CAPITOLO OTTO - wonder

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Buona lettura! 💘

capitolo otto - wonder

i wonder, when i cry into my hands, i'm conditioned to feel like it makes me less of a man

Benjamin

La casa era silenziosa, terribilmente silenziosa.
C'era qualcosa di orribile in quell'assordante silenzio, in quel fastidioso fischio che mi sentivo nelle orecchie. Tremavo come una foglia, ma non riuscivo a capire per quale motivo. Dubitavo fortemente fosse il freddo, era come se mi sentissi che qualcosa non andava. Sentivo una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come un cattivo presentimento che mi accompagnava come un'ombra, mi seguiva ovunque andassi e più passavano i giorni, più la sensazione si faceva forte. Avevo il batticuore, sia per via di quella strana sensazione, sia perché tutto quel silenzio mi causava ansia.
Mi voltai verso il lato di Victoria, e la osservai dormire accanto a me girandomi sul fianco per poter osservare il suo viso. I suoi capelli neri ricadevano morbidi sul cuscino, il suo viso pallido era teso, proprio come il mio. Aveva le labbra leggermente gonfie e le palpebre fremevano, facendomi pensare che stesse sognando. Osservandola attentamente potevo vedere le ombre agitarsi sotto i suoi occhi e mi sentii a pezzi per lei, perché la vedevo proprio spezzata e sapevo benissimo che non potevo fare assolutamente nulla per aiutarla, per salvarla da se stessa. Sperai che il mio amore la aiutasse, almeno un pochino, a tirarsi su, a stare meglio, ma dubitavo fortemente che dirle che l'amavo sarebbe bastato a far sparire gli incubi. Lasciai cadere lo sguardo altrove, perché mi veniva da piangere ad osservare il suo viso di porcellana consumato dagli incubi e dalla vita che stavamo facendo, da come stavamo vivendo entrambi, per cui spostai lo sguardo sul suo corpo e osservai le sue curve morbide baciate dai raggi della luna. Era coperta soltanto dalle lenzuola, i segni del nostro amore erano ancora ben visibili, sia in quella stanza riempita soltanto di noi, che sui nostri corpi. La sua mano era posata sulla mia e le nostre dita erano intrecciate, per cui riuscii a vedere tutte le cicatrici sul suo polso destro, che spezzavano il mio cuore sempre di più. Mi domandai dove andasse, nei suoi sogni, e mi chiesi se ci potessi entrare per proteggerla, se fosse possibile, perché sentirla tremare e sospirare per la paura mi faceva venire voglia di buttarmi dalla finestra. Accarezzai il suo viso con i polpastrelli delle dita, spostai le ciocche dei suoi capelli per poterla accarezzare meglio e mi avvicinai al suo viso baciando la sua fronte, mentre la mano scorreva lungo tutto il suo corpo, tentando di placare la paura e trasmetterle soltanto amore. Non riuscivo più a dormire: non facevo una dormita decente dal giorno dell'incidente. Non lo avevo detto a nessuno, soprattutto a lei per non farla preoccupare ancora di più, ma nei incubi vivevo il mio inferno personale. Sentivo la pallottola di Paul trapassarmi ogni notte, sogno dopo sogno, e sognavo ogni volta di morire, senza riuscire a salvare lei. Ero così stanco: stanco di non poterle dare ciò che meritava, l'amore che davvero doveva avere, quello senza preoccupazioni, ansie, paura della morte. Ero stanco di non poterla fare ridere come avrei dovuto, di non poter vivere la nostra relazione a fondo, con spensieratezza, passione... Il nostro amore ci stava consumando, ma in fondo era giusto così, perché se amarla mi avrebbe trasformato in un fantasma allora sarei stato felice di diventarlo. Più la guardavo più me ne innamoravo e in quel momento, vederla con le lenzuola appoggiate sul ventre, mentre rivivevo la sera precedente nella mente, mi faceva venire i brividi. Non aveva idea di quanto valesse, di quanto mi rendesse felice il fatto di poter dire che ero solo io a poterla vedere così, così piena di vita nonostante si sentisse morire. Che paradosso: stava morendo di dolore, eppure ai miei occhi era la vita. Avrei tanto voluto sapere cosa stesse sognando, a cosa stesse pensando, ma non mi era concesso.

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