dove c'era già Frank che, a differenza sua, aveva già capito l'andazzo della situazione e non si era preoccupato di farci alcuna domanda. Tonno, invece, era rimasto con noi. Consapevole di quello che stava succedendo, ci guardò esterrefatto, aspettando una spiegazione che arrivò solo dopo un po' quando, rimasti da soli, lo aggiornai di tutti gli avvenimenti della giornata scorsa.

"Ma è una cosa magnifica!" esclamò entusiasta nel venire a conoscenza di ciò.

"Non sai che peso che mi sono levato, Tone! Però mi sento un po' un verme...". Il mio viso si era incupito e Tonno, notando ciò, si allarmò domandandomi immediatamente cosa ci fosse che non andava. "Bea..." fu l'unica parola che riuscii a pronunciare. Mi si era formato un groppo alla gola per quanto mi sentivo in colpa.

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