Bleah!

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"Cami è mia!" sbottò Tommaso, lasciandosi scappare un sorriso divertito.

"No" gridò Alessandro, stringendo i pugni e imbronciandosi "è mia!"

"Allora dimmi, qual'è il suo colore preferito?" lo provocò il ragazzo "adulto", accovacciandosi per guardare il bambino negli occhi.

"Giallo" sparò a caso Alessandro, poggiando le sua mani sulle ginocchia di Tommaso.

"Sbagliato" lo zittì quest'ultimo, sollevando le sopracciglia con fare sicuro "è il verde"

"No, è il pervinca" sottolineai, alzando un po' la voce per sovrastare il rumore dell'acqua che usciva dal lavandino della cucina. Stavo lavando le tazze che avevamo usato per bere la cioccolata calda.

Tommaso aveva deciso che mi avrebbe aiutato a curare Alessandro, perché non dovevo stancarmi troppo. Aveva ragione, ma non mi lasciava fare praticamente niente!

"Non vale inventarsi un colore per non darmi ragione" scherzò Tommaso, mentre Alessandro si era lasciato distratte dalla collana che indossava, una piastrina con scritto immersus emergo.

"Il pervinca esiste! E' una specie di viola" spiegai girandomi verso di loro e potando le mani sui fianchi.

"E non bastava dire viola?" chiese ironicamente Tommaso, alzandosi con il bambino in braccio.

"Viola" rincarò la dose quest'ultimo, giocherellando con i capelli del ragazzo. Perfetto, ora erano alleati contro di me. Era difficile gestirne uno, figuriamoci due!

Feci per andare verso di loro, ma il tappeto, posizionato sotto al tavolo, era leggermente sollevato, così lo urtai con il piede, inciampando. Fu un attimo, persi l'equilibrio e mi ritrovai a cadere in avanti. 

Tommaso fece un rapido movimento per afferrarmi, ma avendo Alessandro in braccio non riuscì ad essere abbastanza veloce e mancò la presa. Portai le braccia in avanti per attutire la caduta, ma urtai comunque il pavimento con le ginocchi e con la pancia, anche se non forte come mi sarei immaginata.

"Cami, stai bene?!" mi chiese subito Tommaso con una voce preoccupata. Adagiò Alessandro sul pavimento e si precipitò subito da me, aiutandomi a rialzarmi.

Ero spaventata, avevo paura di aver fatto male alla mia bambina, ma dopo un attimo di terrore puro, constatai che non avevo dolori alla pancia, né lividi. Probabilmente il tappeto aveva attutito la caduta!

"Va tutto bene, stai tranquillo" risposi appoggiandomi allo schienale della sedia per evitare uno svenimento. Avevo davvero temuto il peggio.

"Hai la bua?" mi chiese teneramente Alessandro, attaccandosi alla mia gamba con un faccino triste.

Abbassai il viso per sorridergli teneramente e gli accarezzai la testa, mentre la voce di Tommaso mi giungeva alle orecchie: "Così non va bene!"

"Cosa?" chiesi senza prestargli troppa attenzione, continuando a scompigliare i capelli di Alessandro, che rideva divertito.

"E se fosse successo qualcosa? Se io non fossi stato qua?" continuò Tommaso in preda all'ansia.

Mi voltai a guardarlo, per poi rispondere: "Per fortuna non è successo niente Tommi"

"Non basta la fortuna..." dichiarò lui, serio in volto. Si avvicinò al mio viso, fissandomi intensamente negli occhi "... dobbiamo vivere insieme"

Spalancai gli occhi per la sorpresa e gli poggiai una mano sul petto per mantenere l'equilibro che quella notizia mi aveva tolto. Il suo cuore batteva forte. Batteva per me.

"Tommi... non so se siamo pronti per questo passo... insomma... e se poi non riusciamo ad andare d'accordo?"

Non volevo affrettare i tempi, anche se con una bambina in arrivo, era una cosa assurda da pensare, stavamo già andando alla velocità della luce. Ma quando litigavamo o avevamo bisogno di spazio, ognuno portava tornare nel suo appartamento e riflettere. Però quando la bambina sarebbe nata, avremmo comunque compiuto questo passo, quindi forse la mia esitazione non aveva molto senso.

"Ma dai Cami, sto passando più tempo qua che nel mio appartamento" ribatté Tommaso raddrizzandosi "è come se fosse già così"

Riflettei qualche secondo, non sapendo come replicare a quell'affermazione che effettivamente non aveva sbavature. Stavamo già vivendo insieme.

Mi avvicinai a lui e gli depositai un bacio leggero sulle labbra. Era un sì.

"Bleah!" esclamò Alessandro vedendoci e si coprì gli occhi con le mani. Allora io e Tommaso ci scambiammo uno sguardo complice e ci accucciammo, io da una parte e lui dall'altra del bambino e gli scioccammo due baci sulle guance, all'unisono. Alessandro si mise a ridere battendo i piedi per l'imbarazzo.

Forse io e Tommaso non saremmo stati così male come genitori.


Il natale si avvicinava e il freddo era sempre più pungente. Io ero avvolta da mille strati di vestiti e da una sciarpa che mi copriva metà viso. Dovevo proteggere anche mia figlia dal gelo, perciò mi vestivo il doppio rispetto al solito. Risultato? Dopo dieci minuti di camminata verso il negozio di fiori stavo sudando. Il marciapiede era pieno di neve perché erano giorni che cadeva ogni notte. Rebecca era venuta a pranzo a casa mia e ora mi stava accompagnando, dal momento che il dormitorio era nella stessa direzione del negozio.

"Non voglio chiamarla Elda" le dissi convinta. Cos'era quest'ossessione per il nome di mia figlia?

"Ma era il nome di mia nonna!" si lagnò lei, aggrappandosi al mio braccio.

"Ma cosa vuol dire?" chiesi perplessa, voltando la testa verso di lei.

"Se non chiamerai così questa bambina, chi prenderà il nome di mia nonna?"

"Tua figlia magari?"

Rebecca scoppiò a ridere come se avessi detto una scemenza: "Io avrò sicuramente un maschio"

La fissai scettica: "Se ne sei convinta"

Rebecca stava per replicare qualcosa ma all'improvviso sparì dalla mia vista, finendo con il sedere sul marciapiedi ghiacciato.

"Cami!" si lamentò allungando una mano verso di me "aiutami ad alzarmi accidenti!"

Io cercai di sollevarla ma le risate che mi scuotevano tutto il corpo mi toglievano ogni forza.

"Sei una pessima amica" mi rimproverò rialzandosi da sola "non mi chiedi nemmeno se mi sono fatta male!"

"Ti sei fatta male?"

"No"

Ricominciammo a ridere mentre Rebecca si accertava di non aver rovinato il suo nuovo cappotto rosso.

Questa situazione mi ricordò un evento accaduto in maniera identica lo scorso anno. Sembrava tutto così uguale, ma in realtà era totalmente diverso. Io ero diversa. Mi sentivo migliore, più forte, sempre un po' imbranata, ma più sicura. Mi sentivo una donna.

Una ciliegia tira l'altraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora