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"Susie got your number and Susie ain't your friend
Look who took you under with seven inches in
Blood is on the dance floor, blood is on the knife
Susie's got your number and Susie says it's right"

-Blood on the dace floor

Ho sempre voluto quello che non potevo avere e, quando finalmente lo ottenevo, finivo per non volerlo più.

Non ne ho mai compreso le ragioni, ma se è per questo non mi interessavano neanche.

Era così per qualunque cosa, anche con i ragazzi.

Così quando Cam mi aveva detto di stare lontana dal fratello, io non mi ero fatta tante domande.

Lui era il mio migliore amico, c'era sempre stato per me, glielo dovevo. Così lo avevo ignorato, come aveva fatto anche Cam. Ovviamente dopo la visita di suo padre questo non era stato più possibile. Ero letteralmente costretta a passare più del dovuto con Aaron e Cam era letteralmente sparito. In casa lo si vedeva di rado e, quando c'era, era chiuso nella sua stanza.

Avevo bisogno di distrarmi in qualche modo, di un passatempo che non comportasse l'uso di armi. Decisi quindi che Aaron sarebbe stata la mia nuova sfida.

Sapevo che ci sarebbe voluto tempo, Aaron non era un ragazzo come gli altri, era perfettamente in grado di controllare ogni genere di istinto, sapeva nascondere i suoi sentimenti e, capire che cosa provasse era sempre un'impresa. Il che rendeva il gioco ancora più divertente ed intrigante ai miei occhi per non parlare di quanto fosse bello.

Avrebbe dovuto essere un reato essere in grado di generare due esseri così perfetti come lui e suo fratello. Uno sì, ma due su due... dovrebbe essere illegale.

Il primo lavoro per conto dell'Occhio di Ra non tardò ad arrivare.

Esattamente tre giorni dopo avergli mostrato le mie abilità con i coltelli il padre di Aaron decise che ero pronta a sufficienza per la mia prima richiesta. Ovviamente però non mi riteneva abbastanza preparata per cavarmela da sola, così mi ritrovai nel bel mezzo di una festa a Richmond, uno fra i quartieri più lussuosi ed esclusivi di Londra, che si trova lungo il Tamigi.

Si trattava di un'asta privata, ma noi non eravamo certo lì per fare acquisti. Fra i potenziali acquirenti, infatti si trovava la nostra vittima. Di lui conoscevo solo le informazioni essenziali utili ad identificarlo, mi avevano mostrato una foto che avevo riguardato prima di scendere dall'auto e in più sapevo che si trattava di un petroliere.

Non era dato sapere perché fosse lì e men che meno perché dovesse morire.

Non appena varcammo la soglia dell'enorme villetta dalle mura bianche, costruita nel tipico stile inglese tale da farla sembrare una casa delle favole, mi ritrovai immersa in un mondo del tutto nuovo.

Un uomo con addosso uno smoking nero e dei guanti bianchi ci diede il benvenuto dopo aver meticolosamente controllato la presenza dei nostri nomi sulla lista poggiata sul leggio davanti a lui.

Quella sera io Aaron eravamo il signore e la signorina Wood, due ereditieri mandati dal loro facoltoso padre ad acquistare qualcosa con il quale arredare il suo novo acquisto: una villa in Italia, nella capitale.

Per rendere più credibile la recita mi era toccato indossare un paio di lenti a contatto azzurre e allisciarmi i capelli, ma ad Aaron era toccato tingerli affinché assumessero una sfumatura di castano scuro quanto più simile alla mia. Sarebbe stato decisamente più facile fingere di essere marito e moglie se solo non avessimo avuto sedici e diciott'anni anni.

La ragazza bugiardaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora