Capitolo 3: L'INCONTRO PRIVATO

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Mi svegliai quando il sole era già alto, ma poltrii ancora letto fino a che entrò la mia cameriera personale. 

«Non osate poltrire ancora, rosetta.» Era solita chiamarmi con quel nomignolo che racchiudeva, in lingua gaelica, il significato del mio nome.

Sbuffai. «Portate la vestaglia allora, Reann.»

Tirai in parte le coperte e misi i piedi a terra rabbrividendo all'istante. Il freddo del pavimento a contatto con la mia pelle mi fece salire un brivido lungo la schiena e, in un baleno,  tornai al mattino precedente.

Mi sentii male. Non capivo come la gente potesse prendersi gioco ed invadere le vite di altre persone, imponendo il loro pensiero e il loro credo. E come chi poteva, come noi nobili, non facessimo proprio nulla per rimediare.

"Voi non potete far granché. Rischiate di finire proprio come quei contadini" mi mise in guardia la vocina nella mia testa. "Il ragazzo del laghetto non è sicuramente umano".

Al solo pensiero iniziai a sudare freddo e aprii la finestra cercando di respirare a pieni polmoni.

«Milady, lord Liam McMahon è dabbasso.»

«Che cosa? E ne sapete il motivo?» le chiesi. 

In questa dimora perfino i muri non avevano segreti per quella donna minuta, dai fianchi larghi e il sorriso burbero. Ma alla mia domanda scosse la testa, stranamente.

-Non mi resta che scendere dunque- sussurrai, invitandola poi ad aprire il grande armadio che occupava l'intero lato destro della stanza. 

Scelsi un vestito azzurro dalla scollatura modesta e tempestata di piccole pietre candide. Lo indossai e mi sedetti davanti allo specchio dove Suela, la mia ancella personale, si dedicò ai capelli intrecciandoli con strisce di tessuto del medesimo colore.

«Rosetta, domani dovrete fare un'altra tintura» mi avvisò la donna. «Il vostro colore sta tornando.»

Guardai con eloquenza l'ancella che, annuendo, uscì dalla stanza. Sarebbe andata di corsa al mercato ad acquistare il necessario per la tintura.

Ero l'unica in famiglia ad avere capelli scuri e lisci, presumibilmente a causa di sangue longobardo nelle vene diceva mio padre, e questo mi metteva in imbarazzo. Mi sentivo diversa e sbagliata fin da piccola così, non appena ne ebbi avuta la possibilità, iniziai a tingere i capelli con una mistura di erbe.

Lo sguardo mi cadde sulla miniatura che tenevo sulla toeletta: era la mia sorellina, la più piccola, e non poteva che essere una perfetta irlandese con quella matassa di capelli chiari e ricci. La sua morte fu un duro colpo per tutti, perfino per mio padre.

I ricordi dolorosi furono interrotti da un sonoro colpo alla porta. 

«Cosa fate rinchiusa qui dentro? Liam vi attende.» brontolò mio padre facendo la sua entrata senza attendere di essere ricevuto. 

Ora, tra queste mura, poteva permettersi di essere se stesso e dimostrare tutta la sua infelicità e sofferenza. Egli infatti non aveva perso soltanto il titolo nobiliare, diventando poi il vassallo del fratello Rían di Louth, ma anche il suo grande amore. Mia madre.

«Sedetevi, padre. Il dottore ha detto che dovete stare tranquillo.»

«Come posso se siete ancora qui? Vi ricordo che tutti crediamo in questo matrimonio. Ne abbiamo bisogno e soprattutto voi.»

"Ci risiamo..."

«Ne va della vostra sicurezza. Sono vecchio ormai e non potrò occuparmi di voi ancora per molto.»

Il ticchettio dell'orologio fu l'unico rumore udibile per alcuni minuti poi Kasey sospirò sconsolato e prese finalmente posto nella poltrona davanti al camino acceso invitandomi a sedergli accanto.

«Padre, come potete sapere se questo ragazzo...»

«Uomo» mi corresse subito.

«... se questo uomo sia quello giusto per me? Se mi picchiasse?»

«Non succederà» rispose laconico.

Le mie paure più grandi sembravano non importare.

"In questa vita dovrò sempre dipendere da un uomo? Non potrò mai fare di testa mia?"

«Non mi resta che obbedire» risposi, chinando la testa al suo volere, e lo seguii dabbasso.

Mi mostrai obbediente di proposito ma la mia testa stava lavorando. Non mi sarei fatta mettere i piedi in testa. Neppure da mio padre. 

Liam ci attendeva in biblioteca e, non appena entrammo, ci venne incontro chiedendo la mia mano.

«Buongiorno» lo salutai educatamente, lasciando che mi facesse il baciamano.

«Kasey, potrei avere un colloquio privato con vostra figlia?» chiese il nobile lasciandomi basita.

Mio padre ci scrutò per alcuni istanti. «Vi concedo mezz'ora. Poi saremo onorati se vi fermaste al banchetto nella Sala Verde.» Nel suo tono potei riconoscere una velata nota di autorità, non era un invito ma un ordine. 

«Non mancherò» promise Liam, osservando poi uscire il mio genitore.

Mi invitò a sedere al suo fianco, su uno dei divanetti rococò, e lo osservai in silenzio non sapendo esattamente che discorso intavolare in quel momento.

E poi improvvisamente successe. Quegli occhi verdi divennero di un intenso azzurro lasciandomi disorientata.

WATERPEOPLEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora